Domenica 17 febbraio è venuto a mancare Mario Alighiero Manacorda, uno dei più brillanti intellettuali comunisti del Novecento e, certamente, uno tra i pensatori più influenti nel delineare, in modo raffinato e organico, un rapporto concreto e coerente fra Marxismo e Pedagogia.
Con la consapevolezza dell’inesauribilità del tema (in questo breve spazio) e, allo stesso tempo, persuaso dalla convinzione che non ci sia miglior modo per ricordare l’opera e l’attività di questo compagno (se non riprendendo alcuni spunti del suo ampio lavoro politico e culturale e sottolineandone la vibrante attualità), propongo brevemente quello che penso sia uno fra i suoi maggiori contributi teorici: la riconduzione di una sintesi fra marxismo e pedagogia alla più generale concezione materialistica di natura e storia.
Potremmo definire la questione in questi termini: esiste un legame fra la pedagogia e il marxismo? Se sì, questo legame si determina per linee esterne – attraverso un confronto fra il marxismo quale teoria e prassi rivoluzionaria (volta all’emancipazione dell’uomo) e la teorizzazione pedagogica corrente in termini di tecniche e strategie – oppure per linee interne? Possiamo sicuramente rispondere affermativamente alla prima domanda. Uno dei più grandi meriti di Manacorda è stato precisamente lo studio attento e rigoroso, fonti originali alla mano, delle modalità con cui esplicitare e sviluppare tale legame. Mentre, per la seconda, vale la pena di sottolineare come, se un confronto con le scienze dell’educazione è certamente possibile e doveroso, allo stesso tempo tale confronto possa essere reso possibile solo attraverso l’individuazione di un principio pedagogico implicito nel materialismo storico.
La componente pedagogica del marxismo
Su quali elementi si basa questo principio? Anzitutto, su una storicizzazione degli eventi formativi. Non può esistere alcuna progettazione educativa astratta dal contesto storico in cui si determina, dai rapporti di produzione che regolano le relazioni fra gli uomini e, conseguentemente, dal conflitto sociale che si produce in quello specifico contesto. Fare un’operazione di questo tipo condurrebbe a una pedagogia astratta, platonizzante, appannaggio esclusivo della classe dominante e, pertanto, ideologica.
Da qui alla necessità di ricondurre ad unità quella separazione che, nel suo portato così importante per lo sviluppo storico, rappresenta al contempo l’origine delle più profonde contraddizioni sociali: la divisione del lavoro. L’unità fra teoria e prassi diviene il perno per elaborare, coerentemente, processi di istruzione ed educazione che abbiano quale finalità l’emancipazione dell’uomo. A livello scolastico questo si traduce nella riunificazione multi e interdisciplinare fra discipline umanistiche e tecnico-scientifiche, oltre che nel maggior protagonismo attribuito allo studente nella costruzione collettiva, cooperativa e sociale delle proprie conoscenze e competenze. Ma non mancano i legami più ampi con il mondo del lavoro: come può un lavoratore, alienato dal prodotto e dal processo del proprio lavoro, comprenderne le finalità e, conseguentemente, capire le determinanti dello sviluppo sociale e storico che vedono nei processi lavorativi il proprio perno? Come può uno studente comprendere le dinamiche della società se non trova, anche a livello scolastico, campi di applicazione coerenti di ciò che studia sui libri e un collegamento coerente con i processi lavorativi?
Il lavoro, quindi, diventa il momento centrale di questo rapporto. Attività pratica attraverso la quale l’uomo entra in contatto con la natura (fisica e sociale) co-evolvendo con essa, tramite il lavoro l’uomo struttura la società in cui vive e i rapporti che la regolano. Attraverso il lavoro l’uomo produce valore e, come suo risvolto decisivo, i nessi sociali che intercorrono fra uomo e natura, cioè la divisione del lavoro che si manifesta nei differenti momenti storici. Attraverso la riunificazione fra lavoro e processi di istruzione/educazione, la prospettiva pedagogica implicita nel marxismo viene ricondotta al processo generale di sviluppo sociale e, cogliendone le determinanti profonde di sviluppo, si rinsalda coerentemente con una prospettiva genuinamente rivoluzionaria che veda una completa formazione dell’uomo come strettamente collegata al superamento – come avrebbe detto il grande psicologo e pedagogista russo Lev Vygotskij – di quelle forme sociali che ne alterano e ne deformano la vita.
