Rompere con Prodi,
preparare l’alternativa operaia
Il dibattito del VI congresso di Rifondazione comunista sta entrando nel vivo. Son già centinaia le riunioni locali (comitati provinciali, assemblee pubbliche, dibattiti) nelle quali abbiamo avuto modo di aprire il confronto con migliaia di compagni. È possibile trarre quindi un primo bilancio politico di questo confronto.
Le argomentazioni a sostegno della linea proposta da Bertinotti sono molteplici e soprattutto contraddittorie, al punto che in queste settimane di dibattiti preparatori abbiamo sentito dire veramente tutto e il contrario di tutto: andare al governo è secondario; al contrario, è decisivo. Il centrosinistra è cambiato, anzi non esiste più anzi… è sempre la stessa minestra e dobbiamo entrare nel governo per spingerli a sinistra. Si deve andare al governo perché i movimenti sono troppo deboli per farcela da soli; si va al governo perché i movimenti sono così forti da permettercelo. Andiamo al governo perché il mondo va a sinistra; no il mondo va a destra e al governo ci andiamo per porre un’argine. Andiamo al governo, ma possiamo rompere quando sarà necessario; no andiamo al governo per starci cinque anni. E via confondendo.
on ci metteremo certo a inseguire il caleidoscopio di argomentazioni contraddittorie con le quali i dirigenti della maggioranza cercano di far inghiottire ai militanti l’amara pillola dell’accordo di governo. Non potendo inseguire questo fiume di parole, preferiamo richiamare alcuni fatti recenti.
Elezioni regionali. Rifondazione sta ingoiando una dopo l’altra una serie di candidature davvero inguardabili. In Calabria, come riferisce un articolo in altre pagine di questa rivista, si voterà per Agazio Loiero, vecchio arnese democristiano e Polo della libertà fino al 1999. In Lombardia, dopo i disastri del 1995 (candidatura del democristiano Diego Masi) e del 2000 (candidatura del democristiano Martinazzoli) si persevera con l’industriale Sarfatti (area Margherita); in Campania, a poche settimane dalla sbandierata rottura con la giunta di centrosinistra guidata da Bassolino… ci si appresta a rinnovare l’alleanza col centrosinistra guidato con ogni probabilità dallo stesso Bassolino. Il tutto dopo che Bassolino ha rifiutato ogni cambiamento di linea riguardo la questione dell’inceneritore di Acerra, ma anche dopo che il centrosinistra ci ha appena rifilato un altro pugno nello stomaco procedendo alla privatizzazione dell’acqua di Napoli e Caserta (oltre due milioni e mezzo di abitanti coinvolti); neppure questo sembra essere sufficiente per spingere il partito a una effettiva rottura.
In Toscana, dove da sempre il partito è stato estraneo all’alleanza (più per volontà dell’Ulivo che per scelte radicali nostre, a dire il vero) ci si astiene sul bilancio regionale della giunta Martini, evidente passo di avvicinamento a un possibile accordo.
Ma, ci si risponde, c’è la Puglia dove il centrosinistra ha accettato le “primarie” e dove Nichi Vendola potrebbe spuntarla e diventare il candidato della coalizione. Mentre scriviamo non sappiamo quale sarà l’esito di tale consultazione. Che il compagno Vendola la spunti o meno, il prezzo sarebbe comunque pesantissimo: perché verrebbe formalmente sancito quel principio di decisione a maggioranza e di disciplina all’interno della Gad per cui per una Puglia che favorisce il Prc ci saranno altri dieci o cento casi nei quali saremo noi a dover “bere” posizioni inaccettabili.
