Il grande assente delle 15 tesi di Bertinotti
Questo contributo era originariamente destinato alla tribuna sulle 15 tesi ospitata da Liberazione nelle scorse settimane. I tempi non hanno permesso la sua pubblicazione sulle pagine del quotidiano del Prc e volentieri lo rendiamo disponibile ai lettori del nostro sito. Il compagno Paolo Brini è membro del Comitato Centrale della Fiom-Cgil.
Il contributo che porto alla discussione precongressuale vuole focalizzare l’attenzione dei compagni su un aspetto a mio parere decisivo e che invece rappresenta il grande assente delle 15 tesi presentate dal compagno Bertinotti: la questione sindacale ed il radicamento operaio del partito.
In una fase così importante dello sviluppo della lotta di classe penso che questa grave carenza non sia casuale, ma rappresenti la naturale conseguenza del fatto che a tutt’oggi l’influenza del Prc nel movimento operaio sia ridotto ai minimi termini (se paragonata ad esempio all’importante fascia di delegati e militanti operai che si orientarono verso il nostro partito nel periodo 1992-94). A questo si aggiunga che la nostra presenza organizzata, nonché capacità di intervento politico, all’interno del principale sindacato italiano, la Cgil, è pressoché inesistente. Sono convinto che per uscire da questa situazione di crisi di militanza e di radicamento sia necessario non un silenzio imbarazzato ma un bilancio serio e franco della linea sindacale fin qui adottata dal partito.
La ripresa delle lotte
Negli ultimi tre anni la classe lavoratrice è tornata prepotentemente protagonista della vita sociale e politica del paese. Lotte come quelle di Termini Imerese, degli autoferrotranvieri o di Melfi, pur se parziali e non ancora generalizzate, non solo dimostrano la centralità della classe operaia nella società capitalista (cosa che veniva messa sostanzialmente in discussione nelle tesi di maggioranza allo scorso congresso) ma anche che si sta producendo un cambiamento sostanziale nei rapporti di forza tra le classi rispetto agli ultimi 20 anni. Queste mobilitazioni, assieme alle tante altre di questi mesi, sono il segnale inequivocabile che si sta preparando una svolta paragonabile a quella dell’Autunno caldo.
Da 150 anni di storia e dalla mia esperienza diretta credo di avere appreso che quando i lavoratori scendono in lotta, checché se ne dica, cercano una direzione. Il compito dei comunisti dovrebbe essere quella di aver le basi per fornire questa direzione. Altrimenti sono e saranno altri a guidare le lotte, ovvero i riformisti e gli attuali vertici sindacali, che già in questi mesi ed anni hanno dimostrato la propria riluttanza nel condurre i lavoratori a vittorie nette e decisive. L’accezione che viene invece data al termine contaminazione nella linea del partito ha significato fino ad oggi nei migliori dei casi una critica velata e passiva e nelle peggiori un totale appiattimento sulla linea portata avanti dai vertici sindacali di Cgil e Fiom.
Non accodarsi ma fornire una alternativa organizzata dentro la Cgil
È indubbio che a partire dal 2001, prima la Fiom poi, anche se in tono minore, la Cgil abbiano visto uno spostamento della propria linea più a sinistra di quanto non fosse stata nel decennio precedente. La ragione di ciò sta nelle pressioni che dal basso, anche grazie alle provocazioni del governo, hanno indotto i vertici sindacali a rompere la pace sociale e rimettersi sulla via del conflitto. Questo dimostra quanto sia importante per i comunisti, al fine del proprio radicamento, costruire un lavoro politico dentro la Cgil. Il punto è come questo lavoro dev’essere portato avanti. La firma del contratto bidone degli autoferrotranvieri, l’accordo sul modello contrattuale per gli artigiani, il contratto del commercio, la non convocazione dello sciopero generale contro la riforma delle pensioni ecc. stanno a dimostraro come sia ancora forte ai vertici della Cgil la voglia di “rientrare nei ranghi” e di rilanciare una nuova concertazione con la Confindustria di Montezemolo, presumibilmente pure peggiore della precedente. Perché il nostro partito non denuncia questo processo già in atto da mesi? La critica nei riguardi dei vertici della Cgil, quando c’è stata, è stata sempre velata, timida e dall’esterno. Inoltre mi sento di dire che con l’affacciarsi dell’accordo con il centrosinistra questa critica è stata via via più smorzata fino ad essere ormai quasi del tutto inesistente.
