Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo di Ann Robertson, che indaga sulle conseguenze organizzative e politiche delle differenze filosofiche tra Marx e Bakunin. Dal sito “In defence of Marxism”.
La polemica sulla dittatura del proletariato
Avendo analizzato, sia pur per sommi capi, le differenti visioni filosofiche, dovremmo aver chiarito anche perché le differenze sul piano politico furono sempre inconciliabili. I rispettivi programmi scaturivano da principi tanto divergenti da portare talvolta a conclusioni diametralmente opposte.
Nella prospettiva di Bakunin l’atto rivoluzionario più importante puntava alla distruzione dell’istituzione statale: “ Riteniamo necessario che la politica rivoluzionaria del proletariato debba avere come immediato ed unico obiettivo la distruzione dello Stato.” [37] Lo Stato, stabilendo il diritto all’eredità, permette la formazione di classi economiche introducendo una dimensione “innaturale” nelle relazioni umane, una distorsione, che come tale può essere mantenuta solo con l’uso della forza che lo Stato stesso monopolizza tramite esercito e polizia. Con l’abolizione dello Stato la coercizione è rimossa e la gente può immediatamente tornare a vivere in una condizione “naturale” riacquistando la propria “naturale” libertà. Non ci sono periodi transitori. La dittatura del proletariato, in quanto forma statale, servirebbe solo a ripetere gli errori del passato.
Ragionando in un contesto di materialismo storico che poneva in primo piano gli aspetti economici, Marx rigettava quest’analisi ribattendo che lo Stato, lungi dal creare classi fondate su basi economiche, era esso stesso un prodotto del conflitto tra interessi di classe contrapposti. La classe dominante, al fine di consolidare i suoi privilegi economici, usa lo Stato per creare leggi che, sotto il manto della legittimità, le consentono di mantenere il monopolio sulla ricchezza, ed organizza un apparato militare preparato ad implementare queste leggi con la forza bruta.
Di conseguenza, secondo Marx, le classi avrebbero potuto esistere, sia pure con difficoltà, anche dopo la distruzione dello stato borghese, e la borghesia avrebbe potuto sopravvivere malgrado l’espropriazione subita. Chi gode di molti privilegi vi si adagia, tendendo a considerare la propria elevata posizione come “naturale” , e non rinuncerà volontariamente ai suoi beni. Come la storia insegna, quasi sempre combatterà tenacemente per riappropriarsene. Per cui se il proletariato è fortemente determinato a vincere, deve essere preparato a usare la forza che la situazione richiede. La classe operaia deve perciò costruire un proprio apparato coercitivo, ossia uno stato, per difendere i propri interessi e rinforzare una genuina forma di governo della maggioranza. Altrimenti si troverà alla mercé di una controrivoluzione.
Criticando la posizione di Marx, Bakunin lanciò la seguente sfida: “Se il proletariato prenderà il potere, ci si potrebbe chiedere, su chi lo eserciterà? Dovrebbe esserci un altro proletariato soggetto a questa nuova dominazione, a questo nuovo stato.” [38] La reazione di Bakunin scaturisce dal suo credo secondo cui è lo Stato, con la sua presenza, a generare le classi, quindi chiunque controlli lo stato è identificato con la classe dominante, capitalista, mentre chi è sottomesso a questa è in posizione equivalente a quella del proletariato. Ma per Marx, come abbiamo visto, la dittatura del proletariato non è un’arma puntata contro il proletariato ma contro la vecchia borghesia, che non scompare semplicemente nel giro di una notte.
