I compagni del magazine on line Crvena Kritika (Critica rossa) hanno intervistato Zoran Mihailović, segretario del sindacato Samostalni alla Fiat Automobile Serbia, meglio conosciuta come Zastava, a Kragujevac, in Serbia. Crediamo che e sue risposte siano di grande interesse per il movimento operaio italiano.
Domanda: Quali erano le condizioni alla Zastava/Fas prima degli anni ’90, in cosa differiscono da quelle attuali?
Zoran Mihailović: La fabbrica di auto Zastava ha una tradizone di collaborazione con la Fiat già dagli anni ’50, quando si passò dalla produzione di armi a quella di automobili. Fino al 1988-’89 abbiamo avuto una crescita continua della produzione e della vendita di auto fino a raggiungere 200mila auto prodotte all’anno. Poi nel 1990 scoppiò la guerra che ci fece perdere il mercato della Yugoslavia, dove vendevamo la maggior parte delle auto, e i fornitori dell’indotto sparsi in tutta la nazione. Nel 1991 la produzione annuale crollò da 200mila a 15mila. Inoltre, subimmo le sanzioni e i bombardamenti, che distrussero la fabbrica a più riprese, e in seguito alle quali ci siamo messi noi stessi a ricostruirla riuscendo per la fine del 2000 a ridarle un tetto. Quando nel 2000 furono introdotte le “riforme democratiche”, credemmo che le cose potessero migliorare, ma così non fu. Fummo i primi ad entrare in conflitto col nuovo governo, organizzando una protesta che per sei mesi si protrasse quotidianamente. Vennero ministri a cercare di risolvere la cosa, che furono persino picchiati dai lavoratori che abbatterono i cancelli e distrussero le auto. In seguito, ci furono delle trattative. Allora la forza lavoro si ridusse da circa 10mila operai a 4,500. A 6mila lavoratori fu applicato il programma Zzo: i lavoratori ottenevano un’aspettativa retribuita per un periodo che inizialmente avrebbe dovuto essere di 3-4 anni ma alla fine divenne di 7. Lo prolungammo per guadagnare tempo ma il ministro dell’economia, decise di smettere di finanziare lo Zzo e ad un tratto questi lavoratori vennero lasciati licenziati, mentre in fabbrica rimanevano 4,500 operai. Ogni anno venivamo presi in giro da governo e padroni apparentemente interessati a comprare la fabbrica, quando in realtà erano solo ciarlatani, che non avevamo nè i soldi nè le capacità.
A quanto ammontava il debito della Zastava e a chi doveva questi soldi?
Nel 2006 si decise di sanare il debito con la Fiat, che aveva accumulato dagli anni ’80 circa 11 milioni e mezzo di euro, vendendo alcune proprietà immobiliari in Croazia e Macedonia. Inoltre entrammo in trattativa per comprare i loro macchinari e cominciare a produrre la Punto. Investimmo circa 14 milioni di euro nell’acquisizione e installazione dei macchinari, pagando un’impresa dell’indotto Fiat. Avremmo potuto introdurre quattro nuovi modelli, mentre lentamente si sarebbe investito nell’innovazione della fabbrica.
Quindi a maggio 2008, nel culmine della campagna elettorale, la Fiat espresse improvvisamente il suo interesse ad acquisirci. In pompa magna vennero annunciati grandi investimenti e il contratto del secolo. Per noi della Zastava, che da dieci anni cercavamo di sopravvivere, ciò significava la fine dell’agonia, in assenza di alternative tra la chiusura e la privatizzazione. Ci bevemmo tutta la storia: due nuovi modelli, una produzione annuale di 300mila pezzi e 10mila posti di lavoro. Oggi vediamo che non tutto è andato come promesso.
Quali benefici ha dato lo Stato alla Fiat e alle imprese partner per farle venire in Serbia?
