La denuncia di un presunto attacco per mezzo di gas nervino da parte delle truppe governative ha creato le condizioni per un’escalation del conflitto in Siria. I governi di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia si preparavano a un attacco immediato a Damasco. Lo smacco clamoroso subito da Cameron nel parlamento britannico, le divisioni fra le varie potenze imperialiste e l’opposizione maggioritaria all’avventutra bellica fra la popolazione americana hanno convinto Obama a operare una svolta di 180 gradi e prendere tempo prima di un attacco, cercando l’autorizzazione previa del Congresso. La strada verso l’intervento militare sembra ormai inarrestabile.
Senza dubbio, la guerra civile siriana ha prodotto orrori senza fine. Il movimento di massa, che ha tratto ispirazione dalle rivoluzioni tunisina ed egiziana dell’inizio del 2011, a causa dei limiti della propria direzione e le particolarità politiche e sociali della Siria, si è tramutato in un confronto militare basato sulle divisioni religiose presenti nel paese. In tale conflitto si sono inserite le borghesie arabe, soprattutto i paesi del Golfo, che hanno finanziato pesantemente le milizie armate a loro più vicine. Le forze progressiste fra i ribelli sono state totalmente ridimensionate ed isolate, e la guida dell’opposizione è stata presa dagli elementi più reazionari. Ciò ha permesso a sua volta ad Assad di recuperare un appoggio fra i settori cristiani, sciiti e curdi della popolazione, oltre alla sua tradizionale base alauita e di tutti coloro che difendevano la laicità del paese, facendo leva sulla loro legittima paura di una deriva fondamentalista.
Armi di distruzione di massa?
“I crimini di Assad sono assolutamente certi”, spiega il segretario di stato Kerry, che paragona Assad a Hitler. Obama sostiene che è stato “l’attacco con armi chimiche più grave del 21° secolo”. L’esercito siriano avrebbe ucciso centinaia di civili in una zona della periferia di Damasco controllata dall’opposizione. Immediatamente (e in alcuni casi addirittura prima che il presunto attacco avesse luogo) sono stati pubblicati su internet video che mostrano decine di cadaveri e gli ospedali pieni di civili sofferenti, in gran parte bambini, sostenendo che l’attacco fosse stato compiuto dalle forze governative.
II Segretario di Stato americano John Kerry ha dichiarato che le prove “ci stanno urlando in faccia” che sono state usate armi chimiche in Siria, e che l’uso di armi chimiche da parte della Siria “dovrebbe scuotere la coscienza del mondo”.
Non sappiamo se c’è qualche fondo di verità in questi “dossier”. La cosa più probabile è che le armi chimiche siano nelle mani sia dell’esercito siriano che delle bande armate dell’opposizione. Ma di certo non c’è nessun interesse nello stabilire la verità, né da parte del governo statunitense, alla disperata ricerca di una scusa per intervenire, né da parte delle forze dell’opposizione armata, demoralizzate, che vedono l’intervento degli Usa come l’unica possibilità a disposizione per volgere la guerra a proprio favore.
D’altra parte, non sottolineeremo mai abbastanza come il regime di Assad non abbia alcun bisogno di usare le armi chimiche per schiacciare i propri oppositori, tanto più in un quartiere di Damasco vicino a zone residenziali densamente popolate. Anzi un azione simile sarebbe completamente folle da parte sua, non facendo che servire agli Stati Uniti su un piatto d’argento la tanto agognata scusa per intervenire direttamente nel conflitto.
C’è chi nutre speranze, e purtroppo è il caso della maggior parte dei leader della sinistra e del movimento operaio a livello internazionale, che le Nazioni Unite possano giocare un ruolo nell’evitare l’escalation del conflitto. Tale ruolo dell’Onu in realtà è del tutto irrilevante. Nei suoi quasi 70 anni di storia l’Onu non ha mai impedito un conflitto. O è stata utilizzata come foglia di fico per gli interventi dell’imperialismo (vedi l’Afghanistan o più recentemente, l’intervento francese in Mali), oppure, quando le contraddizioni tra i membri del Consiglio di sicurezza non permettevano un accordo, è stata semplicemente bypassata (vedi le guerre in Kosovo e in Iraq). La diplomazia, quando una grande potenza imperialista decide di intervenire, passa in secondo piano. In guerra, tutto o quasi viene deciso dagli avvenimenti sul campo di battaglia.