Bakunin, in ogni caso, prosegue: “ Ci sono circa 40 milioni di tedeschi. Saranno tutti membri del governo?” [39] E Marx risponde: “ Certamente, perché tutto inizia con l’autogoverno del bene comune.” [40]
Quest’ultima critica di Bakunin è causata da un’incomprensione fondamentale del programma marxiano. Ragionando in un contesto a-storico, per lui semplicemente ogni stato era uguale ad un altro. Per cui anche la dittatura del proletariato di Marx non differiva dallo stato borghese: “…secondo la teoria del Sig. Marx il popolo non solo non dovrebbe distruggerlo [lo Stato] ma al contrario dovrebbe consolidarlo e renderlo più forte…” [41]
Questa non era però l’idea di Marx che nel 1852, per esempio, nel 18 Brumaio di Luigi Bonaparte argomentò:
“Questo potere esecutivo, con la sua enorme organizzazione burocratica e militare, col suo meccanismo statale complicato e artificiale, con un esercito di impiegati di mezzo milione accanto a un altro esercito di mezzo milione di soldati, questo spaventoso corpo parassitario che avvolge come un involucro il corpo della società francese e ne ostruisce tutti i pori, si costituì nel periodo della monarchia assoluta, al cadere del sistema feudale, la cui caduta aiutò a rendere più rapida. (…) La repubblica parlamentare, infine, si vide costretta a rafforzare, nella sua lotta contro la rivoluzione, assieme alle misure di repressione, gli strumenti e la centralizzazione del potere dello stato. Tutti i rivolgimenti politici non fecero che perfezionare questa macchina, invece che spezzarla.”[42]
Circa venti anni dopo approfondì questa posizione: “…Se si guarda all’ultimo capitolo del mio Diciotto Brumaio si vedrà che io dichiaro: la prossima Rivoluzione Francese non cercherà più solamente di trasferire in mani diverse l’apparato burocratico-militare, ma di schiacciarlo, pre-condizione necessaria per una rivoluzione dal carattere veramente popolare nel Continente.” [43]
La necessarietà dell’abbattimento dello stato borghese era una pietra miliare nel programma politico di Marx. Questa distruzione apriva le porte della partecipazione politica all’intera classe operaia in modo tale che ogni suo appartenente avrebbe potuto avere un ruolo nella determinazione di politiche pubbliche. Se lo stato borghese fosse sopravvissuto, il proletariato sarebbe rimasto per sempre paralizzato in una palude di burocratismo.
Oltre alla necessità della dittatura proletaria come barriera contro la borghesia, Marx prevedeva che l’instaurazione di una società socialista fosse un compito assai arduo, e che un periodo transitorio fosse necessario per predisporre le fondamenta di una società radicalmente nuova. Rifiutando ogni congettura su presunte condizioni naturali, primitive, da usare come punto di riferimento, Marx pensava che il processo rivoluzionario comportasse la creazione di un nuovo essere umano, capace di agire contemporaneamente secondo regole sociali e razionali. Un tale risultato però non poteva essere raggiunto all’istante, tanto tempo e fatica erano ritenuti indispensabili allo scopo.
“Ciò di cui trattiamo è una società comunista, non per come si è sviluppata dalle proprie fondamenta ma, al contrario, per come emerge da una società capitalista, con la pelle ancora segnata dalle voglie della vecchia società dal cui grembo si trova a nascere e che ne influenza ogni aspetto economico, morale ed intellettuale.” [44]
Affinché una tale trasformazione o, come già menzionato, “un’alterazione dell’uomo su scala massiva” abbia luogo, sono necessarie però appropriate condizioni economiche perché, come Marx sostenne persistentemente, gli uomini sono plasmati dal proprio contesto economico:
“Egli [Bakunin] non comprende assolutamente nulla della rivoluzione sociale;non consce a questo riguardo che delle frasi politiche; le condizioni economiche della rivoluzione per lui non esistono. Poiché tutte le forme economiche, sviluppate o no, che sono finora esistite implicano l’asservimento del lavoratore (sia come operaio salariato, sia come contadino, e così via), egli crede che una rivoluzione radicale sia egualmente possibile sotto tutte queste forme.”[45]
Tali miglioramenti economici includerebbero la scomparsa della divisione del lavoro, soprattutto nei suoi aspetti manuali e intellettuali, e l’ulteriore sviluppo delle forze produttive:
“E… questo sviluppo delle forze produttive … è un presupposto pratico assolutamente necessario, perché senza di esso si generalizza soltanto l’indigenza e quindi col bisogno dovrebbe ricominciare la lotta per il necessario e si ripresenterebbe quindi tutta la vecchia merda; poiché inoltre solo con lo sviluppo universale delle forze produttive si ha un rapporto universale tra gli uomini, che (…) al posto di individui locali, ha posto individui storici-universali, empiricamente universali.”[46]
Dunque la dittatura del proletariato era ritenuta necessaria poiché non si poteva pensare che questi nuovi rapporti sociali sarebbero stati assimilati facilmente. Ci sarebbe voluto tempo perché l’umanità ricostruisse sé stessa sulla base di principi più umanitari. Quindi:
“..dopo che siano scomparse la schiavistica subordinazione dell’individuo alla divisione del lavoro e l’antitesi tra lavoro fisico ed intellettuale; dopo che il lavoro sia diventato non solo un mezzo per vivere ma piuttosto un’esigenza vitale primaria, dopo che le forze produttive si siano potenziate con il coinvolgimento a tutto tondo dell’individuo ed il flusso di ricchezza cooperativa scorra con più abbondanza – solo allora potrà essere attraversato l’angusto orizzonte del diritto borghese nella sua interezza e la società potrà rifarsi al motto: “Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!” [47]
Differenze organizzative
Un altro punto discordante riguardava la forma organizzativa necessaria a portare avanti una rivoluzione.
