Da oltre 18 mesi l’Egitto è attraversato dall’ondata di scioperi più
vasta degli ultimi decenni. Le proteste hanno raggiunto il loro culmine
nelle giornate del 6-8 aprile quando i lavoratori della zona
industriale di Mahalla Kubra sono scesi in sciopero a migliaia,
nonostante il diritto di sciopero sia proibito per legge, e sono stati
attaccati duramente dalla polizia.
Il bilancio della prima giornata di protesta è stato di 4 morti tra cui un bimbo di 9 anni. Tutt’altro che impauriti dalla brutalità della repressione, i 27mila operai della Ghazi al Mahalla, fabbrica tessile statale, sono scesi in lotta anche nei giorni successivi ingaggiando scontri son la polizia. Le ragioni della crescente protesta della classe operaia egiziana risiede principalmente nel problema del carovita. In un’economia che cresce al 7,5% ed in cui capitalisti locali e stranieri fanno profitti d’oro, l’inflazione galoppa alla cifra ufficiale del 12,5% ma in realtà è più che doppia. Il salario medio di un operaio egiziano si aggira attorno ai 50-60 euro, oltre il 45% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno e, secondo il Programma alimentare mondiale, dall’inizio di quest’anno il costo della vita è salito del 50%.
Le prime ondate di scioperi ebbero inizio nel dicembre del 2006 proprio nella fabbrica tessile Ghazi al Mahalla, la più grande al mondo. La mobilitazione si è poi rapidamente estesa a tutti gli altri settori. Il quotidiano liberale egiziano Al-Misri al-Yawn afferma che nel 2006 si svolsero 222 tra scioperi, dimostrazioni e manifestazioni di protesta. Nel 2007 essi si sono più che raddoppiati arrivando a quota 580. Il giornale afferma che questa è l’ondata di proteste più vasta dal 1945. Il Workers and Trade Union Watch afferma che nel 2007 gli scioperi si sono estesi “dal settore tessile a quello dell’edilizia, dei trasporti, della metropolitana del Cairo, della produzione alimentare, della sanità, dell’industria del petrolio e molti altri”.
Questi scioperi e manifestazioni sono di fatto promossi e sostenuti esclusivamente da organizzazioni di sinistra e legate al movimento operaio come il Partito laburista e i Socialisti Rivoluzionari, nonostante le loro modeste dimensioni. Alcune lotte estremamente avanzate hanno indotto i lavoratori ad organizzarsi in un sindacato indipendente da quello di regime, sotto il diretto controllo di Mubarak e del suo governo dittatoriale. L’obbiettivo è coordinare tutte le categorie e sfidare il regime. Gli stessi operai della Ghazi al Mahalla in questi mesi di lotta hanno sviluppato le proprie rivendicazioni, affiancando a richieste economiche altre di carattere politico come il no alla privatizzazione della loro fabbrica e la cacciata di Mubarak.
In questo scenario è (in)degno di nota l’atteggiamento dell’organizzazione fondamentalista islamica più importante dell’Egitto, i Fratelli Musulmani. Infatti nonostante i fondamentalisti abbiano deciso di boicottare le elezioni egiziane denunciando i brogli e gli abusi di Mubarak si sono ben guardati dal solidarizzare con le lotte operaie. Di più, il segretario generale dei Fratelli Musulmani, Mahmoud Ezzat, ha negato sul sito ufficiale della propria organizzazione qualsiasi appoggio agli scioperi. Ancora una volta questo dimostra il carattere becero e reazionario del fondamentalismo islamico. Esso si dà una patina “antimperialista” a parole, cavalca, nei momenti di passività, l’odio delle classi subalterne verso il regime di Mubarak per conquistare consensi, ma nel momento in cui il proletariato scende in campo con tutta la sua irruenza si colloca dall’altra parte della barricata. Dalla parte dei ricchi e degli imperialisti.
Non meno irrilevante in questo scenario è stato il ruolo della Confindustria e del governo uscente italiano. Prodi, Montezemolo e compagnia si sono recati proprio durante i giorni della protesta e dei morti operai in Egitto per fare affari ed approfondire i legami economici tra i due paesi. Che Montezemolo e gli altri 300 capitalisti italiani accorsi in Egitto se ne infischino dell’omicidio e della repressione della classe lavoratrice egiziana non è cosa che stupisce. D’altro canto, che gli esponenti del governo ivi presenti, da Prodi alla Bonino, abbiano taciuto su quanto sta accadendo in Egitto dimostra cosa significhi in concreto l’affermazione di Veltroni e del Pd secondo cui operai e padroni sono sullo stesso piano. Davvero indice di “ottimi” auspici su cosa abbia in serbo questo partito per la classe lavoratrice italiana!
18 aprile 2008