Per quanto riguarda la Fiom, i vertici dei metalmeccanici hanno adottato sicuramente posizioni più avanzate di qualsiasi altra categoria o organizzazione operaia di massa. È nostro dovere sostenere la Fiom contro tutti coloro che nella Cgil tentano di isolarla additandola come categoria avventurista e isolata dai lavoratori.
Tuttavia questo non può signifcare tacere sulla contraddittorietà e i limiti che si sono palesati già con i pre-contratti e cioè l’abisso che c’è tra quello che la Fiom ha detto in questi mesi e quello che ha fatto per perseguire i propri obbiettivi. La Fiom non è stata in grado di andare fino in fondo nelle lotte ed essere conseguente con il proprio programma. A Melfi la lotta è stata salvata solo dalla fermezza dei lavoratori che, alla proposta di Rinaldini di levare i blocchi ai cancelli, hanno risposto con una bordata di fischi ed un rifiuto intransigente. Anche in queste settimane il gruppo dirigente della Fiom si sta dichiarando disposto a concessioni a mio avviso inaccettabili per tentare giungere a una piattaforma unitaria con Cisl e Uil.
Perché su tutto questo il partito non interviene? Perché non si è fatto altro che accodarsi acriticamente alla linea della Fiom? Certamente era giusto sostenere gli spostamenti a sinistra di questa organizzazione ma questo non sarebbe dovuto avvenire in maniera acritica ma ben evidenziandone i limiti e fornendo una nostra proposta e strategia conseguente.
Questa tendenza al “rompete le righe” che si avverte in Cgil aprirà nuove ed importanti contraddizioni tra base e dirigenti del sindacato. Questo potrebbe rappresentare un occasione importante per il nostro partito, ma come possiamo pensare di aumentare la nostra influenza ed il nostro consenso tra i lavoratori se fino ad oggi ci siamo sempre accodati? Come speriamo di poter attrarre i migliori militanti della Cgil se al suo interno come comunisti non siamo nemmeno organizzati? La prossima fase vedrà un approfondirsi ed un inasprirsi ulteriore della lotta di classe. I comunisti dovranno presentarsi all’appuntamento distinguendosi; essendo percepiti dai lavoratori come i più audaci sul piano dei contenuti ed i più risoluti nel momento della lotta. Non dovrà esserci lotta grande o piccola che non veda la presenza dei comunisti, con i propri contenuti e le proprie “bandiere”. L’obbiettivo dei comunisti è e deve essere quello di conquistare la maggioranza dei lavoratori alle idee rivoluzionarie del marxismo. Per perseguire questo risultato un orientamento ed uno sviluppo corretto del lavoro sindacale rivestono un’importanza decisiva. D’altra parte anche nell’attuale proposta della minoranza di Ferrando vedo una totale carenza di concretezza su questo aspetto. Spesso ho potuto constatare che anche i dirigenti di Progetto Comunista hanno fatto seguire a posizioni settarie e formalmente intransigenti, un appiattimento del tutto ingiustificato ai vertici della Fiom. Dimostrazione ne è la totale assenza di indipendenza del compagno Manganaro che al Comitato Centrale della Fiom fino ad ora non ha perso occasione per schierarsi acriticamente con Rinaldini.
Per questo mi convince la proposta avanzata dai compagni Bellotti e Giardiello nel loro odg proposto all’ultimo Cpn e per questo firmo ed invito i compagni a firmare, ed a sostenere, questa tesi per consentire che sia presentata come documento congressuale al dibattito del partito. Peraltro questa proposta è in coerente continuità con la battaglia che proprio nel congresso della Fiom ho sostenuto attraverso un emendamento di sinistra, assieme a centinaia di altri compagni.
15 novembre 2004