Benché Bakunin fosse un membro dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, i suoi sforzi organizzativi si concentrarono sempre sulla formazione di società segrete governate da una struttura alto-basso. Il seguente passaggio chiarisce che ruolo Bakunin assegnasse loro e in che modo esse apparissero ai suoi occhi come un’ alternativa realizzabile:
“Quest’ organizzazione mette fuori gioco ogni idea di dittatura e rigido controllo. Ma perché l’alleanza rivoluzionaria si affermi e la rivoluzione trionfi sulla reazione unità di pensiero e azione rivoluzionaria devono trovare un agente nelle fila dell’anarchia popolare che costituirà la linfa vitale ed il motore della rivoluzione. Quest’agente dev’essere l’associazione universale segreta dei fratelli internazionali.
“L’importanza di tali forme associative nasce dalla convinzione che le rivoluzioni non siano fatte da individui e nemmeno da società segrete. Nascono da sole, prodotte dalla forza delle cose, dal flusso degli eventi…Tutto ciò che una società segreta ben organizzata può fare è aiutare la nascita del processo rivoluzionario coltivando idee in sintonia con gli istinti delle masse, e organizzare, non tanto l’esercito rivoluzionario – sempre costituito dal popolo – ma una sorta di direzione generale rivoluzionaria fatta di uomini devoti, intelligenti ed operosi e soprattutto sinceri amici del popolo, privi di ambizione o vanità, capaci di agire da intermediari tra l’idea rivoluzionaria e l’istinto popolare.
“Questi individui non devono quindi essere numerosi…due o trecento rivoluzionari sono sufficienti per le organizzazioni dei paesi più importanti.” [48]
Questo brano contiene diversi spunti da sottolineare. Prima di tutto, l’enfasi è posta sugli istinti delle masse visti come il combustibile che esploderà in una sollevazione rivoluzionaria. Secondariamente non si parla di organizzazione delle masse stesse. Inoltre queste società segrete agiscono da levatrici, assistendo alla nascita della rivoluzione ma non essendone certamente considerate il motore principale. Il loro compito è tradurre gli istinti popolari in concetti rivoluzionari. Infine, proprio perché segrete, queste società non hanno rapporti elettivi con la base ma si auto-proclamano sue rappresentanti. Sempre al loro interno si decide chi è genuinamente operoso e intelligente. Partendo da questi principi, Bakunin criticò Marx che a suo giudizio non capiva il ruolo cruciale giocato da fattori quali istinto o temperamento:
“Allo stesso modo Marx ignora completamente un elemento molto importante nello sviluppo storico dell’umanità, cioè il temperamento, il carattere particolare di ogni razza e popolo, essi stessi prodotti naturali di innumerevoli cause etniche, climatiche, economiche e storiche…Tra questi elementi… ce n’è uno assolutamente decisivo nella storia di ogni singolo popolo; l’intensità dello spirito di ribellione…Elemento del tutto primordiale e “animale”… è una questione di temperamento piuttosto che di aspetti morali e/o intellettuali…” [49]
Ecco perché non c’è bisogno di educare le masse. L’unica funzione degli auto-nominati dirigenti di Bakunin nel fomentare la rivolta consiste nel mischiarsi ad esse per accenderne l’istinto di ribellione. Quindi, dato che gli istinti sono giusti e puri, si può dipenderne completamente per portare la rivoluzione ad una conclusione vittoriosa. Di conseguenza Bakunin accusava Marx di contaminare il flusso naturale degli eventi e di “rovinare gli operai costruendo teorie alle loro spalle.” [50]