L’accelerazione che Washington ha cercato di imprimere agli avvenimenti è dovuta al fatto che i rapporti di forza in questa guerra sono mutati drasticamente negli ultimi mesi e l’esercito siriano ha dimostrato di essere perfettamente in grado di sopraffare il potenziale bellico dell’opposizione, anche grazie all’aiuto delle milizie di Hezbollah.
“In guerra, la verità è la prima vittima”- come dice il celebre aforisma attribuito ad Eschilo. Ma persino per i bassi livelli di attendibilità della propaganda bellica, l’attuale situazione assume i contorni di una farsa completa.
Questa situazione non può non ricordarci i “dossier” su cui George Bush e Tony Blair hanno solennemente giurato, e solennemente mentito, che il regime iracheno di Saddam Hussein era in possesso di “armi di distruzione di massa”, giustificando così l’aggressione degli Stati Uniti all’Iraq del 2003.
Ma il punto non è se siano state usate o meno le armi chimiche e da chi. Dopo più di decine di migliaia di morti in questa sanguinosa guerra civile negli ultimi due anni, solo ora, improvvisamente, il governo degli Stati Uniti si preoccupa dello sterminio di bambini, donne e civili innocenti. Non importa quante persone siano state uccise prima di oggi da ambedue gli schieramenti, grazie alle armi fornite dalle potenze imperialiste – Russia e Iran a sostegno del regime di Assad e la diabolica alleanza di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Turchia, Qatar e Arabia Saudita dall’altra parte?
Aveva importanza se i bambini siano stati giustiziati per strada o davanti ai loro genitori da criminali reazionari per avere sfidato le regole della sharia, o uccisi in uno dei tanti bombardamenti di interi quartieri realizzati dai ribelli (o dall’esercito siriano) con armi “convenzionali”? Aveva importanza che, dopo un rastrellamento, intere famiglie siano state chiuse in un edificio e fatte saltare in aria con la dinamite come è successo a Khalidiya, solo perché cristiane o alauite? Chiaramente tutto questo non era abbastanza per “oltrepassare la linea rossa” dell’ipocrisia imperialista.
La debolezza dell’imperialismo
La doppiezza della borghesia di Washington è svelata dalla natura dei suoi alleati nel conflitto siriano. Per anni ci hanno raccontato che gli Usa ed Al Qaeda erano nemici mortali: in ultima analisi, la lotta contro Al Qaeda è stata la giustificazione per la guerra in Afghanistan. Ebbene, se ci fosse un intervento dell’esercito Usa in Siria, quest’ultimo si troverebbe a combattere a fianco di Al-Qaeda contro Assad. Anche milizie talebane saranno dalla parte della “democrazia”, sponsorizzate dai sauditi e dai servizi segreti pakistani.
L’obiettivo più plausibile degli Stati Uniti ci sembra essere quello di pregiudicare seriamente la capacità dell’esercito siriano di sfruttare il vantaggio temporaneo guadagnato nell’offensiva contro le forze armate dell’opposizione. Gli strateghi militari statunitensi puntano a far guadagnare loro un po’ di tempo per riorganizzarsi ed evitare una vittoria in campo aperto di Assad.
Questa strategia ha tuttavia sollevato numerose perplessità sia all’interno degli Stati uniti, sia fra i loro alleati. In primo luogo, gli Usa non hanno nessun punto di riferimento affidabile fra i ribelli siriani. Indebolire Assad per rafforzare chi? Al-Qaeda e altre forze totalmente fuori dal controllo di Washington?
In secondo luogo tutta l’esperienza recente ha dimostrato il fallimento della strategia americana, sia dei governi Bush che di quelli Obama.
