Il testo che segue è la sintesi dell’intervento di Anibal Montoya, redattore della rivista argentina El Militante, tenuto quest’estate a Barcellona alla Conferenza internazionale del Sindicato de Estudiantes. Sul nostro sito è possibile consultare un articolo dello stesso Montoya sul bilancio delle elezioni presidenziali.
La situazione politico-sociale in Argentina resta in piena evoluzione. Il crollo delle forze produttive e la crisi verticale dello Stato sono la conseguenza delle crisi che hanno segnato varie parti del mondo negli ultimi anni (economie asiatiche nel ’97, Russia, Turchia, Brasile). L’ondata rivoluzionaria in Argentina, iniziata nel dicembre 2001, aveva portato alle dimissioni di tre presidenti, la formazione di organi di contropotere come le assemblee popolari e il fiorire di proposte chiaramente rivoluzionarie.
Ora, la tregua sociale che ha contraddistinto gli ultimi mesi non è il ritorno ad una normale fase di democrazia borghese; è necessario analizzare la realtà da tutti i punti di vista per capire i movimenti delle forze vive presenti nella società e gli sviluppi futuri.
Innanzitutto ci sono due elementi importanti da prendere in considerazione. Uno di questi riguarda il fallimento della sinistra rivoluzionaria, sia nel campo politico che in quello sindacale. I gruppi di sinistra non sono mai riusciti a trovare, nell’ultimo anno e mezzo, un seguito di massa, ma hanno raggiunto una qualche influenza solo in alcuni settori del proletariato.
Tra questi i gruppi trotskisti, molto presenti e diversificati in Argentina, tra i quali solo tre hanno una certa consistenza (Mst, Po, Pst), continuano tutti a ripetere in modo meccanico la richiesta di un’assemblea costituente. Tutto questo è la spia di palesi difficoltà.
La direzione burocratica dei sindacati continua ad appoggiare il governo: prima Duhalde, ora Kirchner.
L’altro fattore decisivo per comprendere la situazione è la crisi economica. Le masse sono disperate e cercano di sopravvivere, chi ha lavoro cerca di conservarlo. Il 58% degli argentini vive sotto la soglia di povertà, il 28% sotto la soglia dell’indigenza. Il 40% degli argentini vive con meno di un dollaro al giorno. La disoccupazione rimane ad un livello molto alto. Ormai si contano a migliaia i bambini che muoiono per cause legate alla povertà. Questo in un paese che, secondo le stime della Fao, potrebbe produrre cibo per oltre 300 milioni di persone. In tali condizioni, i lavoratori non hanno visto una pronta e credibile alternativa rivoluzionaria; così sono entrati in una fase di riflessione. La borghesia ovviamente ha tentato di approfittarne, in particolare attraverso l’uso del processo elettorale al fine di deviare l’attenzione delle masse.
Le elezioni presidenziali tenutesi il 27 aprile hanno visto Kirchner arrivare alla Casa Rosada. Diversi gruppi di sinistra hanno così parlato di un generale spostamento a destra delle masse argentine. E’ un’analisi superficiale e scorretta. Il proletariato argentino, in una situazione di pesante difficoltà economica, non vedeva un’alternativa a portata di mano. Ha cercato attraverso le elezioni una possibile via d’uscita alla crisi, una soluzione per un futuro immediato migliore. Tutto ciò, in assenza di una grande e credibile organizzazione politica operaia, si è manifestato, senza particolari illusioni o entusiasmi, con la scelta del minor male possibile tra i vari candidati.
Se valutiamo l’operato di Kirchner nel breve periodo che è stato alla presidenza, una serie di misure mostrano una chiara volontà di guadagnare consensi tra le masse. Kirchner ha epurato circa l’80 % dei vertici militari, molti dei quali con un passato legato alla dittatura militare. Lo stesso è avvenuto fra i vertici della polizia e della magistratura. E’ stato allontanato anche il presidente della corte suprema, accusato di corruzione, e sembra ci sia la volontà di colpire anche altri membri di questo organo. Una serie di elementi corrotti posti al vertice della burocrazia statale sono stati licenziati.