Quando tutti gli argomenti vengono meno, rimane l’ultima risorsa che i compagni gettano nel dibattito. Ci si dice: se non troviamo il modo di fermare la destra, saremo travolti dall’ondata conservatrice. Il record in questo senso lo tocca il neodirettore di Liberazione, Piero Sansonetti, il quale - forse perché più esterno al dibattito fra le mozioni - trae le conclusioni più estreme. Ecco cosa scrive nell’editoriale del 15 dicembre: “Dobbiamo battere il governo Berlusconi per impedire che l’Italia diventi una delle punte di diamante della svolta bushista (…) Qual è il rischio? Una volta si diceva: la barbarie. È una parola inesatta, i barbari non erano poi così male. Il rischio è una vera e propria crisi di civiltà, una guerra planetaria, uno scontro feroce che coinvolge miliardi di uomini e manda alla malora il pianeta”. E qual’è la conclusione di questa apocalittica tirata? Bisogna votare Burlando come presidente della regione Liguria! Suvvia, compagni, un po’ di serietà: non vorrete seriamente sostenere che si salva il pianeta dalla terza guerra mondiale votando l’ennesimo scialbo ex ministro filoconfindustriale della destra diessina!
No, la realtà è ben altra. La realtà è che il partito è su un pericoloso asse inclinato, che ogni giorno che passa viene sempre più invischiato nel meccanismo di un’alleanza che sistematicamente nega le ragioni per le quali tutti noi da sempre ci battiamo, che spinge inesorabilmente il gruppo dirigente a difendere l’indifendibile, in un continuo slittamento all’indietro. Si è partiti con “l’alternativa di società”, si è poi rapidamente arretrati sul “programma di Bad Godesberg” (ossia sulla classica socialdemocrazia degli anni ’60) per finire recentemente a rivalutare il “riformismo forte” di occhettiana memoria. Compagni, apriamo gli occhi! Reagire ora è indispensabile se non vogliamo che il partito finisca invischiato in una trappola dalla quale sarebbe molto difficile e doloroso uscire. E a quei compagni che spavaldamente ci dicono “abbiamo rotto nel 1998, potremo rifarlo in futuro se sarà necessario”, rispondiamo con una semplice domanda: chi sarebbe disposto a darci ancora credito dopo una simile, ennesima capriola politica? Nel 1998 la rottura con Prodi costò una scissione e un indebolimento dal quale il partito ancora non si è pienamente ripreso. Quali sarebbero le conseguenze un domani di una ripetizione di tale esperienza?
In questo contesto si rivela il velleitarismo della proposta dei compagni del secondo documento (“Essere comunisti”), i quali ripetono un discorso di buon senso solo apparente: accordi sì, ma solo se c’è un programma credibile; patti chiari e amicizia lunga. Altrimenti, meglio un appoggio esterno a un eventuale governo Prodi. Bene, e che si fa se i “paletti” dopo essere stati approvati, vengono ignorati? Che si fa se il giorno dopo che Prodi sale al governo “scopre” un buco di qualche miliardo di euro nei conti pubblici e presenta il conto? Si rompe il giorno dopo essere entrati al governo? E lo stesso discorso vale per l’appoggio esterno, riproposto in termini non molto diversi anche dai compagni di Erre; una formula che metterebbe comunque il Prc in una morsa, sempre costretto a subire il ricatto dell’Ulivo: “votate questo e quello, altrimenti il governo cade e ritorna la destra”. Questa è stata precisamente l’esperienza del 1996-98: un ricatto permanente, una continua crisi strisciante nella quale a un determinato momento (autunno 1997) il Prc riuscì persino a strappare a Prodi un consistente “paletto”, la promessa di approvare una legge che riducesse l’orario lavorativo a 35 ore settimanali: legge che stiamo tutt’ora aspettando.
E se non vogliamo restare nel regno delle ipotesi, parliamo di quanto accade già oggi. I compagni del secondo documento sono favorevoli o contrari a rompere col centrosinistra al Comune di Napoli dopo che questo decide di privatizzare l’acqua di quasi tre milioni di persone con conseguente impennata delle tariffe e ristrutturazione dell’azienda? E in Calabria, siamo disposti o no a rompere con il candidato Loiero che poche settimane dopo la sua “incoronazione” nelle primarie si dichiara favorevole alle gabbie salariali?
Domande non platoniche, se si considera che in entrambe queste situazioni (e anche molte altre: Emilia Romagna, Friuli, ecc.) quest’area esprime consiglieri comunali, regionali, assessori.
