Socialismo: l’unico sviluppo "sostenibile"
Dieci anni fa si teneva a Rio de Janeiro il vertice mondiale per l’ambiente dell’Onu. Rio si concluse in un effluvio di propaganda. Ogni paese capitalista giurò sulla propria preoccupazione per l’ambiente. Il giuramento non fu fatto sulla Bibbia o sul Corano ma sugli accordi finali del vertice: due convenzioni per la biodiversità e per il cambiamento climatico e sull’Agenda 21, il piano globale per lo sviluppo sostenibile. La morale che volevano insegnarci era chiara: su questo tema non ci sono lavoratori o padroni, siamo tutti uniti nell’opera di salvare il mondo.
Dopo 10 anni l’Agenda 21 è lettera morta. Nello stesso periodo le convenzioni internazionali sono passate da 2 a 300. In alcuni paesi europei le forze politiche verdi hanno potuto sperimentare le delizie del Governo. Tutto ciò ha indubbiamente migliorato le condizioni di qualche ambientalista, un po’ meno quelle dell’ambiente. Nell’ultimo decennio le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera sono aumentate del 9%, un miliardo di persone non hanno accesso all’acqua potabile e tre miliardi (la metà dell’umanità) bevono acqua di qualità scadente. 17 milioni di ettari di foreste (quattro volte la Svizzera) spariscono ogni anno, mentre 60.000 specie animali vengono sterminate.
Se a Rio la commedia aveva retto, al recente vertice per lo sviluppo sostenibile di Johannesburg non è nemmeno iniziata. Le contraddizioni tra i paesi capitalisti sono attualmente tali da non riuscire a mettersi d’accordo nemmeno sulla favola da raccontarci. Il vertice è stato unanimemente un fallimento. In discussione non c’era nessun piano mastodontico, ma semplicemente l’attuazione della stessa Agenda 21. Il carrozzone organizzato dall’Onu (65.000 partecipanti e 72 capi di Stato presenti) non ha centrato il solo obiettivo realizzabile sotto il capitalismo: darcela a bere per altri 10 anni.
Paesi del Terzo Mondo e povertà
La lotta alla povertà è stato uno dei temi al centro del vertice. I paesi capitalisticamente avanzati si sono lanciati in una sorta di elemosina collettiva: la Germania ha promesso 280 milioni di Euro per sviluppare l’energia sostenibile nei paesi arretrati, il Giappone 2 miliardi di Euro per l’alfabetizzazione, mentre gli Usa hanno contribuito per altri 500 milioni di dollari al "Fondo di solidarietà" che ora conta su 2,9 miliardi di dollari. L’obiettivo finale del vertice è che i paesi avanzati devolvano lo 0,7% del proprio Prodotto Interno Lordo entro il 2006. Nessuna di queste misure scalfirà minimamente la povertà delle masse del Terzo Mondo. Non solo perché si tratta di cifre ridicole, né per il fatto che non saranno mai rispettate (lo 0,7% del Pil è l’obiettivo dichiarato dagli anni ‘70) ma perché il gap che esiste tra paesi avanzati ed arretrati è nella stessa natura del capitalismo.
Le borghesie dei paesi del Terzo Mondo sono apparse tardi sulla scena del capitalismo mondiale. Quando hanno iniziato a svilupparsi non hanno dovuto competere con la vecchia economia feudale in decomposizione ma con aziende capitaliste già sviluppate. Nessun paese arretrato avrebbe potuto sviluppare, ad esempio, una propria azienda automobilistica competendo con colossi già formati come Ford o Fiat. Sotto il giogo del mercato mondiale hanno così sviluppato delle economie basate principalmente sull’esportazione di materie prime e sull’importazione di prodotti finiti e tecnologia. Questo meccanismo provoca un continuo scambio diseguale di ricchezza. Anche quando i paesi arretrati ricevono sussidi dai paesi avanzati, questi sussidi devono essere semplicemente utilizzati per acquistare prodotti finiti dalle principali aziende capitaliste. I sussidi ai paesi arretrati finiscono per essere sussidi mascherati alle stesse aziende capitaliste dei paesi avanzati.
La questione energetica
Un altro tema al centro del dibattito sono state le fonti energetiche. Ogni paese capitalista ha dato la propria soluzione al problema spacciandola come più idonea all’ambiente. In realtà ognuno ha spinto semplicemente perché fossero adottate le fonti energetiche più convenienti alle proprie economie. La proposta iniziale dell’Unione Europea era quella di impegnarsi entro il 2010 ad arrivare ad utilizzare almeno il 15% di energie rinnovabili. Gli Stati Uniti, sede dei principali colossi petroliferi, così come i paesi produttori di petrolio, non avrebbero mai potuto accettare un accordo che sostituisse seriamente il petrolio con altre fonti energetiche ed anche se lo avessero accettato sarebbe rimasto lettera morta. Anche il rifiuto dell’Italia non è stato determinato dai pruriti di Berlusconi ma dai profitti dell’Agip.