Recentemente è stata approvata dal parlamento a larga maggioranza l’abrogazione, fortemente sostenuta dal Presidente, delle leggi di amnistia per i responsabili delle stragi durante la dittatura. Il provvedimento ha suscitato entusiasmo fra le masse. Sul piano sociale, sono stati congelati affitti e mutui; sono stati bloccati gli sfratti. Un conflitto sindacale che coinvolgeva gli insegnanti elementari è stato risolto con il pagamento dei salari da tempo non versati. C’è stato un aumento del salario minimo nel settore privato (riguarda comunque una fascia minoritaria della popolazione) pari al 50 %; c’è stato un aumento del 10 % delle pensioni. Kirchner ha ricevuto al palazzo presidenziale tutti i settori di piqueteros. Ha ricevuto anche le personalità che in Argentina hanno simboleggiato la lotta al capitalismo e alla dittatura, fra questi le Madri di Plaza de Mayo. Durante la cerimonia di insediamento, si è circondato volutamente di fronte ai giornalisti dei simboli attuali della sinistra latino-americana: Lula, Castro, Chavez.
Quanto realizzato da Kirchner non deve comunque portare ad una valutazione sbagliata. Il Presidente argentino non si sta spostando su posizioni socialdemocratiche ma rimane un politico borghese. Se guardiamo ad altre esperienze politiche sudamericane come quella di Lula in Brasile o di Gutierrez in Ecuador, ci troviamo di fronte ad un’apparente contraddizione.
Mentre questi ultimi si presentano alle masse come leaders operai e di sinistra, una volta al potere, conducono una politica di contro-riforme a svantaggio dei lavoratori. Al contrario un politico borghese come Kirchner, una volta al potere adotta una politica di parziali concessioni alle masse.
La spiegazione è data dalla situazione sociale che si è sviluppata in Argentina. Dopo il dicembre 2001 nuovi sollevamenti sono sempre possibili; la classe dominante intuisce quanto sia utile fare concessioni alle masse al fine di evitare uno sbocco rivoluzionario. Ma questo non spiega tutto su Kirchner.
La sua azione trova dei precisi referenti in alcuni settori della borghesia nazionale. C’è infatti un settore della borghesia argentina, principalmente legata all’export e al settore finanziario, che ha accumulato enormi fortune negli anni passati, godendo di scarse imposizioni fiscali e dell’appoggio di burocrati statali corrotti. In opposizione a questa vediamo una parte della borghesia maggiormente dipendente dal mercato interno che appartiene al ramo industriale. Questo settore chiede di finanziare la ripresa economica attraverso le imposte ai settori finanziari e dell’esportazione, al fine di preservare almeno in parte la spesa sociale e sviluppare la domanda interna di beni di consumo.
Questo settore è quello che appoggia apertamente Kirchner. Per raggiungere i suoi scopi, compresa la necessità di ricostruire su basi solide il disastrato e screditato apparato statale, Kirchner deve fare piccole concessioni alla classe operaia e ai settori più poveri della società. Deve trovare l’appoggio delle masse ed effettivamente la sua popolarità sta crescendo. Ad ogni modo, il governo argentino attualmente mostra ancora la volontà di adempiere al pagamento dell’ingente debito estero che strozza la società argentina. A settembre ci sarà un incontro decisivo con il Fmi. Sempre con il Fmi è stato trovato un accordo per la restituzione alle banche dei fondi persi a causa dei provvedimenti economici degli ultimi mesi; l’unica soluzione per rispettare tali promesse è aumentare le tariffe in generale. Kirchner ha inoltre dichiarato che non intende ristatalizzare quanto privatizzato negli ultimi anni. Tutta la sua strategia si basa su di una prospettiva, quanto meno dubbia, di forte crescita economica in Argentina.
Dal punto di vista dell’organizzazione politica, Kirchner sta cercando di “mettere ordine”, attraverso l’appoggio popolare, all’interno dell’apparato peronista. Il partito giustizialista è da tempo allo sbando, diviso in fazioni e denigrato dalle masse. E’ in pieno svolgimento uno scontro con Duhalde per prenderne il controllo; in questo momento Kirchner non gode ancora di un forte apparato politico in grado di sostenerlo. E’ significativo notare come nelle prossime elezioni del governo della capitale (si sono tenute il 24 agosto scorso, NdR.), Kirchner appoggia pubblicamente Ibarra, candidato orientato al progressismo piccolo-borghese, in contrapposizione a Macri, candidato della destra peronista e membro della oligarchia locale (con la sinistra che si presenta ancora più divisa, ripetendo gli errori del passato).
