Se il presidente uscente è un pupazzo degli americani, lo sfidante, Abdullah Abdullah, non è certo uno dalle mani pulite. Fra i massimi esponenti dell’Alleanza del Nord, subalterna agli Stati Uniti nell’invasione del 2001, è stato per diversi anni ministro degli esteri di Karzai. Gode dell’appoggio dei “signori della guerra” del nord dell’Afghanistan, che hanno rotto con l’attuale presidente, vista la sua crescente impopolarità.
Le elezioni presidenziali non hanno fatto quindi che svelare la totale instabilità in cui vive l’Afghanistan e aggiungere ulteriori motivi di contrasto. Se gli Stati Uniti volevano utilizzare il voto del 20 agosto come uno spot a favore della propria politica nella regione, il fallimento non poteva essere maggiore. In realtà è l’intera strategia dell’amministrazione di Washington ad essere un insuccesso.
Obama ha lanciato negli scorsi mesi un’offensiva nelle regioni del Pakistan confinanti con l’Afghanistan, con l’obiettivo di sgominare i talebani. Tale offensiva ha provocato almeno due milioni di profughi civili, senza intaccare in maniera fondamentale la forza della guerriglia e contribuendo a destabilizzare ancor di più il Pakistan.
Fra le alte sfere dell’esercito Usa lo scontento per il “pantano” afgano, che segue quello iracheno, si approfondisce. Nell’ultimo rapporto inviato ad Obama il 31 agosto dal generale Mc Chrystal, comandante della missione Usa, si chiede “una nuova strategia per l’Afghanistan”. Tale strategia consisterebbe in un aumento delle truppe sul campo di battaglia, come suggerito da settimane dai media americani, capitanti da Wall Street Journal e dal New York Times. Alcuni generali Usa avrebbero suggerito di inviare altre 20mila truppe, visto che, come spiega il settimanale britannico The Economist del 22 agosto “La guerra va male e gran parte del sud è fuori dal controllo del governo. Gruppi di insorti isolati e disparati hanno preso forze e coraggio trasformandosi in un’unica insurrezione contro le forze occidentali ed il governo eletto”.
Gli insuccessi al fronte si accompagnano alla crescente impopolarità della guerra all’interno degli Stati Uniti, dove nei sondaggi per la prima volta i contrari all’intervento superano i favorevoli. Sempre più americani vedono che non c’è molta differenza fra la politica di Bush e quella di Obama, solo un cambiamento di obiettivi: per George W. centrale era l’Iraq, per Barack l’Afghanistan.
Insomma, se afgani e pakistani hanno già capito che l’Obama “messaggero di pace e di democrazia” era solo pura illusione, i lavoratori e giovani americani lo stanno iniziando a comprendere.