Dietro alla proposta dell’Unione Europea, però, non c’era nessuno spirito ambientalista. Tra il cosiddetto 15% di energie rinnovabili ci sono la legna e le grandi dighe particolarmente care a Francia, Austria, Svezia e Norvegia. Se tutti i paesi mondiali sostituissero il 15% delle fonti energetiche con legna o dighe, questo sarebbe un tocca-sana per alcuni capitalisti europei. Difficilmente però se ne gioverebbe l’ambiente.
I capitalisti svedesi o norvegesi hanno avuto buon gioco a mettersi alla guida del fronte anti-petrolifero. Dall’altra parte la Bp e la Shell hanno risposto assegnandosi il premio di aziende protettrici delle foreste. Non ci risulta infatti che in Kuwait o in Arabia Saudita ci siano molte foreste da abbattere per costruire una raffineria.
Ancora una volta non c’è nessuna seria motivazione ambientale: la fonte energetica più pulita per un capitalista è quella che produce profitti. Il capitalismo non potrà mai sviluppare seriamente nessuna fonte energetica realmente alternativa o rinnovabile. Queste fonti sono ancora troppo costose per i profitti delle principali aziende e lo continueranno ad essere finché la ricerca scientifica sarà in mano ad una cricca di multinazionali. Quale colosso del petrolio o del nucleare promuoverebbe una ricerca seria per sostituire le proprie fonti energetiche con altre? Il suicidio non rientra nelle strategie aziendali.
Il contro-vertice
A Johannesburg non si è riunito soltanto il vertice ufficiale dell’Onu, ma anche il Global Forum della società civile, organizzato da associazioni antiglobalizzazione, Organizzazioni Non Governative (Ong), organizzazioni di contadini senza terra, dall’Anc (African National Congress, il partito attualmente al Governo in Sud Africa) e dal principale sindacato del Sud Africa il Cosatu. Anche il Global Forum è letteralmente collassato sulle proprie contraddizioni. Doveva essere la continuazione di Porto Alegre. Lo è stato a tutti gli effetti. Ma una continuazione non è una semplice ripetizione, ma anche un approfondimento. Tutte le contraddizioni già presenti nel vertice di Porto Alegre si sono approfondite e sono esplose.
Innanzitutto pesava come un macigno il problema delle Ong (Organizzazioni Non Governative). E’ ormai riconosciuto che grossa parte di queste organizzazioni sono letteralmente finanziate e create da diversi Governi o addirittura dalle multinazionali. Ma chi stabilisce quali siano le Ong "autentiche" che possano partecipare al Forum? Al di là di quali e quante siano, è un dato di fato che il peso delle Ong più moderate, riunite attorno al Sangoco (Coordinamento delle ong sudafricane) ha letteralmente risucchiato il Forum in una logica lobbistica. Il Global Forum, infatti, non era solo un vertice alternativo a quello Onu, ma ne era anche l’interlocutore ufficiale.
Come ammette candidamente Saliem Fakir, responsabile della sezione sud-africana dell’Unione Mondiale per la conservazione della natura: "Le Ong internazionali sono ormai agguerrite, hanno la capacità e l’esperienza per fare un lavoro di lobby nei corridoi del Vertice".
Il legame tra diverse Ong sud-africane e l’Anc (il partito del vecchio leader Mandela e dell’attuale primo ministro Mbeki) ha trasformato di fatto il Global Forum in una cinghia di trasmissione delle posizioni ambigue dell’Anc. I dirigenti dell’Anc si sono barcamenati tra il Global Forum e il vertice ufficiale, paralizzati dalle proprie contraddizioni.
Mentre al Global Forum Mbeki si strappava i capelli per la cecità del mondo sulla questione delle fonti energetiche, nel vertice ufficiale lottava perchè il carbone (caro all’economia sudafricana, un po’ meno all’ambiente) non fosse escluso dalle fonti energetiche. Mentre criticava al vertice l’ "integralismo di mercato", spacciava nel Global Forum come soluzione il Nepad (Progetto per lo sviluppo sostenibile sostenuto dal G8, il cui effetto sarà semplicemente accelerare la penetrazione del capitale straniero nelle economie africane). Mentre ragliava sulla necessità di vincolare il mercato alle esigenze ambientali nel Global Forum, nel vertice Onu si preoccupava che non fossero applicate troppe restrizioni ai Governi vista la necessità estrema del Sud Africa di attrarre capitali stranieri.