Per Marx invece il processo rivoluzionario era molto più complicato, ed il proletariato andava educato ad un adeguato comportamento dovendo necessariamente acquisire una coscienza di classe indispensabile per comprendere che l’intero sistema capitalista dev’essere abolito per istituirne uno che agisca nell’interesse della classe operaia, opposta ad una minuscola ma estremamente ricca minoranza. In altre parole, senza coscienza di classe, i membri del proletariato possono pensare che la loro miserabile condizione dipenda dalla mancanza d’iniziativa personale, o dalla cattiva sorte, piuttosto che dallo sfruttamento di classe nudo e crudo. Ma all’assunzione di una coscienza di classe non si arriva solo per mezzo dell’istinto poiché la borghesia, ad esempio, sviluppa costantemente campagne per mantenere l’egemonia ideologica sostenendo che il capitalismo è il più alto risultato raggiunto sul piano della libertà individuale, della giustizia nella distribuzione della ricchezza, ecc. Ecco perché Marx ha sempre insistito sull’importanza di propaganda e formazione:
“Perché la rivoluzione possa avere successo c’è bisogno di “unità di pensiero e azione”. [Marx cita Bakunin] I membri dell’Internazionale stanno cercando di ottenerla con la propaganda, discutendo ed organizzando pubblicamente il proletariato. Ma tutto ciò di cui invece ha bisogno Bakunin è un’organizzazione segreta di un centinaio di persone, i rappresentanti privilegiati dell’idea rivoluzionaria, il comando generale nelle retrovie, auto-nominato e diretto dal permanente “Cittadino B” [cioè Bakunin stesso].” [51]
Perché possa essere educata, la classe operaia dev’essere però organizzata, ed uno strumento per farlo può essere il movimento sindacale: “E’ nei sindacati che gli operai si educano e divengono socialisti, perché ogni giorno con i loro occhi vedono svilupparsi la lotta con il capitale.” [52]
Oltre a quest’esperienza sindacale, Marx prevede per i lavoratori un’organizzazione politica che permetta loro di sfidare la borghesia per il potere statale. Un partito politico è lo strumento tramite cui la classe operaia sviluppa ed esprime la propria coscienza di classe. E’ l’organo per articolare e promuovere i propri interessi di classe in contrasto a quelli borghesi.
“Ecco, per essere in grado di opporsi energicamente ai democratici piccolo-borghesi è indispensabile che gli operai siano organizzati in modo indipendente e centralizzati in circoli…La rapida istituzione di un’associazione di questi almeno a livello provinciale è un punto cruciale per il rafforzamento e lo sviluppo del partito operaio; immediata conseguenza del rovesciamento del governo in carica sarà l’elezione di un’assemblea rappresentativa nazionale prevedendo che:
“I - a nessun gruppo di operai sia impedito di partecipare per mezzo di pretesti o inganni da parte di autorità locali o funzionari governativi.
“II - si presentino candidati operai, possibilmente membri dell’Associazione, ovunque ci siano candidati democratico-borghesi, e la loro elezione sia promossa con ogni mezzo. Anche se non ci fosse alcuna possibilità di essere eletti, gli operai dovranno presentare propri candidati per salvaguardare la propria indipendenza, quantificare le forze e presentare pubblicamente progetto rivoluzionario e posizione del partito. Durante questo lavoro non dovranno lasciarsi sedurre dai democratici con argomenti secondo cui così facendo si romperebbe il fronte democratico dando ai reazionari la possibilità di vincere.” [52a]
Nella prospettiva di Marx queste organizzazioni operaie dovrebbero comprendere l’intero proletariato. Se così fosse, la classe operaia come un tutt’uno sarebbe attivamente coinvolta in dibattiti e discussioni che costituirebbero un reale “scambio universale”.
Se invece fossero in pochi a decidere, i provvedimenti presi sarebbero il riflesso d’ interessi specifici privi di carattere universale.
