Documento conclusivo
per il Comitato politico nazionale del 17-18 settembre 2005
presentato dai compagni della quinta mozione
Le scelte della maggioranza stanno conducendo il partito in un vicolo cieco. La partecipazione del segretario alle primarie, costituisce un nuovo anello nella catena con la quale il Prc si lega all’Unione.
In cambio di una passerella mediatica che viene concessa da Prodi il partito si impegna a non votare contro le misure che prenderà il futuro governo di centrosinistra (al massimo potremo astenerci).
Si tratta di una cambiale in bianco che firmiamo a scapito dei lavoratori e delle classi subalterne di questo paese. Questo emerge chiaramente dal quadro programmatico comune che è stato sottoscritto dall’Unione a fine luglio.
Nel Progetto per l’Italia dopo un omaggio formale alla Costituzione, calpestata più volte dai precedenti governi di centrosinistra su guerra (Jugoslavia), finanziamento alle scuole private, progressività delle imposte, Cpt, ecc. si insiste sulla difesa delle politiche emanate dai banchieri in sede europea. Questo è particolarmente grave alla luce dei risultati referendari in Francia e Olanda dove i lavoratori si sono schierati contro gli effetti sociali disastrosi provocati dalle politiche di Maastricht.
Sulla guerra viene abbandonato il No alla guerra senza sé e senza ma che aveva caratterizzato il movimento contro l’intervento imperialista in Iraq, accettando un sostegno a quelle guerre che verranno legittimate dall’Onu (negli ultimi anni Albania, Jugoslavia, Afghanistan e successivamente anche la presenza dei soldati in Iraq).
Rispetto alle politiche sociali il Progetto per l’Italia non sa fare di meglio che proporre “l’equilibrio della finanza pubblica” rilanciando la competitività del sistema ricercando “il più ampio consenso sociale”. In altre parole continuare le politiche di lacrime e sangue concertandole con le burocrazie sindacali, precisamente tutto ciò che nel corso degli anni ’90 ha determinato un peggioramento senza precedenti delle condizioni di vità dei lavoratori.
I pochi punti chiari nel programma sono quelli che garantiscono gli interessi nazionali e internazionali della classe dominante.
Il paese è in pieno declino industriale. Gli attacchi forsennati al tenore di vita della popolazione e la precarietà dilagante si inseriscono in un quadro di crisi del capitalismo mondiale. L’Europa è particolarmente colpita, sottoposta com’è alle pressioni dell’imperialismo Usa (che scarica sul vecchio continente la crisi attraverso la svalutazione del dollaro) e le nuove economie emergenti (Cina e India) che stanno invadendo il mercato con prodotti a basso costo. Prodotti che a differenza del passato hanno una notevole composizione organica del capitale (telecomunicazioni, informatica, elettronica, ecc.)
La concorrenza sui mercati mondiali è sempre più spietata e si rendono inapplicabili le vecchie politiche keynesiane che hanno esaurito da tempo i loro margini per l’impressionante indebitamento degli Stati, oltre che delle imprese e delle famiglie. Con l’entrata nell’euro oggi il capitalismo italiano non può avvalersi né dello strumento delle svalutazioni competitive, né avanzare un serio piano di investimenti statali tesi a contrastare le tendenze recessive in atto.
L’Italia è il vero malato dell’Europa con gli investimenti privati e pubblici ai minimi storici e settori decisivi come la siderurgia, l’informatica e la chimica che sono stati completamente cancellati dal paese.
La borghesia italiana arricchitasi in questi anni soprattutto attraverso la spartizione del patrimonio pubblico privatizzato si è dedicata sostanzialmente alle speculazioni finanziarie e immobiliari. Ma è questa la tendenza generale del capitalismo in questa fase storica.
L’idea che possa esistere un capitalismo produttivo da opporre alla rendita finanziaria, idea presentata dal segretario a più riprese, non ha alcuna base nella realtà, quello a cui assistiamo invece è una conferma di quanto Lenin aveva previsto nell’imperialismo con una concentrazione sempre maggiore dei grandi gruppi e una tendenza alla fusione tra capitale produttivo e capitale bancario.
