La Nato riaccende la bomba Kosovo
Come era facilmente prevedibile sono ripresi i conflitti in Kosovo. L’accordo Milosevic-Holbrooke non poteva mettere radici nella misura in cui non era sottoscritto dalla parte albanese, ma soprattutto perché basava il cessate il fuoco sulla sconfitta militare inflitta dall’esercito jugoslavo all’Uck.
L’attuale spirale di violenza ha cause molto profonde. Lo stato operaio burocratizzato aveva combattuto gli odi etnici con l’unica arma efficace: una crescita economica del 10% annuo e una forte autonomia culturale e amministrativa.
La crescita economica si esaurì a metà degli anni ’70. Le diverse burocrazie si basarono sui pregiudizi nazionalisti per combattersi a vicenda. L’imperialismo intensificò i suoi interventi, prima attraverso i prestiti, poi con ingerenze dirette promettendo a croati, sloveni e bosniaci l’appoggio contro la Serbia.
Qual è stato il risultato dopo otto anni di scontri? Oggi la Croazia, la Slovenia, la Bosnia sono Stati "indipendenti", ma non sono Stati democratici e i loro governi sono burattini dell’imperialismo europeo e americano.
In questo contesto era inevitabile il rafforzamento delle tendenze nazionaliste, ovvero la tendenza a scaricare sull’etnia vicina la colpa di tutti i mali della società. Solo su queste basi Milosevic poteva mantenersi al potere. Per questo ha soffiato sul fuoco del nazionalismo serbo contro gli albanesi del Kosovo. Per queste ragioni oggi il regime serbo non può fare concessioni di sostanza agli indipendentisti kosovari, pena la sua credibilità e le basi del regime stesso. Anzi, di fronte al rafforzamento dell’Uck e alle minacce d’intervento della Nato, il regime nazionalista serbo si rafforza a sua volta, anche il "democratico" Draskovic entra nel governo e Milosevic si propone come unico garante della "stabilità" della zona.
Sviluppi in campo kosovaro
Sotto l’egida del capitalismo non c’è spazio per le mediazioni "democratiche". La leadership albanese attorno a Rugova che ha sempre sostenuto la via dell’accordo con l’occidente e con Milosevic, ha tentato di approfittare della crisi dell’Uck ma senza grandi risultati, tant’è che la politica moderata di Rugova è sempre più impopolare fra gli albanesi stessi ed è di conseguenza sempre meno credibile come riferimento per l’Occidente. Dall’altra parte l’Uck ha usato questi mesi, anche attraverso una faida interna, per riorganizzarsi sia sul piano militare che di strategia politica. Il portavoce dell’Uck Adem Demaqi ha ammesso la presenza all’interno dell’Uck di militari più esperti e provenienti dall’estero i quali oltre a superare l’improvvisazione dei mesi precedenti hanno anche portato armi più sofisticate. L’Uck sostiene di avere 30mila effettivi, ma anche se fossero solamente la metà, questo riflette l’appoggio significativo che esso ha fra la popolazione. Appoggio che è stato conquistato rivendicando l’indipendenza del Kosovo contro i continui soprusi del regime serbo di Milosevic. Oggi l’Uck di Demaqi vuole imporsi come interlocutore dell’imperialismo, chiede l’intervento della Nato contro Milosevic e vuole che il Kosovo diventi un protettorato internazionale.
Questa posizione dell’Uck è una soluzione assolutamente reazionaria per le masse kosovare. Finora non è stata appoggiata da nessun paese capitalista perché innanzitutto significherebbe il crollo del regime di Milosevic (per l’imperialismo, fattore di stabilità) e poi perché uno stato indipendente porrebbe le basi per un’insurrezione della maggioranza albanese in Macedonia, trascinando in una guerra balcanica a tutto campo la Bulgaria, la Grecia e ovviamente anche la Turchia, significherebbe un macello e un approfondirsi ulteriore delle divisioni che già ora si vedono nella Nato.
