Poco prima di morire, Alessandro Manzoni ripensò alla sua intera opera e giunse alla conclusione che essa non rispondeva affatto ad alti ideali artistici poiché essa non rispondeva esattamente all’ideale di verità storica, nonostante lo sforzo artistico dello scrittore milanese tendesse al raggiungimento della verità storica come il valore più alto, non solo in termini letterari, ma civili e morali.
Dopo più di 150 anni, la borghesia italiana fa invece della falsità storica la sua bandiera, rinunciando a qualsiasi riflessione critica sulla sua storia e riscrivendola e assolvendosi dai suoi peccati e dai suoi orrori.
La RAI, la televisione di stato, compie sessant’anni e li festeggia degnamente rinnovando il suo servile ossequio alla borghesia italiana, trasmettendo una fiction in tre puntate sugli anni che vanno dal ’68 all’80, presentando la vicenda secondo il punto di vista di tre personaggi, “il commissario”, “il giudice” e “l’ingegnere”.
Chi è “Il commissario”?
La prima parte è dedicata alla figura di Luigi Calabresi, commissario alla questura di Milano. Tutto l’episodio mira chiaramente a dipingere Calabresi come “uomo perbene”: buon padre di famiglia, buon cristiano, amico affettuoso, collega disponibile, non gira mai armato, sempre pronto al dialogo, a calmare gli animi più rissosi, anche tra le fila della stessa polizia, fedele servitore dello Stato. Non è nostro compito indagare sulla personalità privata di Calabresi, ma certo possiamo dire che fu fedele servitore dello Stato. Egli infatti si distinse per la repressione nei confronti di anarchici e gruppi di estrema sinistra (e pertanto la figura del commissario del dialogo appare poco convincente, così come appare nella fiction). Luigi Calabresi era noto negli ambienti dell’estrema sinistra milanese come “il commissario finestra” o “il commissario cavalcioni”, per le sue pratiche poco ortodosse e poco democratiche, da vera inquisizione, utilizzate durante gli interrogatori agli arrestati, per provare ad estorcere informazioni e confessioni. A causa di queste pratiche l’anarchico Giuseppe Pinelli, fermato per la strage di Piazza Fontana, morì compiendo un tragico volo dalla finestra della stanza di Calabresi.
Sulla vicenda di Pinelli è stato scritto e detto molto e non vogliamo dilungarci di più su quanto è stato già appurato da libri, inchieste e cortometraggi, come ad esempio nel famoso La strage di Stato. Significativo ci sembra pure il cortometraggio Tre ipotesi sulla morte dell’anarchico Pinelli di e con Gian Maria Volonté: crediamo valga la pena di guardarlo. A volte dieci minuti di documentario di un attore di primo livello valgono molto di più di varie ore di una fiction in due puntate, per l'esatto motivo che la verità è rivoluzionaria e pertanto ha in sé un alto valore artistico e morale.
Chi è “Il giudice”?
La seconda puntata è dedicata a Mario Sossi, il magistrato che sostenne la pubblica accusa nel processo contro l’organizzazione di estrema sinistra Gruppo XXII Ottobre e che venne rapito dalle Brigate Rosse nel 1974. Anche Mario Sossi appare un uomo integerrimo, anche lui buon padre di famiglia e guidato da un alto senso della morale e dello stato, pronto a battersi a costo della sua stessa vita per la difesa delle istituzioni e della democrazia. Ma in realtà Sossi è sempre stato un militante e sostenitore dell’estrema destra: da giovane si iscrive al FUAN, l’organizzazione universitaria del MSI (erede del disciolto partito fascista); da magistrato si iscrive all’UMI, l’associazione dei magistrati di estrema destra. Durante la sua attività, si distingue per la particolare “attenzione” ai militanti dell’estrema sinistra o semplici lavoratori che utilizzavano il diritto di sciopero, colpendo ad esempio i lavoratori degli ospedali psichiatrici di Quarto e Cogoleto, oppure chiedendo l’arresto, con false accuse di terrorismo per molti militanti della sinistra extraparlmanentare ed ex-partigiani, o ancora quando perseguitò violentemente il Soccorso Rosso Militante di Dario Fo e Franca Rame che forniva assistenza legale ai militanti della sinistra incarcerati e monitorava le situazioni carcerarie vissute da chi subiva la repressione dello stato.
Dopo l’esperienza in magistratura, si candida nel 2006 a Genova nelle liste di Alleanza Nazionale, nel 2008 è coordinatore di Azione Sociale di Alessandra Mussolini e nel 2009 si candida con Forza Nuova, giudicando il PdL “troppo a sinistra”. Non c’è che dire: davvero un curriculum di tutto rispetto per chi, come viene presentato nella fiction, sembra essere l’alfiere della democrazia e dell’ordine costituzionale!
Chi è “L’ingegnere”?