In Iraq, la vittoria è stata solo apparente. Ritiratisi nel 2011, gli Usa hanno lasciato un paese diviso, sotto l’influenza iraniana e dove le stragi e gli attacchi terroristici aumentano quotidianamente. Gli attacchi sunniti (armati per anni dai servizi segreti americani) fanno più morti che ai tempi di Saddam. In Afghanistan l’esercito a stelle e strisce se ne dovrebbe andare nel 2014, lasciando una situazione per nulla pacificata. I talebani non hanno alcuna intenzione di scendere a patti e il conflitto si è esteso al Pakistan, dove i droni di Obama operano incursioni sanguinose nelle zone di frontiera. Ciò, assieme al successo in apparenza più clamoroso della presidenza democratica, la cattura e l’assassinio di Osama Bin Laden, ha ottenuto l’effetto di raffreddare, e non poco, i rapporti con lo storico alleato pakistano.
L’intervento in Libia ha portato all’eliminazione fisica di Gheddafi, ma ora la situazione è ingovernabile, con il paese diviso tra le milizie fondamentaliste e quelle tribali.
È quindi naturale che tra l’opinione pubblica occidentale la diffidenza verso tali interventi sia generalizzata. Ciò spiega il voto del parlamento di Londra e la riluttanza ad intervenire della borghesia tedesca e, seppur in una posizione di totale marginalità, di quella italiana.
Soprattutto, la vicenda siriana dimostra come la presa dell’imperialismo americano si sia indebolita in maniera colossale in questi anni. Il declino economico degli Usa fino a pochi anni fa era controbilanciato dalla sua supremazia militare. Dopo le avventure di Bush e di Obama, oggi pochi, soprattutto in Medio oriente, prendono sul serio Washington. Allo stesso tempo, le divisioni tra le varie potenze imperialiste si sono approfondite. La Siria è un paese chiave nello scacchiere mediorientale e per la Russia rappresenta praticamente l’unico punto di appoggio nella regione. Per il regime iraniano, la caduta di Assad significherebbe ritrovarsi decisamente indebolito nei confronti di Israele.
Inoltre, l’impatto della rivoluzione araba ha rimescolato gli schieramenti e i rapporti di forza esistenti prima del 2011. Nella regione l’imperialismo occidentale non ha più il controllo di un tempo. Nuovi protagonisti come il Qatar sono scesi in campo, spesso in competizione con altre élite tradizionalmente dominanti, come quella saudita. Esemplare è l’esempio dell’Egitto, dove il Qatar ha massicciamente finanziato i Fratelli musulmani, mentre i sauditi, che non si sono mai fidati completamente di Morsi, ora sono tra i più ferventi sostenitori del governo militare. Più a nord, la Turchia rivendica il suo ruolo di potenza regionale, e l’Iran non è restato con le mani in mano legando a sé il governo iracheno. L’Egitto, forse per la prima volta dai tempi di Nasser, nega il transito del canale di Suez alla marina americana…
Gli equilibri si sono completamente destabilizzati sull’onda delle rivoluzioni arabe, veri e propri movimenti di massa che hanno travolto tutto e tutti, altro che complotti orditi dall’Occidente!
Qualunque scelta compia Obama nei prossimi giorni, sarà negativa per gli Stati uniti. Se perdesse il voto del congresso, politicamente sarebbe un uomo finito. Se, di conseguenza, rinunciasse all’attacco, la credibilità dell’imperialismo americano diverrebbe pari a zero. sia nei confronti degli avversari (e già la stampa russa è stata prontissima a farsi beffe del presidente democratico) sia verso i suoi alleati più stretti. Che, come la Turchia hanno obiettivi ben diversi, volendo sbarazzarsi del presidente siriano. O come Israele, vero convitato di pietra della regione, totalmente insoddisfatto del tira e molla di Obama.
Dopo le ultime battute di arresto, gli Stati uniti potrebbero dunque attaccare da soli, trovando al loro fianco unicamente il “socialista” Hollande.
Si tratterebbe di una mossa pericolosa, perfino disperata, dell’imperialismo statunitense che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe risultare inefficace e che, nella peggiore, potrebbe anche trascinarli in un coinvolgimento diretto nel conflitto che assumerebbe dimensioni regionali. La destabilizzazione del Libano è ormai un dato di fatto e ricordiamo che nel paese è presente da diversi anni una forza “di pace” dell’Onu, con mille soldati italiani. La guerra siriana ha già le caratteristiche di una guerra per procura tra le importanti potenze imperialiste della regione.