Nella sua battaglia politica, Kirchner trova un sostegno importante nella Cta, centrale sindacale di notevole peso nata da una scissione riformista della Cgt. Quest’ultima invece non appoggia il Presidente. La Cgt rimane legata a quei settori dello Stato e dell’economia che hanno perpetrato il saccheggio dell’Argentina negli ultimi anni; la sua credibilità di fronte ai lavoratori è sempre più a pezzi.
All’interno della Cta si scorge un certo fermento. Già nel corso dell’ultimo congresso, nel dicembre scorso, era stata avanzata la proposta di fondare un movimento politico autonomo che diventasse un punto di riferimento per i lavoratori. La proposta finora non è stata attuata a causa dei tentennamenti e delle resistenze della burocrazia sindacale, timorosa di spingersi troppo avanti.
Nulla esclude che il progetto possa realizzarsi nel prossimo futuro, attraverso la pressione dei militanti. Non è da escludere neanche un’alleanza con Kirchner. Il presidente argentino finirebbe così col trovare un appoggio organizzato e di massa al di fuori del peronismo, contribuendo così alla frantumazione dello stesso.
Fra le masse proletarie argentine, la fase di rallentamento nelle mobilitazioni non ha determinato un sentimento di sconfitta (al contrario di quanto si è sviluppato all’interno di alcune avanguardie o presunte tali). In questo periodo non c’è sicuramente grande entusiasmo, ma non c’è stata una sconfitta decisiva e le lotte proseguono. Si è sviluppato un movimento di scioperi per gli aumenti salariali, in particolare nel settore pubblico. Fasi di lotta hanno interessato i lavoratori della scuola, della sanità, dell’amministrazione pubblica, dei trasporti, della nettezza urbana e persino della polizia. Scioperi spontanei si sono svolti fra i lavoratori della metropolitana contro un accordo firmato dai sindacati con il padronato.
Indicativo dello stato d’animo delle masse è l’incontro pubblico tenuto da Fidel Castro a Buenos Aires. Ha radunato oltre 20 mila persone. Questa è un’espressione del sentimento rivoluzionario del popolo: la gente ha visto in Castro, nonostante tutti i suoi limiti, un simbolo.
Gli elementi di protagonismo operaio e popolare sorti con forza durante i momenti più caldi della rivoluzione argentina sono ora in una fase intermedia. Le assemblee popolari sono ridotte ad uno scheletro rispetto a quello che erano nei giorni migliori; ma continuano ad esistere, pronte ad essere nuovamente riempite nel futuro. Il movimento di occupazione delle fabbriche prosegue in realtà minori nelle quali i padroni hanno dichiarato bancarotta.
Il calo della lotta in generale ha mutato le parole d’ordine, trasformando la richiesta di nazionalizzazione sotto il controllo operaio in ricerca di vie d’uscita individuali come quella della costituzione di cooperative. La classe dominante spinge per queste soluzioni, attaccando allo stesso tempo le fabbriche occupate più radicalizzate come la Brukman sgomberata.
Resiste ancora uno dei simboli della lotta operaia argentina, la Zanon. Si diffonde comunque nella società la correttezza dell’idea di occupare le aziende chiuse dai padroni. Il movimento piquetero e le Assemblee nazionali dei lavoratori soffrono di gravi e deleterie divisioni al loro interno. L’unica ragione di tali dissidi risiede nella volontà di gruppi e partiti politici di non arrivare ad una fusione, al fine di evitare la perdita di aree di influenza. Ad esempio, sono state convocate due assemblee generali dei lavoratori, una a giugno e l’altra ad agosto. La prima vedeva l’appoggio del Pts e del Mas, la seconda era sostenuta da Bloque Piquetero, Mijd, Po e Pc. E’ assolutamente necessario, invece, ricompattare il fronte dei lavoratori con lo scopo di usare queste strutture come mezzo non solo per la lotta nei confronti dei padroni, ma anche per contrapporsi alla burocrazia che controlla i sindacati e frena possibili conquiste della classe operaia. I compiti e gli obiettivi dell’avanguardia proletaria argentina si possono realizzare solo attraverso l’applicazione di una corretta tattica di fronte unico.