“Si è dunque arrivati al punto che gli individui devono appropriarsi della totalità esistente delle forze produttive, non solo per pervenire alla propria attività personale, ma per assicurarsi in genere l’esistenza. (…) In tutte le appropriazioni sino ad oggi una massa di individui restò sottomessa ad un unico strumento di produzione; nell’appropriazione da parte dei proletari, una massa di strumenti di produzione viene sottomessa a ciascun individuo e la proprietà viene sottomessa a tutti. Le relazioni universali moderne non vengono sottomesse agli individui altrimenti che con l’essere sottomesse a tutti.” [53]
Quindi mentre Bakunin era intento ad organizzare società segrete e a contare sugli istinti di massa per spingere la rivoluzione alla vittoria, Marx spronava i lavoratori ad organizzarsi, sia a fini educativi che per poter esprimere il massimo potenziale nella sfida contro la borghesia per il potere statale. Nel corso della lotta non solo gli operai avrebbero approfondito la propria auto-coscienza di classe oppressa, ma avrebbero gradualmente compreso di essere in grado di prendere il controllo della società e d’indirizzarla secondo i propri interessi. Riforme politiche Bakunin ha sempre severamente condannato ogni sforzo del proletariato teso a migliorare le proprie condizioni facendo pressioni per provvedimenti legislativi favorevoli. Lo Stato, in fondo, era per lui solo un’escrescenza innaturale, e la partecipazione alla sua gestione avrebbe contaminato il movimento rivoluzionario. Marx invece pensava che questo coinvolgimento politico fosse non solo possibile ma, talvolta, addirittura indispensabile, se la conquista del potere non fosse stata a portata di mano per mancanza di condizioni oggettive o per immaturità del proletariato in materia di coscienza di classe e organizzazione. Lottare per le riforme significa aver raggiunto un certo livello di auto-determinazione organizzata e contribuisce alla trasformazione della classe operaia in agente attivo. Inoltre, se si ottengono risultati positivi, i lavoratori si rendono conto del proprio potere, incrementano la propria auto-stima e sono in grado di condurre iniziative più audaci in direzione rivoluzionaria. Il lavoro legislativo può anche creare spazi per l’autorganizzazione operaia, per esempio riducendo l’orario di lavoro. Infine, come già accennato, questo tipo di coinvolgimento politico esprime, e contribuisce ad aumentare, lo sviluppo di una coscienza di classe.
“D’altra parte ogni movimento in cui la classe operaia si confronta come classe con la borghesia pressandola dall’esterno, è un movimento politico. Per esempio le lotte e gli scioperi di una fabbrica o di un settore per costringere i singoli capitalisti a ridurre l’orario di lavoro rappresentano un movimento puramente economico. Al contrario le lotte per introdurre leggi sulle otto ore, ecc.. sono espressioni di un movimento politico. Ecco come, a prescindere dalle singole rivendicazioni economiche, cresce ovunque un movimento politico, cioè un movimento di classe, allo scopo di far rispettare i propri interessi con forme di carattere generale, socialmente coercitivo..” [54]
Secondo Marx, lo sviluppo di una coscienza di classe è un processo lento e con tante tappe. Al livello più basso, un operaio sfruttato tenta un approccio con il caporeparto a livello individuale, chiedendo migliori condizioni di lavoro. Non ottenendo nulla in questo modo, gli operai possono cominciare a considerare una strada migliore, un’azione collettiva, ad esempio organizzando un sindacato e promuovendo uno sciopero. Ecco che la coscienza individuale si eleva mentre lei (o lui) realizza che anche i compagni di lavoro soffrono e che un’azione collettiva può essere molto più efficace rispetto agli argomenti di un singolo individuo. Possono esserci a questo punto azioni a livello ancora più alto, se si comprende che la propria condizione non cambia da un posto di lavoro all’altro ma è intrinseca al sistema capitalista stesso. Ormai il singolo riconosce che tutti i lavoratori vivono la stessa condizione e che, organizzando l’intera classe operaia, si può dare vita ad un potente strumento capace d’intervenire in merito a provvedimenti sull’orario di lavoro ecc…L’arena politica concede al proletariato un’importante opportunità d’intraprendere questo cammino di crescita.
