Parlare del disegno di legge 2313 del Ministro di grazia e giustizia, detto “svuota carceri”, mentre imperversa la polemica politica tra i populisti securitari ed i finti buoni, ci stimola ad articolare un pensiero diverso, comunista, umano e sociale.
Intanto nei primi due articoli del Ddl, in cui si parla di detenzione domiciliare degli ultimi 12 mesi del condannato (sia come condanna reale che come parte finale di una condanna) non c’è l’automatismo tanto decantato ma il tutto è delegato alla magistratura di sorveglianza.
Anche il Pubblico ministero, a fronte di una condanna a 12 mesi, pur decidendo per la detenzione presso il domicilio del condannato, deve comunicarlo al magistrato di sorveglianza che, solo dopo le valutazioni del caso, prende le sue decisioni.
A voi le valutazioni sulla rapidità dei tempi tecnici.
Oltre alle canoniche esclusioni di chi è condannato per reati associativi, per traffico internazionale di droga, per omicidio e reati sessuali e di allarme sociale, c’è l’esclusione di chi si vede applicati gli articoli 102, 105 e 108 del codice penale, ovvero i cosidetti delinquenti abituali, professionali e per tendenza.
Fermiamoci ai primi due: chi sono queste persone? Sono quelli che vivono l’esclusione sociale da quando sono nati, per i quali il furto è diventato l’unica fonte di reddito, nell’assenza totale di uno Stato che, al contrario, con leggi di impianto capitalista, classista e securitario, ne ha rafforzato l’esclusione.
Il vecchio e nuovo proletariato e sottoproletariato che, in mancanza di una risposta da parte di una (in)civile società, ha introiettato l’extralegalità come normalità.
Per risolvere veramente il grave problema del sovraffollamento delle carceri, occorre cancellare tutte quelle leggi che creano delle vere e proprie carcerazioni sociali: dalla Bossi-Fini al pacchetto sicurezza (che, inventando il reato di immigrazione, ti punisce per quello che sei e non per quello hai fatto); dalla Fini-Giovanardi che equipara il giovane tossicodipente (o fruitore occasionale) al grande spacciatore e che ha portato al caso di Stefano Cucchi, alla legge sulla recidiva, o ex Cirielli, che nega ogni beneficio a chi commette gli stessi reati in forma seriale: appunto tutti quelli che sono marchiati giuridicamente e socialmente dai soprannominati articoli 102, 105 e 108.
Chiedere l’annullamento di quelle leggi e l’automatismo della legge Gozzini, cioè quell’insieme di norme che permettono un vero processo di riqualificazione di chi è inserito nel circuito penale, dovrebbe essere la vera azione di un Ministro della giustizia.
Con queste azioni si risolverebbe di colpo il sovraffollamento e la qualità della vita, nell’immediato, di chi deve restare in carcere. Purtroppo però se si insegue il “consenso dell’opinione pubblica”, in forma palese o mascherata, bisogna fare i conti con i poteri economici che vogliono fare profitto in ogni settore.
Si giustifica così il via libera del governo tecnico alla privatizzazione della costruzione di nuovi istituti penitenziari ed alla privatizzazione dei servizi di custodia ed accessori, provvedimenti a cui si sono ribellati i sindacati di categoria rivendicando la tutela del servizio pubblico.
Questo è il risultato che si ottiene se si pensa di risolvere i problemi sociali con il codice penale, ottenendo solo l’unico effetto di spostare il problema all’uscita dal carcere dei detenuti.
Al contrario, bisognerebbe fare una battaglia politica sul vincolo inserito dal governo Berlusconi volto alla destinazione delle entrate della cassa ammende (ente pubblico gestito dal Ministero della giustizia) per la costruzione di nuove carceri. Una svolta di 180 gradi rispetto della naturale destinazione dei fondi, ovvero l’aiuto alle famiglie dei detenuti, per i processi di riqualificazione delle persone recluse.
Ed è su questi temi che, come sportello di segretariato sociale sul carcere del circolo Prc di Ponte Mammolo, siamo impegnati.