Divisioni nel Global Forum
Da una parte i dirigenti dell’Anc hanno utilizzato il Global Forum per rifarsi una facciata di sinistra offuscata da anni di Governo, dall’altra parte hanno moderato le posizioni del Global Forum per rinnovare la propria facciata di responsabilità davanti al capitale internazionale. Il gioco è riuscito solo in parte. I discorsi di apertura del Global Forum non hanno minimamente avanzato nessuna critica al Nepad, né allo sviluppo sostenibile guidato dalle imprese. La tensione sociale che si sta accumulando nell’Africa australe ha fatto comunque capolino. La manifestazione finale del Global Forum doveva essere nei piani dei dirigenti Anc una parata ed un tripudio per il comizio di Mbeki. Così non è stato.
Già nel Global Forum erano scoppiate le divisioni sui contenuti del corteo. Come ha dichiarato Nicholson, dirigente di una rete di sindacati rurali legati ai movimenti internazionali dei contadini senza terra: "Per noi è fondamentale costruire alleanze (...) Ma qui c’è una gran confusione tra istituzioni, organizzazioni non governative, agenzie internazionali. Noi vogliamo che la manifestazione sia autonoma, indipendente, e con una piattaforma chiara: per la redistribuzione della terra, contro le privatizzazioni". Il Forum ha proposto di unificare tutti gli sforzi su una piattaforma finale tanto generica da non voler dire nulla: "Sradicamento della povertà, economia mondiale equa, solidarietà e sviluppo sostenibile". I contadini senza terra africani, gli abitanti dei sobborghi poveri di Johannesburg, hanno però interpretato queste vuote promesse a modo loro. Già all’inizio del Global Forum un corteo di 4.000 contadini senza terra si era mosso dalla periferia di Johannesburg verso il centro. Un corteo completamente pacifico di contadini la cui unica colpa era quella di aver creduto alla propaganda governativa sulla "solidarietà, lo sviluppo sostenibile ecc.".
Lo sviluppo sostenibile così come inteso dai capitalisti si è materializzato in una reazione isterica dei 26.000 agenti disposti a guardia del vertice Onu che hanno arrestato 72 attivisti nel corteo. Anche un successivo piccolo corteo di 300 contadini con magliette rosse con scritto "classe lavoratrice in lotta" che chiedeva la liberazione dei 72 arrestati ha subìto un fitto lancio di lacrimogeni. L’incubo di quelle magliette rosse, però, rimarrà nei sogni del signor Mbeki visto che il corteo finale (20.000 partecipanti) alternativo alla marcia governativa era una lunga distesa di magliette rosse. Mentre le parole d’ordine imposte dai dirigenti dell’Anc al Global Forum erano, i ragazzi provenienti dai sobborghi della periferia di Johannesburg portavano cartelli con scritto a mano "verso il socialismo". "solidarietà e sviluppo sostenibile"
La questione agraria e le espropriazioni
Il vertice Onu e l’Anc hanno quindi usato la classica tattica del "bastone e della carota". Carota per le Ong e le organizzazioni moderate a cui era permesso sedere tra i lavori del vertice Onu insieme ai leader mondiali, dilettandosi nel lobbysmo (150 Euro l’entrata) e polizia per i contadini ed i lavoratori sud africani. La questione agraria è stata lo spettro che si è aggirato per il vertice. Nonostante il vertice ufficiale abbia individuato il problema agricolo nel protezionismo dei paesi avanzati verso i paesi arretrati e la soluzione nei microcrediti, i contadini senza terra africani parlavano un linguaggio ben più concreto ed immediato: vogliono la terra, vogliono espropriare la terra in mano ad una cricca di proprietari terrieri. Nella marcia finale i cartelli più diffusi tra i contadini erano quelli inneggianti al presidente Mugabe dello Zimbabwe. Mugabe, di fronte al collasso economico, ed al ritorno dei veterani di guerra, è stato letteralmente costretto ad assecondare un movimento spontaneo di occupazione delle terre per rimanere in sella. Nello Zimbabwe, 4.400 proprietari terrieri bianchi tenevano in mano il 38% della terra coltivabile, mentre un milione di neri aveva in mano il 38% della terra più arida. 1.500 proprietari sono stati attualmente cacciati. Mugabe ha annunciato di voler espropriare anche i restanti 2.900. Gli Usa hanno annunciato di voler rimuovere Mugabe mettendo in piedi una coalizione africana, ma nessuno dei leader dei paesi circostanti (Sudafrica, Mozambico e Bots-wana) ha osato dare la propria approvazione a simile progetto. Mugabe è troppo popolare. Il rischio del "contagio" della situazione Zimbabwe al resto dell’Africa australe è altissimo: in Sudafrica il 70% delle migliori terre sono nelle mani di 60mila bianchi mentre 14 milioni di piccoli coltivatori neri si dibattono in una misera agricoltura di sussistenza. Il Governo sudafricano è così in un vicolo cieco: se Mugabe vince, il suo esempio sarà una continua spina nel fianco, se lo rimuovono potrebbero trovarsi un’insurrezione in casa. Mugabe ha avuto gioco facile a trasformare il suo intervento al vertice Onu in una tribuna. Ha esordito con lo slogan: "La terra e ciò che ci sta sopra appartengono al popolo". Ha continuato: "E’ giusto che gli interessi dei più prevalgano su quelli di una cricca elitaria che ha buone connessioni con l’Inghilterra". L’Unione Europea (quella spacciata per "progressista") ha imposto sanzioni allo Zimbabwe. Numoja, presidente della Namibia, si è candidato subito ad essere il vice-Mugabe dichiarando nel suo discorso: "Blair colonialista, vattene. L’Unione Europea ha imposto sanzioni allo Zimbabwe ma deve immediatamente levarle. I coloni britannici possiedono il 78% della terra in Zimbabwe! Non abbiamo bisogno di colonialisti".