L’agente rivoluzionario
Un altro disaccordo strategico tra Marx e Bakunin riguardava la direzione del movimento rivoluzionario. Concordavano riguardo ad un ruolo chiave del proletariato, ma mentre per Marx il proletariato sarebbe stato la guida esclusiva della rivoluzione, Bakunin considerava che anche i contadini e persino i sotto-proletari (disoccupati, criminali comuni, ecc…) potessero giocare una parte importante. Egli sostenne che i contadini erano una classe rivoluzionaria per tre ragioni: (1) Hanno assorbito “il semplice, robusto temperamento e l’energia proprie della natura popolare.” (2) Lavorano con le mani e disprezzano i privilegi. Ed infine (3) come lavoratori hanno interessi comuni con gli operai.” [55] In altri termini, essendo a contatto con la natura, i contadini sono meno alienati dalla loro vera, naturale essenza poiché sono stati meno corrotti dalle distorsioni della società. Bakunin parlò in questi termini invece del sotto-proletariato: “Per fiore del proletariato intendo precisamente quella “carne” eterna,…quella plebaglia (“cani bastonati”, “feccia della società”) ordinariamente definita da Marx ed Engels con la sprezzante e pittoresca espressione di lumpenproletariat. Penso alle “canaglie”, ai “rifiuti” immuni alla civilizzazione borghese, che conservano nella loro essenza e nelle loro aspirazioni…tutti i semi del socialismo del futuro…” [56]
In entrambi i casi le conclusioni di Bakunin sgorgano direttamente dalla sua convinzione che l’essenza propria della natura umana può essere repressa ma non totalmente cancellata. Coloro che sono emarginati dall’apparato dello Stato (i contadini sparpagliati nelle campagne e i sotto-proletari disobbedienti alle leggi) sono gli elementi migliori da questo punto di vista.
Marx invece sostenne sempre che l’unico agente rivoluzionario poteva essere il proletariato: “Di tutte le classi che fronteggiano la borghesia al giorno d’oggi, solo il proletariato è realmente rivoluzionario. Le altre capitolano di fronte all’Industria Moderna mentre il proletariato ne è lo speciale ed essenziale prodotto.” [57]
Per l’ennesima volta differenti sfondi filosofici conducono i due rivoluzionari in direzioni opposte. Poiché Marx riteneva che la natura umana fosse modellata dai rapporti economici, egli analizzava i possibili agenti rivoluzionari tramite le loro relazioni con l’ambiente economico appunto, e questo genere di considerazioni lo portarono a concludere che i contadini non avrebbero potuto avere un ruolo rivoluzionario decisivo. Per esempio, non costituiscono una classe coesa. Alcuni non sono altro che grandi proprietari terrieri con tanto di dipendenti mentre altri non possiedono terra e sono poveri. Per la maggioranza di essi, l’aspirazione alla terra fa da zavorra, tenendoli lontani da una reale prospettiva rivoluzionaria. Invece di battersi per una rivoluzione radicale e socialista, che abolirà la proprietà privata della terra, essi aspirano spesso solo ad incrementare i loro modesti patrimoni terrieri a spese dei grandi latifondisti. A parte queste considerazioni economiche tuttavia, Marx riteneva che la posizione dei contadini non solo impedisse loro di sviluppare la necessaria coscienza di classe ma anche di diventare un’autentica classe rivoluzionaria:
“I contadini piccoli proprietari costituiscono una massa enorme, i cui membri vivono nella stessa situazione, ma senza essere uniti gli uni agli altri da relazioni molteplici. Il loro modo di produzione, anziché stabilire tra di loro rapporti reciproci, li isola gli uni agli altri. (…) Il loro campo di produzione, il piccolo appezzamento di terreno, non consente nessuna divisione del lavoro nella sua coltivazione, nessuna applicazione di procedimenti scientifici e quindi nessuna varietà di sviluppo, nessuna diversità di talenti, nessuna ricchezza di rapporti sociali. Ogni singola famiglia contadina è quasi sufficiente a se stessa, produce direttamente la maggior parte di ciò che consuma e guadagna quindi i suoi mezzi di sussistenza più nello scambio con la natura che nel commercio con la società. Un piccolo appezzamento di terreno, il contadino e la sua famiglia; un po’ più in là un altro piccolo appezzamento di terreno, un altro contadino e un’altra famiglia. (…) Nella misura in cui milioni di famiglie vivono in condizioni economiche tali che distinguono i loro modi di vita, i loro interessi e la loro cultura da quelli di altre classi e li contrappongono ad esse in modo ostile, esse formano una classe. Ma nella misura in cui tra i contadini piccoli proprietari esistono soltanto legami locali e l’identità di interessi non crea tra di loro una comunità, un’unione politica su scala nazionale e un’organizzazione politica, essi non costituiscono una classe.”[58]
