Al di fuori di ogni previsione Lula non vince al primo turno le presidenziali in Brasile. Ottiene il 48,61% dei voti mentre il suo rivale, l’ultraliberista Geraldo Alckim raggiunge il 41,58%.
Gli altri due candidati, entrambi di sinistra ed ex militanti del Pt (Partito dei lavoratori), Heloisa Helena e Cristovam Buarque ottengono rispettivamente il 6,85 e il 2,67%.
Anche se i candidati di sinistra sommando i loro voti raggiungono il 58% dell’elettorato le elezioni rappresentano una sconfitta per la sinistra brasiliana.In primo luogo perché la vittoria di Lula al secondo turno, per quanto probabile non è affatto scontata, considerando che la Helena, espulsa dal Pt nel 2003, non è disponibile a sostenere il vecchio leader.In secondo luogo perché la destra solo quattro settimane fa era data nei sondaggi al di sotto del 30% e di fatto i candidati più forti del Psdb (Partito socialdemocratico del Brasile) come Serra, avevano rinunciato alla candidatura dando per scontata la vittoria di Lula al primo turno. Non a caso alle ultime elezioni del 2002 il candidato della destra, che in quell’occasione era lo stesso Serra, aveva ottenuto il 23,2% dei consensi.Se si analizza il voto nelle diverse zone del paese si vede poi come Lula vince nelle zone più povere del Nord e del Nordest ma arretra proprio nello Stato di Sao Paulo, il più popolato del paese. La destra guadagna soprattutto tra i ceti medi della grande metropoli ma è paradossale che sia proprio a Sao Paulo, nella cui cintura industriale (l’Abc) si concentra il fior fiore del proletariato industriale (che all’inizio degli anni ’80 aveva dato vita al Pt e alla Cut) dove si consuma la sconfitta della sinistra.
Era lì che un ex tornitore come Lula diventava ormai quasi 30 anni fa il principale leader del Partito dei lavoratori, che sorgeva dalle grandi mobilitazioni della classe operaia e la conseguente caduta della dittatura militare.
Il Pt perde così alle elezioni 8 deputati (si votava anche per il rinnovo del parlamento) ed esce sconfitto nei principali stati del paese (Sao Paulo, Minas Gerais, Rio de Janeiro) vincendo in un solo stato importante, quello di Bahia. L’insieme dei partiti che appoggiano il governo perdono 26 deputati, rendendo ancor più dura la vita a Lula, anche in caso di vittoria al secondo turno.
Corruzione e politica sociale di Lula
È evidente che la destra ha scatenato una campagna furiosa utilizzando tutti i mezzi che aveva a disposizione. Sono riusciti a creare un clima di crociata e un linciaggio mediatico contro Lula. Ma non si tratta di niente di nuovo in America Latina come dimostrano bene l’esperienza venezulena o quella messicana.
Le ragioni dell’insuccesso di Lula vanno cercate in altre direzioni. In primo luogo i casi di corruzione che hanno coinvolto numerosi esponenti di primo piano del Pt negli ultimi quattro anni da Jose Dirceu, capo del gabinetto governativo a Silvio Pereira (segretario del Pt) passando per numerosi ministri come Antonio Palocci (Economia) e Luiz Gushiken (Comunicazione).
Corruzione che ha coinvolto anche la burocrazia sindacale della Cut, che ha stretto forti legami con il capitale finanziario, attraverso la cogestione dei Fondi di Assistenza al Lavoratore (Fat) creati dalla dittatura militare.
Ma ciò che più conta è la politica sociale di Lula che ha fatto acqua da tutte le parti. L’alleanza del governo con il grande capitale ha determinato un gigantesco trasferimento di risorse dalle tasche dei poveri a una piccola minoranza di capitalisti.
Lula ha fatto approvare nel 2003 una controriforma sulle pensioni che ricalcava quella proposta da Cardoso nella precedente legislatura e che era stata ferocemente contrastata proprio dal Pt ai tempi dell’opposizione.
Attraverso una politica di tagli è così riuscito ad accumulare degli avanzi primari nel bilancio dello Stato superiori a quelli di Cardoso, che sono finiti nelle tasche dei grandi speculatori che si sono arricchiti sugli alti tassi d’interesse dettati dalla politica monetaria di Palocci (degnissimo rappresentante del Fmi).
Per quanto riguarda la politica agraria le promesse di Lula al Movimento dei Sem Terra (Mst) sono state molto più che disattese. Era stata promessa la terra a un milione di contadini e in quattro anni Rossetto (ministro dell’agricoltura) l’ha concessa solo a 75mila famiglie, la metà di quanto era riuscito al precedente governo.
Da notare che Rossetto è membro della Quarta Internazionale (rappresentata in Italia dalla corrente Sinistra Critica di Cannavò e Turigliatto) e tale rimane nonostante l’uscita dal Pt di quei compagni dell’organizzazione che hanno seguito Heloisa Helena dando vita al Psol (Partito del socialismo e della libertà).