Abbattere il capitalismo è l’unico sviluppo sostenibile
La parola "espropriazione" è tornata a ronzare nelle orecchie dei leader capitalisti. Purtroppo questa parola non è arrivata dalle organizzazioni dei lavoratori, dall’Anc, dal Cosatu o dal Sacp (il partito comunista sudafricano), né dai mille intellettuali che hanno affollato il Global Forum. E’ arrivata da un dittatore come Mugabe costretto dalla stessa situazione oggettiva a spostarsi tanto a sinistra quanto mai si sarebbe immaginato. Mugabe non è un rivoluzionario e mai avrebbe pensato di arrivare a tanto.
Le cose non saranno così semplici. Anche quando le terre dello Zimbabwe saranno definitivamente espropriate, con che semi si coltiveranno, con che trattori? Solo un’espropriazione di tutti i principali capitali e un’estensione della rivoluzione ai paesi industrializzati risolverà i problemi dell’agricoltura africana. L’espropriazione è iniziata dalle terre ma deve concludersi nelle città, pena il ritorno indietro.
L’idea di espropriare le terre non è venuta dalla testa di Mugabe, questo dittatore è stato costretto soltanto a raccogliere un’idea maturata nella testa dei contadini e venuta dalla catastrofica situazione oggettiva del capitalismo. Dall’altra parte i programmi moderati, confusi, mai definiti delle mille associazioni antiglobalizzazione, dei loro intellettuali e delle sospette Ong hanno lasciato strada alle posizioni moderate dei dirigenti Anc. Il Global Forum pensava di aprire contraddizioni nell’Onu, in realtà sono i Governi dei paesi capitalisti che hanno aperto le contraddizioni del Global Forum.
Lo slogan lanciato dai dirigenti anti-globalizzazione era: "fuori il Wto dall’Onu". In pratica il responsabile dei problemi del mondo non sarebbe il capitalismo, ma il Wto. Siamo spiacenti di informare che gli stessi paesi aderenti al Wto, aderiscono all’Onu. L’Onu è composta da paesi capitalisti. Ignacio Ramonet scriveva su Le Monde Diplomatique prima di Johannes-burg "dell’immensa speranza che è riposta nel vertice di Johannes-burg. Speranza che potrebbe essere delusa se gli egoismi nazionali, la logica produttivistica, lo spirito mercantile e la legge del profitto dovessero avere la meglio". Stranamente in un’assemblea di paesi capitalisti la legge del profitto ha avuto la meglio, signor Ramonet!
Il mondo è senza dubbio sull’orlo della catastrofe ambientale oltre che sociale e politica. Eppure mai come oggi le forze produttive potrebbero fornire una soluzione rapida ai problemi dell’umanità. Mentre il pianeta ha 6 miliardi di abitanti, sarebbe possibile produrre cibo per 10 miliardi di persone. Ma la produzione non potrà mai svilupparsi in base ai bisogni della popolazione (compreso quello ambientale) finché una cricca di imprenditori a livello internazionale terrà in mano i mezzi di produzione dirigendoli in base ai profitti. Solo l’espropriazione delle principali multinazionali per porle sotto il controllo della popolazione a livello mondiale, in un’economia armonicamente e democraticamente pianificata, è la chiave per la soluzione del problema ambientale come per il resto dei problemi dell’umanità.
Questo è il programma dei marxisti: il socialismo, l’unico vero "sviluppo sostenibile".