Marx era ancora meno entusiasta riguardo al sottoproletariato, completamente slegato dal processo produttivo essendo composto di disoccupati permanenti, criminali, ecc…
Conclusioni
Vediamo quindi che, quando marxisti e anarchici fanno riferimento a concetti quali “natura umana” e “libertà”, in mente hanno definizioni opposte che spesso portano a fraintendimenti. La nozione bakuniana di spontaneità è distante da quella marxiana di azione razionale e collettiva. Ciascuno, armato del proprio bagaglio teorico, potrebbe definire l’altro un tiranno. Si capisce perché, mentre Bakunin etichettava Marx come “autoritario”, quando questi non faceva concessioni alla politica impulsiva dell’anarchico. Marx d’altra parte inquadrava la struttura concettuale bakuniana nell’antiquata filosofia ottocentesca dell’Illuminismo, priva di dimensione storica, inconsistente dal punto di vista teorico, non in grado di discernere tra metafisica e vero materialismo. Per lui, Hegel avrebbe potuto parlare di Bakunin quando disse:
“Dato che l’uomo di senso comune si appella ad un sentimento, ad un oracolo dentro di sé, non vuole avere niente a che fare con chi non è d’accordo, aggiungendo al massimo che non ha nulla da dire a chi non la pensa come lui. In altre parole egli mina le radici stesse dell’umanità. Perché ricercare accordi con gli altri fa parte della natura umana, che può esistere realmente solo in una compiuta comunità di cervelli.” [59]
Né il primo né l’ultimo Marx furono figure del tardo Illuminismo, scuola di pensiero che proclamava l’autonomia del singolo individuo, separato dalla comunità dei suoi simili. E se Marx non definì le sue alternative socialiste nei dettagli, limitandosi a suggerirne casomai i parametri generali, è perchè il socialismo, in ultima analisi, dev’essere definito e costruito da chi vi prende parte, cioè da “uomini liberamente associati” e in “relazione universale” che così facendo ottengono “controllo ed un’approfondita conoscenza” delle proprie vite.
Giugno 2006
(Pubblicato per la prima volta in What's Next, dicembre 2003)
Vorrei ringraziare Bill Leumer, Paul Colvin e Fred Newhouser per i preziosi suggerimenti collegati a quest’articolo.
Note
37. Bakunin, Michael, Marxism, Freedom and the State (Londra, 1950), p.43.
38. Bakunin, Michael, ‘Statism and Anarchy’, in Shatz, Marshall, ed., The Essential Works of Anarchism (New York/Chicago, 1972), p.162.
39. Ibid., p.162.
40. Marx, Karl, ‘The Conspectus of Bakunin’s Book State and Anarchy’, in Marx, Engels, Lenin, Anarchism and Anarcho-Syndicalism (Mosca, 1972), p.150.
41. Bakunin, Michael, ‘Statism and Anarchy’, p.166.
42. Marx, Karl, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, pag. 140-141
43. Marx, Karl and Engels, Frederick, Selected Correspondence (Mosca ), p.247.
44. Marx, Karl and Engels, Frederick, Selected Works in One Volume (New York, 1968), p.323.
45. Marx, Karl - Appunti sul libro di Bakunin “Stato ed anarchia” da Marxismo e Anarchismo (Editori riuniti, Roma 1986), pag 119
46. Marx, Karl and Engels, Frederick, L’ideologia tedesca, pag. 222
.
47. Marx, Karl and Engels, Frederick, Selected Works in One Volume, pp.324-5.
48. Bakunin Michael, Selected Writings, p.172.
49. Dolgoff, Sam, Bakunin on Anarchy, pp.282-3.
50. citato in Joll, James, The Anarchists (Cambridge, 1980), p.69.
51. Marx and Engels, ‘The Alliance of Socialist Democracy and the International Working Men’s Association’, in Marx, Engels, Lenin, Anarchism and Anarcho-Syndicalism, p.112.
52. McLellan, David, Karl Marx: Selected Writings (Oxford, 1977), p.538.
52. Marx, Karl and Engels, Frederick, Collected Works, Volume 10, p.284.
53. Marx, Karl and Engels, Frederick, L’ideologia tedesca, pag 244.
54. Marx, Karl and Engels, Frederick, Selected Correspondence, p.328.
55. Maximoff, G.P., The Political Philosophy of Bakunin: Scientific Anarchism, p.204.
56. Dolgoff, Sam, Bakunin on Anarchy, p.294.
57. Marx, Karl and Engels, Frederick, Collected Works, Volume 6 (New York, 1976), p.494.
58. Marx, Karl, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, pag. 142-143.
59. Hegel, G.W.F., Phenomenology of Spirit (Oxford, 1979), p.43.