Come è noto nel congresso del Prc sono stati presentati quattro documenti alternativi a quello del segretario. Fra questi il terzo (primo firmatario Marco Ferrando) tenta di scongiurare la deriva governista erigendo un muro “di principio” alla partecipazione al governo. In nessuna condizione, mai, dicono i compagni di Progetto comunista, il Prc deve dichiararsi disposto a partecipare a un governo fintanto che il capitalismo non sarà rovesciato. A noi pare che tale impostazione sia unilaterale e sbagliata. Contrariamente a quanto affermano i compagni, il partito comunista deve porsi il problema del governo e deve farlo nei termini più chiari e netti precisamente perché la crisi di questo sistema economico (che si esprime nella guerra, nel generale declino delle condizioni di vita e di lavoro, delle garanzie sociali, insomma in una generale crisi sociale) spinge milioni di lavoratori a porsi il problema di come uscire da questo vicolo cieco; un partito comunista deve dire a chiare lettere che se ne esce solo con un governo che rappresenti i lavoratori, i giovani, i disoccupati e tutti i settori oppressi della società; dobbiamo dire chiaramente che lottiamo perché la sinistra rompa con le politiche capitaliste, rompa le alleanze coi rappresentanti del padronato, Prodi per primo, e si candidi a conquistare una maggioranza con un programma di difesa intransigente degli interessi dei lavoratori, rompendo con le famigerate “compatibilità” del capitalismo.
Oggi non esistono le condizioni per un simile governo, precisamente per l’eredità di una lunga subordinazione della sinistra al centro liberale. Lo dimostra anche la linea assunta dai Ds nelle elezioni regionali, che ripropone senza alcuna variazione le posizioni passate. Si impone quindi una battaglia affinché il partito non accetti di farsi ingabbiare una volta di più in queste alleanze e presenti proprie candidature alternative alle regionali.
Tuttavia sarebbe sbagliato limitarsi a constatare che oggi i Ds proseguono nel loro corso moderato. Le contraddizioni che si accumulano anche in quel campo in futuro diventeranno esplosive e la linea di Fassino e D’Alema si troverà nei prossimi anni in difficoltà sempre più profonde. Sarebbe pericoloso che il Prc si facesse cogliere impreparato di fronte al riemergere nella prossima fase di posizioni differenti e critiche nel campo riformista. Ci sia d’insegnamento l’esperienza del “cofferatismo”, che giunse completamente imprevisto per Bertinotti (e anche per Ferrando), salvo poi, una volta che le piazze cominciavano a riempirsi, correre in una disperata rincorsa su posizioni obiettivamente opportuniste. Seppure la parabola cofferatiana si è poi interrotta, le contraddizioni che l’hanno generata sono ancora presenti e sono se possibile persino più profonde. Non dobbiamo quindi limitarci a contemplare l’attuale situazione del centrosinistra e dei Ds e dare per scontato che la linea dell’alleanza al centro sarà sempre supinamente accettata in quel partito; è essenziale insistere sulla proposta di liberare la sinistra dalla decennale subordinazione alle forze di centro, per aprire un dialogo con la base di massa dei Ds e della Cgil su questa prospettiva alternativa; dobbiamo e possiamo farlo perché le condizioni obiettive lavoreranno a nostro favore e contro la politica del “riformismo senza riforme” di D’Alema e Fassino.
Il tema del governo appare terribilmente complicato, ma è invece molto semplice. Quando Prodi, o Fassino, o D’Alema ci dicono “dovete governare uniti a noi, prendetevi le vostre responsabilità se no sarà colpa vostra se Berlusconi vince” ci stanno tendendo una trappola e la loro è solo ipocrisia. Quando un lavoratore, un disoccupato, una casalinga, ci dice “bisogna unirsi contro la destra per governare in modo diverso” ci dice in modo forse confuso, una cosa estremamente seria, e cioè che vuole un reale cambiamento nelle sue condizioni di vita e nella società. L’essenza di una tattica corretta sta nell’impedire che Prodi e D’Alema strumentalizzino questo sentimento contro di noi e nel rivolgerlo invece noi contro di loro.