Secondo alcune fonti, l’esercito russo ha già consegnato batterie di missili terra-aria S-300 tecnologicamente avanzati ad Assad, gestiti da tecnici russi. Quali sarebbero le conseguenze di un attacco aereo statunitense che potrebbe uccidere dei soldati russi resta tutto da immaginare. L’attacco americano potrebbe essere lanciato dai quattro cacciatorpedinieri che la Marina degli Stati Uniti ha armato nella zona negli ultimi giorni. Ma le opzioni a disposizione degli Usa per attaccare la Siria includono basi aeree in diversi paesi del Mediterraneo, tra cui la Turchia.
Anche in risposta a questo la Russia ha, per la prima volta da decenni, annunciato l’istituzione di una presenza permanente nel Mediterraneo e ha spostato diverse grandi navi da sbarco, navi di rifornimento, cacciatorpediniere e navi spia nella zona.
Come opporsi all’intervento
Quali sono gli interessi della Russia e della Cina? Mosca e Pechino non si erano opposte alla risoluzione Onu sulla Libia, che nel marzo del 2011 autorizzava l’intervento militare contro Gheddafi. La contrarietà all’intervento in Siria non è affatto legata a un’opposizione di principio nei confronti dell’imperialismo occidentale, quindi. L’Occidente ha ringraziato del favore, tagliando fuori da ogni affare a Tripoli e Bengasi le imprese russe e cinesi. Putin e l’elite dominante cinese sono rimaste scottate da quell’esperienza e in Siria giocano una partita diversa. La Russia e la Cina sono da tempo paesi capitalisti, che difendono i propri interessi nazionali, e la Siria di Assad le ha seguite su questa strada. A Damasco regna il capitalismo e se Russia e Cina uscissero vincenti da questo scontro, nessuno dei problemi delle masse siriane sarebbe risolto, lo sfruttamento e le disuguaglianze tipiche dell’economia “di mercato” continuerebbero. Non c’è, ad oggi, uno schieramento progressista che si confronta con uno reazionario. Infine, la logica del “nemico del mio nemico è il mio amico” ha già fatto molto male alla sinistra e al movimento operaio negli ultimi decenni. Non è il caso di proseguire su questa strada.
È compito primario dei rivoluzionari a livello internazionale smascherare i veri interessi dell’imperialismo e opporsi a questo intervento, che non ha nulla di umanitario. Le masse siriane sono solo pedine in una grande e cinica partita a scacchi tra potenze imperialiste. La nostra opposizione all’intervento imperialista si deve basare sull’indipendenza di classe e non sul sostegno a una di queste potenze che si confrontano nell’area.
L’imperialismo non ha niente da offrire al popolo siriano e alle masse in Medio Oriente. Negli ultimi tre anni sono scese in piazza milioni di persone chiedendo condizioni di vita decenti, lavoro, pane, dignità, e la fine della corruzione e dei regimi di brutale repressione. Queste enormi mobilitazioni sono riuscite a rovesciare alcuni di questi odiati regimi, ma non sono riuscite fino ad ora ad abbattere il sistema che li ha creati e le classi dominanti che ne beneficiano. In alcuni casi, come in Libia e in Siria, questo fallimento è stato pagato con la guerra civile e l’affermarsi della reazione, e abbiamo visto come anche le più elementari aspirazioni delle masse non possono essere soddisfatte all’interno del sistema del capitalismo.
Il compito dei giovani e della classe lavoratrice, in Siria, in Medio oriente e nel resto del mondo, è di opporsi all’intervento imperialista, senza riporre alcuna fiducia in Assad, conservando un’indipendenza politica e programmatica, che consenta di prepararsi per i movimenti futuri e ad unirsi ai loro fratelli e sorelle nel masse del Medio Oriente in una lotta comune contro ogni oppressione capitalista e imperialista. Altre opportunità rivoluzionarie si stanno preparando nell’intera regione ed è qui che sta la strada per la liberazione delle masse nel mondo arabo.
* Sulla base del materiale pubblicato dal sito www.marxist.com