Le divisioni all’interno dell’imperialismo
L’unica cosa su cui tutte le potenze capitaliste sono d’accordo (almeno per ora) è che il Kosovo deve rimanere entro i confini della Jugoslavia perché un Kosovo indipendente sarebbe un fattore troppo destabilizzante per tutta la zona. Ma appare evidente che il settore che oggi più sbraita per sostenere l’intervento militare (bombardamenti aerei) riflette l’impazienza di scaricare quello che è stato finora l’unico interlocutore della zona, ovvero Milosevic. È piuttosto evidente che il rinsaldarsi delle fila nell’Uck (nuovi esperti militari, nuove armi, lanciarazzi, ecc.) sia proprio il risultato dell’aiuto di una parte, per ora, dell’Occidente. La realtà è che oggi tutti i mediatori che sono andati nella zona non hanno una soluzione perché sotto il capitalismo una soluzione non esiste. Considerando gli equilibri che abbiamo tentato di descrivere, viene avanti l’ipotesi della spartizione: garantire lo "spazio vitale" ai serbi del Kosovo e circoscrivere la questione albanese, magari sotto l’ala della Nato o di qualche altra organizzazione internazionale. Questo forse potrebbe fermare gli scontri attuali, ma rafforzerebbe il nazionalismo di entrambe le parti, darebbe fiato alla propaganda della Grande Albania e in ultima analisi preparerebbe le condizioni per un’esplosione ad un livello ancora più alto.
No all’intervento della Nato!
L’ipocrisia dei portatori di pace occidentali è alquanto nauseante. Vogliono la stabilità per i loro affari: la Fiat Iveco ha recentemente stipulato un accordo con la fabbrica di auto e camion "Zastava" per la produzione di camion, garantendo uno sbocco di mercato alla Fiat in tutto il settore statale; la Peugeot è in trattativa per la produzione di auto e ci sono piani per spostare lì tutta la produzione del modello "106"; la Ericsson ha un accordo per la telefonia mobile. Nei primi dieci mesi del 1998 gli scambi commerciali fra l’Italia e la Jugoslavia hanno raggiunto la cifra di 800 milioni di dollari e l’obiettivo è di arrivare entro l’anno al miliardo. E la lista degli accordi e degli investimenti potrebbe di molto allungarsi, per non parlare dell’interesse strategico dell’imperialismo europeo e americano nella zona perché zona ponte verso il medioriente e perché da lì dovranno passare le grandi pipeline che trasporteranno gas e petrolio verso l’Adria-tico. Compito del movimento operaio è denunciare questi interessi e lottare contro ogni intervento che sia europeo, dell’Osce, della Nato o dell’Onu.
Oggi il diritto all’autodeterminazione, diritto sacrosanto, può essere garantito solo attraverso la lotta di questi popoli contro, in primo luogo, i propri oppressori e i veleni del nazionalismo e allo stesso tempo contro l’oppressione imperialista europea e Usa. Difendere uno Kosovo indipendente oggi significa sostenere o un protettorato Nato o la spartizione e di queste soluzioni possiamo vederne gli esiti drammatici per i popoli in Bosnia.
Oggi nessuna forza politica ha un programma e un’analisi del genere e questa è la tragedia dei popoli balcanici.
La realtà è che l’unica soluzione possibile per garantire i diritti democratici delle minoranze nazionali è quella della socializzazione delle risorse economiche e del loro utilizzo democratico e pianificato, avanzando l’obiettivo della federazione socialista dei Balcani. I recenti sviluppi all’interno dell’Uck, il loro servilismo nei confronti della Nato dimostrano ancora una volta l’impossibilità di un movimento nazionalista di giocare un ruolo progressista per difendere realmente i diritti dei popoli.
E questo impone al movimento operaio in particolare in occidente di avere una posizione indipendente dalle proprie borghesie che hanno interessi evidenti nella zona, ma anche dalle tragiche deformazioni delle burocrazie ex-staliniste ed ex-titoiste che hanno portato all’esacerbarsi degli attuali nazionalismi.