Per quanto riguarda la campagna Fame zero che doveva combattere la miseria, ed era stata propagandata con squilli di tromba dal governo, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: i poveri sono passati dal 34,34 al 33,57% della popolazione. La povertà estrema passa dal 26,23 al 25,08%. Una miseria appunto.
Equilibri continentali
Recentemente Lula si è lamentato in un intervista al giornale Folha de Sao Paulo, di quanto i ricchi del paese siano ingrati nei suoi confronti: continuano ad attaccarlo con ogni mezzo nonostante abbiano fatto profitti d’oro sotto il suo governo.
Non riesce a capire perché gli Usa abbiano lo stesso atteggiamento, nonostante la sua presa di distanza dalla classe operaia e dal suo partito (nei comizi di Lula si faceva bello sfoggio delle bandiere brasiliane mentre erano bandite quelle con la stella rossa del Pt) e il governo si sia reso strumento della politica imperialista, come dimostra l’attacco inflitto, attraverso la compagnia di bandiera Petrobas, a Morales quando il presidente boliviano ha deciso di nazionalizzare l’industria del gas.
Ha scoperto a sue spese quanto le classi dominanti hanno sempre fatto con i dirigenti riformisti: li usano per controllare la classe operaia, li compromettono con le politiche borghesi, li screditano agli occhi della loro base e quando riescono a demoralizzare i lavoratori li gettano via, preparando la strada a governi apertamente borghesi nei quali si riconoscono pienamente. Niente di nuovo sotto il cielo. Povero Lula cosa gli tocca sopportare!
Il Brasile inoltre resta un paese fondamentale nello scacchiere latinoamericano e il primo obiettivo per gli Usa è evitare che si apra una dinamica di lotta sociale e radicalizzazione politica come quella che è in corso in Venezuela, Bolivia e Messico.
La posizione dell’imperialismo Usa è ben rappresentata da un editoriale del Wall Street Journal che dice: “In Brasile c’è un livello inusuale di polarizzazione tra le classi (…) In discorsi conditi da una retorica di lotta di classe, l’ex operaio Lula ha attaccato l’elitè che l’ha quasi costretto a dimettersi durante lo scandalo per l’acquisto di voti parlamentari dello scorso anno (…) Gli economisti sostengono che per liberare il suo potenziale il Brasile ha bisogno di nuove riforme fiscali, sul lavoro e previdenziali, che permettano al paese di ridurre il peso del settore pubblico (…) ma alcuni pensano che questi obiettivi non saranno raggiunti perché sono misure che non piaciono a chi vota Lula…”.
Il Pt di fronte a un bivio
In effetti si tratta di una contraddizione non da poco che al di là del ruolo di Lula avrà gravi ripercussioni nel Pt, che nonostante le scissioni che si sono consumate a sinistra in questi anni resta il principale partito dei lavoratori e dei contadini brasiliani.
Heloisa Helena e il suo partito esprimono, anche attraverso la posizione di equidistanza tra i due candidati, quella profonda frustrazione che si è andata diffondendo in questi anni tra gli attivisti di sinistra per il “tradimento” di Lula.
Ma questa posizione non può rappresentare l’umore prevalente nella maggioranza della classe e non è un caso che il Psol è un partito di dimensioni molto più ridotte rispetto al Pt, e per giunta presente non tanto nel proletariato industriale e nelle campagne ma soprattutto tra gli insegnanti, gli studenti e nel settore pubblico.
Le lotte decisive nei prossimi anni si svilupperanno quindi in primo luogo nella Cut e nel Pt dove sono destinati a svolgere un ruolo fondamentale quei settori critici della sinistra del partito che lottano per rompere con la borghesia e difendere una autentica politica di classe.
A questo proposito chi scrive guarda con grande interesse al movimento delle fabbriche occupate, guidato tra gli altri da compagni come Serge Goulart, che non a caso è fondatore del Pt, membro della sua direzione nazionale e allo stesso tempo coordinatore nazionale di quel movimento, a riprova del profondo legame che esiste tra il Pt e il cuore pulsante della classe operaia brasiliana, nonostante le politiche liberiste applicate in questi anni da Lula.
Il 9 dicembre si terrà in Brasile la riunione delle fabbriche occupate che producono sotto il controllo operaio in tutta l’America Latina. A questa riunione parteciperanno i compagni argentini della Fasinpat (ex Zanon), i venezuelani della Invepal (ex Venepal) e centinaia di delegati operai provenienti da ogni realtà autogestita da tutto il Cono sur.
Dall’Italia sarà presente il compagno Paolo Brini, del Comitato centrale della Fiom. Potremo così informare direttamente i nostri lettori sugli esiti di una riunione che avrà profonde ripercussioni sulle sorti della rivoluzione socialista in Brasile e nell’intera America Latina.
10 ottobre 2006