Per questo abbiamo avanzato nella nostra mozione un ragionamento tattico che qui riproponiamo brevemente: se è vero che non ci sono oggi le condizioni per un governo della sinistra che rappresenti genuinamente gli interessi fondamentali dei lavoratori, allora è necessaria una proposta temporanea, difensiva se vogliamo, che impedisca l’isolamento del Prc. Crediamo che tale proposta si possa concretizzare in modo semplice e comprensibile: siamo disposti a votare candidati di altre forze della sinistra. Non siamo disposti a votare candidati della Margherita, dello Sdi o di altri partiti organicamente legati a interessi borghesi, estranei ed opposti a quelli che vogliamo difendere. Una proposta semplice e chiara che punti a mantenere aperto l’indispensabile dialogo con milioni di persone che voteranno i Ds perché li ritengono un’alternativa più praticabile, più realistica (anche per la loro maggior forza elettorale) di fronte alla destra. A tutti questi dobbiamo dire: noi non condividiamo affatto le vostre illusioni e anzi vi avvertiamo che D’Alema e Fassino non sono disposti a portare avanti alcun reale cambiamento a sinistra. Tuttavia non vi chiediamo di crederci sulla parola e siamo disposti a votare i vostri candidati, all’interno di un patto elettorale o persino unilateralmente, e a contribuire ad eleggerli. Non siamo però disposti a votare diretti rappresentanti degli interessi padronali come Prodi, Rutelli e compagnia. Contro questi, contro i candidati dei partiti di centro, presenteremo sempre un candidato del Prc perché sarebbe gravissimo che in decine o centinaia di collegi i lavoratori fossero lasciati di fronte alla scelta fra due candidati borghesi.
Questa nostra posizione è stata in alcuni casi accolta con ironia dai compagni di Progetto comunista (terzo documento), i quali però oltre a sorridere farebbero bene a precisare quale sia la loro posizione sulle elezioni. Infatti nella loro mozione parlano di desistere nei collegi a rischio di fronte a candidati della sinistra. Tuttavia questa è un’equazione a due incognite. Nessuno sa infatti quanti e quali siano i fatidici “collegi a rischio” (fra i compagni del terzo documento c’è chi ha parlato di 15 collegi, chi di 45, chi di 100…) e nessuno sa chi siano le forze ritenute di sinistra. Ci pare di capire che per Ferrando tale definizione escluda D’Alema e Fassino mentre include la sinistra Ds (“correntone” e area Salvi). E se in uno dei fantomatici “collegi a rischio” si presenta Cofferati, cosa proponete di fare? E perché mai sarebbero votabili (sia pure tatticamente) l’ex ministro del lavoro Salvi o l’ex capogruppo diessino alla Camera, Mussi, mentre non sarebbero votabili l’ex ministro Bassanini o l’ex capogruppo al Senato Angius? Insomma, una posizione incomprensibile che non a caso gli stessi compagni di Progetto pare fatichino ad interpretare, almeno a giudicare dalle risposte confuse (o dalla mancanza di riposte) che hanno opposto ai nostri rilievi critici.
Queste settimane di dibattito ci rafforzano nella convinzione iniziale che ci ha spinto a presentare il quinto documento. Il dibattito nel Prc non può essere ridotto a uno scontro fra una linea di governismo esasperato e una “alternativa” settaria che per giunta accentua sempre di più le proprie caratteristiche di minoritarismo politico.
Ci confermano anche che votare per il quinto documento in molte situazioni non è precisamente semplice per molti compagni che in diverse realtà non appena hanno manifestato interesse per le nostre posizioni si sono trovati oggetto di “attenzioni” non precisamente piacevoli da parte di autorevoli compagni di altre aree, o di insistenti quanto ridicoli richiami al “voto utile contro Bertinotti”. Tutto questo non ci preoccupa, anzi: fa sì che le adesioni che ci arrivano (e che già ora sono andate ben oltre quelle che registravamo a novembre) siano adesioni convinte, politicamente motivate e meditate, libere da calcoli di bassa lega. Il voto al quinto documento non vedrà sommarsi né “pacchetti di tessere” né “cordate” che scalano questo o quell’organismo di partito. Sarà pertanto, al di là della sua consistenza numerica, un sostegno pienamente attivo e militante, che potrà far valere la propria presenza non solo nel congresso ma anche nella complessa fase che prevediamo si aprirà alla sua conclusione, quali che saranno i risultati finali.
11 gennaio 2005