Il contratto ufficiale fu firmato a settembre. Alle condizioni concesse dallo Stato qualsiasi altra impresa sarebbe venuta qui: la proprietà di 2/3 della fabbrica, l’impegno per 1/3 degli investimenti, possibilità di esportare ed importare senza oneri. Secondo me furono attratti soprattutto dall’accordo commerciale con la Russia per il quale potevano esportare lì con una tassa simbolica dell’1%. Inoltre ottennero le infrastrutture gratuitamente, con l’esenzione dalla tassa sul terreno. Anche le imprese dell’indotto ebbero le stesse condizioni, che penso non avrebbero avuto in nessun altro paese. Per contratto la Fiat era tenuta a licenziare da subito un migliaio di lavoratori, e altri 1,400 una volta cominciata la produzione. Inoltre, se la Fiat avesse licenziato giovani impiegati, sarebbe stata esentata da qualsiasi onere o ammortizzatore sociale, di cui si sarebbe fatto carico lo Stato. La produzione sarebbe dovuta cominciare a gennaio 2009 ma fu sospesa a causa della crisi economica e l’investimento di 200 milioni di euro che era stato promesso non arrivò mai e il tutto fu rimandato di un anno, facendoci lavorare con i vecchi macchinari, regalati dallo Stato alla Fiat, senza alcun indennizzo. Anche la licenza di produrre la Punto con il nome di Zastava 10, che avevamo pagato un milione e mezzo di euro, fu restituita senza indennizzo. In sostanza, gli abbiamo dato soldi, macchinari e mille lavoratori e fin’ora non hanno investito nulla. Dei 100 milioni di euro che sarebbero stati pagati come prima parte dell’investimento non sappiamo come sono stati spesi esattamente. L’unica cosa visibile è che i tetti sono stati cambiati, così come i pavimenti e gli isolamenti, anche i macchinari vecchi sono stati rimossi, ma pagati dallo stato serbo, mentre stiamo ancora aspettando che la Fiat installi quelli nuovi, cosa che dovrebbe avvenire tra maggio e novembre 2011, quando è previsto il test della produzione di serie.
Quali sono le probabilità che la produzione dei nuovi modelli Fiat in Serbia cominci?
Su questo sono sempre stato pessimista. A novembre avrebbero dovuto cominciare i lavori per le infrastrutture per 14 partner (autostrade, elettrificazione delle ferrovie) e non ancora sono iniziati e se (nel migliore dei casi) cominceranno a marzo dell’anno prossimo, non potranno essere pronti prima della fine dell’anno, mettendo a rischio l’arrivo stesso dei partner.
Come sono i turni e le pause? E il salario medio?
Come in Polonia e a Pomigliano, stanno cercando di modificare l’orario togliendoci il diritto di pausa, per farci lavorare 11 ore al giorno per 4 giorni, anzichè 8 ore per 5 giorni. Da quando la Fiat ha rilevato la fabbrica, si lavora da 10 a 15 giorni al mese, il resto dei giorni siamo in cassa integrazione e riceviamo il 65% del salario. Le vendite della Punto sono crollate e i salari sono calati mediamente da 30 mila a 23-24 mila dinari. Avevamo convocato uno sciopero ma la Fiat ha dichiarato quel giorno festivo, probabilmente ora ne prepareremo un altro, che sarebbe il primo alla Fas e turberebbe fortemente il governo, per il quale la Fiat non può essere minimamente criticata, quando si parla di Fiat nei media c’è una censura come quella ai tempi di Milosevic.
Qual’è il parere tra i lavoratori sul ricatto della Fiat ai lavoratori italiani con la minaccia di trasferire la produzione dei nuovi modelli?
Come sindacati stiamo cercando di informare i lavoratori su quello che sta succedendo, i lavoratori naturalmente sono interessati a mantenere il posto di lavoro ma sono profondamente colpiti quando ad esempio Marchionne dice che la produzione sarà trasferita in Serbia come punizione per la “non collaborazione” da parte dei sindacati italiani. Penso che la Fiat stia usando questa situazione per attaccare i lavoratori e i sindacati italiani e “disciplinarli” a rinunciare ai privilegi – se di privilegi si può parlare – del passato. É una ragione in più perchè i sindacati collaborino più strettamente. L’anno scorso si è tenuta a Torino un’assemblea di delegati di tutte le fabbriche Fiat del mondo per cercare di creare un coordinamento internazionale.
Cosa ne pensi delle lotte operaie che si stanno sviluppando in Europa? In Francia, Grecia?
Credo che la globalizzazione e la crisi economica mondiale abbiano creato un conflitto tra lavoro e capitale, in cui si cerca di togliere ai lavoratori i diritti conquistati fin’ora. Credo che l’amministrazione americana e il Fmi stiano dettando le condizioni di lavoro in Europa. Nonostante ci siano delle proteste, queste non sembrano dare risultati: milioni di persone in piazza in Francia eppure il governo va avanti con i suoi piani. Anche in Serbia abbiamo avuto delle proteste parziali, focolai qua e là, ma senza un coordinamento. Credo che senza un’azione coordinata da parte dei lavoratori sarà difficile resistere, al padronato, senza unità è dura contrapporsi a chi ha soldi e potere.