È in questo alveo che Manacorda riconduce i suoi studi su Gramsci, rileggendone l’opera – politica e pedagogica insieme, ma rinsaldando (contro qualsivoglia deviazione stalinista e togliattiana) il pensiero di Gramsci a quello della genuina tradizione marxista, rivoluzionaria e internazionalista. Lo studio gramsciano sul ruolo storico degli intellettuali come casta non si separa mai dal conflitto di classe, così come la necessità di tenere insieme cultura e professione non si separa mai dalla “dimensione mondiale dell’esperienza proletaria”. Allo stesso modo, il tema dell’educazione come “conformazione dinamica” fa sintesi di due cardini del marxismo, indicandone il prezioso portato educativo: l’elemento dinamico e attivo dell’attività umana, per potersi esprimere in modo realmente libero e compiuto, deve relazionarsi dialetticamente con le dinamiche dei gruppi sociali.
In (provvisoria) conclusione
L’incipit di “Marx e l’educazione” recita così:” il marxismo, in quanto teoria dell’emancipazione dell’uomo, ha implicita una componente pedagogica, che si articola in un’indagine sociologica sullo stato dell’istruzione, in una critica filosofia sui problemi della natura e dei fini dell’uomo, e in una specifica definizione di scelte pedagogiche determinate” [1]. Senza voler insistere qui sulla grande importanza delle indagini sociologiche sullo stato dell’istruzione e delle specifiche disposizioni pedagogiche che emergono dalla tradizione marxista più genuina, vorrei concludere brevemente indicando quel punto essenziale che rappresenta un po’ la sintesi, enucleata da Manacorda a partire dai contributi di Marx, Engels e Gramsci, del portato pedagogico del marxismo. Si tratta del concetto di uomo onnilaterale.
L’onnilateralità non è semplicemente un richiamo a una formazione interdisciplinare o multidimensionale: facendo perno sulla sintesi fra teoria e prassi – tra processi e pratiche di istruzione/educazione e teorie/pratiche di lavoro – e sull’abolizione della divisione del lavoro, l’uomo onnilaterale di cui parla Marx è, da un lato, consapevole del fatto che i processi di riproduzione sociale si riverberino dialetticamente nei contesti formativi e, dall’altro, cosciente della necessità di trasformare la società per controllarne democraticamente e razionalmente lo sviluppo. Una tale trasformazione ha solo un modo per essere attuata: si tratta di un processo rivoluzionario che indichi la classe operaia quale soggetto del cambiamento e che, quindi, veda nella transizione al socialismo la possibilità di abolire la società di classe e di permettere all’uomo di controllare coscientemente la propria vita, libera dalle costrizioni e dalle deformazioni del capitalismo, a partire da una gestione cosciente e democratica dei processi produttivi. Come scritto da Lev Trotskij nel Programma di transizione, “l’elaborazione di un piano economico, per elementare che sia, dal punto di vista degli interessi dei lavoratori e non di quelli degli sfruttatori, è inconcepibile senza controllo operaio, senza che i lavoratori possano individuare tutte le molle e gli ingranaggi visibili o nascosti che spingono l’economia capitalista. I comitati delle varie aziende devono eleggere, in speciali conferenze, comitati di trust per tutta l’industria nazionale. Così il controllo operaio diverrà la scuola dell’economia pianificata. Con l’esperienza del controllo operaio il proletariato si preparerà a dirigere direttamente l’industria nazionalizzata quando sarà giunto il momento” [2].
In questo risiede uno fra i tanti e preziosi contributi di Mario Alighiero Manacorda: nell’aver messo in evidenza con rigore che la pedagogia, come ogni scienza, non può essere in nessun modo neutrale, dal momento che “se educare vuol dire formare l’uomo adulto durante il lungo periodo della sua adolescenza, se l’uomo adulto può essere inteso essenzialmente come produttore di beni, “spirituali” e “materiali”, se questa produzione (come anche il consumo, del resto) può avvenire soltanto nella comunità degli uomini e se perciò l’uomo è produttore in quanto è cittadino, cioè quell’”animale politico” di cui parlava Aristotele, ebbene, quale scienza mai, più che la pedagogia, potrà apparire connessa con la politica?” [3]. E, in ultima analisi, nell’aver sottolineato che una pedagogia realmente emancipativa, per potersi esprimere nel modo più completo e alto, non potrà che essere collegata ad una prospettiva rivoluzionaria di trasformazione della società in senso socialista.
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Note:
[1] Manacorda M.A., Marx e l’educazione, Armando, Roma 2008, p.21
[2] Trotskij L., Il programma di transizione, AC Editoriale, Milano 2008, p.13
[3] Manacorda M.A., Antonio Gramsci, L’alternativa Pedagogica, Editori Riuniti University Press, Roma 2012, p.16