È da escludere nella maniera più assoluta che in un tale contesto sia possibile governare la “grande riforma del paese” in alleanza con la borghesia. La vera utopia è il nuovo compromesso sociale dinamico che viene proposto e che è alla base della proposta programmatica avanzata dal segretario per la sua candidatura alle primarie così come esposta da Liberazione il 15 settembre.
Mai come ora è necessario per un partito comunista mantenere la propria indipendenza di classe insistendo più e più volte sulla rottura delle forze di sinistra con il centro borghese di Prodi e Rutelli.
La borghesia italiana in crisi non ha altro rimedio oggi che governare attraverso i Ds ma non si fida pienamente di loro e fa di tutto per condizionarli. Le scelte di Rutelli tese a combattere il presunto egemonismo dei Ds all’interno della coalizione si inseriscono in questa ottica. Lo stesso Prodi si serve delle primarie per ottenere quel suffragio popolare che lo renda maggiormente indipendente dalle pressioni dei partiti in particolare quelle sollecitazioni che possono arrivare da sinistra quando si inizieranno a sentire gli effetti disastrosi della politica del centrosinistra sulle masse popolari.
La crisi verticale del berlusconismo sta producendo il risultato opposto a quello che era stato auspicato dalla maggioranza del partito due anni fa quando si è scelto di entrare in una coalizione organica con il centrosinistra. La coalizione non solo non viene condizionata dalle spinte dei movimenti ma al contrario sposta sempre più a destra l’asse della propria politica e condiziona negativamente i movimenti. Rifondazione si trova ingabbiata in mille contraddizioni.
Al tempo stesso la classe dominante prepara una futura alternativa, non più attraverso un Berlusconi ormai logorato, ma attraverso le mille manovre centriste attraverso le quali non solo ricicleranno parte della casa delle libertà in dissoluzione, ma potranno in futuro esercitare una forte attrazione anche su settori dell’Unione. Di fatto, anche in caso di vittoria elettorale dell’Unione ci troveremo ben presto sottoposti a un ricatto crescente, sostenuto dalla minaccia (assai credibile) di creare una nuova maggioranza senza il Prc o altri settori della sinistra che si dimostrassero indisponibili a seguire fino in fondo la linea padronale di Prodi. Su questa via non solo non saremo noi a condizionare il centrosinistra, ma al contrario l’esperienza di governo rischia di frantumare l’intera sinistra.
La linea governista ha già ora forti ricadute negative. All’esterno, contribuisce a una generale passivizzazione che colpisce i movimenti e permette lo spostamento su posizioni assai moderate dei gruppi dirigenti della cosiddetta sinistra d’alternativa (si veda la completa capitolazione della sinistra interna alla Cgil). All’interno del partito, contribuisce a emarginare i militanti più combattivi rafforzando a dismisura le tendenze burocratriche, la caccia alle posizioni istituzionali, ecc. Il partito rischia di diventare molto attraente per elementi carrieristi e invivibile per i lavoratori e i giovani alla ricerca di una radicale alternativa.
Non fa più scandalo, pare, la notizia che il Prc sia coinvolto in scelte inaccettabili laddove governa a livello locale, come ad esempio il finanziamento alle scuole private (Emilia R., Friuli V. G.) o misure di sgombero contro lavoratori immigrati come recentemente è avvenuto a Sassuolo (Mo) per opera di una giunta nella quale il partito esprimeva l’assessore alla casa.
Le illusioni e le speranze che oggi si possono generare verso l’Unione si dissolveranno ben presto di fronte alla dura realtà, che sarà fatta di politiche antipopolari. Su queste basi gli stessi lavoratori che con le grandi lotte degli scorsi anni hanno logorato la forza del centrodestra riprenderanno la parola, e si ripresenteranno con forza ancora maggiore quelle mobilitazioni dirompenti che oggi sono solo temporaneamente assopite. È questa la prospettiva che può creare le condizioni per invertire radicalmente anche la rotta del Partito liberando il movimento operaio dalla collaborazione di classe.
Claudio Bellotti, Simona Bolelli, Alessandro Giardiello, Jacopo Renda
12-10-2005