È un personaggio di fantasia ritagliato su uno dei quadri aziendali della FIAT del 1980. La sua vita è travagliata dall’adesione di sua figlia al gruppo “Prima Linea” e dalle vicende aziendali che interessarono la fabbrica torinese nel 1980. Anche qui, il protagonista, Giorgio Venuti, è sempre guidato dal buon senso, è uomo equilibrato, devoto alla religione della famiglia, fedele a “mamma FIAT”. Ciò che non viene detto nella fiction, tuttavia, è che le decisioni prese dal comitato dei quadri aziendali, di cui Venuti fa parte, di convocare una manifestazione “per il lavoro” in realtà fu una manifestazione contro i lavoratori, contro gli operai che stavano lottando contro il piano di massicci licenziamenti alla FIAT.
La manifestazione che passò alla storia come “Marcia dei quarantamila” fu in realtà l’ultimo tassello dell’attacco padronale di fronte alla reazione operaia che si scatenò all’annuncio del piano di tagli all’occupazione. Quella manifestazione viene descritta nell’ultima puntata della serie come la giusta risposta di chi vuole lavorare contro chi attenta alla democrazia picchettando selvaggiamente la fabbrica. In realtà quel corteo e i quadri aziendali e dirigenti che la organizzarono posero fine a un ciclo di lotte operaie che si era aperto dodici anni prima, ponendo fine all’“incubo” della classe padronale e aprendo la strada a decenni di controriforme e attacchi alla classe lavoratrice di questo paese.
Dove sono le masse?
Chiunque abbia visto tutte le puntate della fiction non ha potuto fare a meno di notare che chi si è posto in posizione antagonista nei confronti dell’ordine costituito, dello stato, della “democrazia” cadeva inevitabilmente nelle braccia del terrorismo. Così l’intera storia che va dalle proteste studentesche del ’68 alle lotte alla FIAT, conclusesi tragicamente nel 1980, viene ridotta allo scontro tra piccoli gruppi estremisti di sinistra e lo Stato, che ovviamente ha i suoi martiri e i suoi eroi. Il commissario, il giudice e l’ingegnere, appunto.
Tutta la vicenda delle lotte studentesche e operaie di massa di quegli anni è osservata dal punto di vista della borghesia, che ha vissuto con orrore quegli anni perché effettivamente la classe dominante pensò che il suo potere stesse vacillando, ma non sotto i colpi del terrorismo rosso, ma sotto i colpi delle proteste di massa, dell’ideologia rivoluzionaria che era penetrata a fondo tra la classe lavoratrice. Ma in questa fiction, semplicemente le masse scompaiono. E le azioni di protesta sono legate all’iniziativa di qualche sparuto gruppo di manifestanti che nel migliore dei casi sono semplici macchiette di giovani senza arte né parte abbagliati da ideologie estremiste ed estranee al senso democratico, nel peggiore dei casi bande di gangsters dall’arma facile.
La lotta di classe e di massa viene eliminata maldestramente con un taglio nel montaggio: basta spostare la cinepresa un po’ più in là e metterla al servizio della classe dominante e servirla sul piatto degli italiani.
Perché tutto questo? Le operazioni ideologiche della classe dominante non avvengono mai per caso.
Di fronte ad attacchi sempre più pesanti alla classe lavoratrice nel nostro paese (come nel caso della Electrolux, della Whirpool o della stessa FIAT) e di fronte agli atteggiamenti repressivi nei confronti dei movimenti di massa (come quello contro il TAV), è utile rispolverare un po’ di marcia ideologia borghese da servire in prima serata, mostrando come alla fine ci si possa fidare dello stato e dei suoi rappresentanti e che chi lotta in fin dei conti può varcare sempre il limite del terrorismo.
Oggi più che mai, di fronte al crollo di credibilità del capitalismo e del suo sistema istituzionale, sempre più persone in Italia e in Europa, dichiarano di non aver fiducia in questo sistema, nello Stato e nelle sue istituzioni. Per noi marxisti non è affatto una notizia spiacevole, anzi questo stato d’animo rafforza la nostra battaglia per un ordine diverso, realmente democratico, socialista. Ovviamente, per la borghesia è un incubo. Le parole dell’“ingegnere”, al termine della fiction sono rivelatrici: “L’incubo iniziato con le bombe del ’69 si era finalmente concluso”. Si era concluso con la più pesante sconfitta operaia, da quando gli operai avevano osato sfidare apertamente lo stato e l’ordine costituito. Ma l’incubo di cui parla l’ingegnere non è quello del terrorismo, che in quegli anni, sebbene fosse presente, rappresentò un episodio marginale rispetto alla potente avanzata del proletariato italiano, alle sue proteste di massa e ai suoi metodi democratici di lotta e di organizzazione.
Oggi la borghesia italiana sa che quel sentimento di sfiducia verso il suo stato, le sue istituzioni e i suoi partiti che serpeggia, anche se in modo carsico e meno cosciente tra la gente, può trasformarsi rapidamente in coscienza rivoluzionaria. E allora non basteranno libri, fiction, giornali e dibattiti politici per fermare le proteste di massa che inevitabilmente attraverseranno di nuovo il nostro paese e verranno riscoperte le migliori tradizioni di lotta del biennio rivoluzionario del ’68 – ’69.
Prepararsi a questi eventi è il dovere di ogni rivoluzionario che vuole porsi il compito di rovesciare questa società di miseria e sfruttamento, di disoccupazione e licenziamenti di massa e lottare per una società più giusta, realmente democratica e di uguali.