Quali prospettive si possono delineare per la realtà argentina? Per rispondere, dobbiamo analizzare strategie e interessi delle varie forze presenti, innanzitutto valutando la strada che può percorrere il governo. Il tutto senza scordare il contesto nazionale e internazionale nel quale si muovono questi soggetti. Un elemento è da prendere anzitutto in considerazione: per definire la traiettoria di un partito o di un politico borghese in Argentina non si possono usare canoni identici a quelli propri della realtà europea. L’influenza dell’ideologia populista è sempre presente e può condurre ad una contraddizione con la propria classe di riferimento, la borghesia. Negli anni ’70 Kirchner apparteneva alla sinistra peronista; suo fratello era addirittura un Montonero (organizzazione terrorista negli anni ‘70 della sinistra peronista, NdR).
Valutando le reazioni alla purga dei vertici militari e agli attacchi ai criminali della dittatura, notiamo come tutti i media borghesi argentini abbiano criticato tali misure. I media reazionari hanno adottato toni isterici, ricordando la situazione spagnola dopo la caduta di Franco e invocando colpi di Stato. La stessa borghesia che appoggia Kirchner ritiene che il presidente si sia spinto troppo oltre. In tutti i Paesi passati sotto una dittatura, la borghesia ha sempre conservato vivo l’apparato militare come spada di Damocle pendente sulla testa delle masse al fine di incutere timore.
I provvedimenti di Kirchner rompono questa paura e sicuramente hanno un effetto benefico sulla coscienza popolare. Per quanto riguarda i programmi di riforma sociale, il governo ha due strade, se incalzato dalla pressione delle masse: o arriva a uno scontro con i lavoratori (rompendo con i sindacati e aumentando la radicalizzazione nella società) o prosegue e aumenta gli attacchi contro settori della borghesia. Questo comporterebbe inevitabilmente uno spostamento a sinistra.
Kirchner potrebbe tentare di dare nuova linfa al peronismo attraverso una scissione dal morente partito giustizialista. Un appoggio a un’operazione del genere potrebbe arrivare da settori del sindacato e dall’Ari (il partito di centrosinistra guidato da Elisa Carriò, NdR).
Ma la contraddizione fondamentale che investe il progetto di Kirchner e che necessariamente verrà a galla, riguarda la volontà di portare a termine riforme a favore delle masse senza modificare le caratteristiche fondamentali dell’economia argentina. In altri termini, senza rompere con interessi sempre più ingenti del capitalismo nazionale e internazionale (la questione del pagamento del debito estero è illuminante in proposito). Questo, in un contesto di crisi economica mondiale e in particolare nell’America Latina, non è assolutamente realizzabile. Il peronismo come strategia politica per un’alleanza di classe, con riforme a favore del proletariato al fine di evitare la rivoluzione, non è più proponibile. Non lo è stato negli anni settanta, a maggior ragione non lo è adesso. Le masse argentine hanno già sperimentato le illusioni populiste; in seguito hanno subito la dittatura militare e la devastazione sociale sotto la democrazia borghese. Hanno la chiara percezione di quale sia la loro realtà sotto l’economia capitalista.
Dopo la rivoluzione argentina del dicembre 2001 difficilmente si torna indietro. La coscienza delle masse è sicuramente soggetta ad arretramenti temporanei, disillusioni e stanchezza; ma deve essere chiaro che il salto di qualità è stato effettuato, la critica all’intero sistema è sempre pronta ad esplodere.
La necessità di un forte partito rivoluzionario della classe operaia è ora più che mai all’ordine del giorno e si dimostra essere la chiave per sbloccare la situazione e condurre i lavoratori argentini all’unica soluzione per i loro problemi, ovvero il socialismo.
L’influenza che la situazione internazionale, in particolare le masse in rivolta in tutta l’America Latina, avranno sulla realtà argentina è un altro fattore da non trascurare. Ad ogni modo è certo che la fase di lotta di classe apertasi in Argentina da un anno e mezzo è tutt’altro che terminata, come invece sostengono media e ideologi borghesi.
Nuovi sconvolgimenti si preparano in linea con la lotta di tutto il proletariato latino-americano per difendere il proprio futuro.