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Un diluvio di flessibilità nel nuovo contratto nazionale

Il 7 dicembre è stato siglato l’accordo per il rinnovo del contratto delle telecomunicazioni, che prevede un netto

 

 peggioramento della flessibilità sull’orario di lavoro, in un settore dove si era già ceduto tanto. Veniamo subito ai contenuti. L’orario di lavoro non sarà più calcolato su base settimanale ma semestrale e con la previsione di arrivare a 12 mesi concordandolo a livello aziendale. Ciò significa che non ci sarà più un limite orario settimanale ma settimane in cui si lavorerà molto e altre meno. Per sei mesi questa totale flessibilità di orari sarà decisa unicamente dalle aziende, per i 6 mesi successivi potrà essere ottenuta tramite accordo sindacale. I sostenitori di questo accordo, vantano un aumento della pausa tra un turno e l’altro da 8 a 11 ore, peccato che si conceda all’azienda la libertà di comandare i lavoratori in orari flessibili dandone semplice comunicazione entro 48 ore alla Rsu.

Infine viene meno anche il limite trimestrale di straordinario che era di 80 ore. Nella sostanza si recepisce il decreto 66 del 2003 varato dal governo Berlusconi con il dissenso esplicito di Cgil, Cisl e Uil, decreto che non fu recepito nemmeno nell’accordo separato di Fim e Uilm per il contratto metalmeccanici.

Per quanto riguarda la legge 30, la Cgil si vanta di aver respinto il lavoro a chiamata e quello condiviso. La realtà è che queste forme interessano poco e niente alla maggioranza delle imprese, mentre invece sono passati i peggioramenti in materia di apprendistato la cui durata si allunga fino a 5 anni e l’età viene elevata a 32 anni. Vengono inoltre istituiti i contratti di inserimento, lavoratori che a parità di mansioni vengono inquadrati con uno o due livelli inferiori.

Tutto questo in cambio di pochi spiccioli. Nelle buste paghe si troveranno aumenti di circa 50 euro netti per il quarto livello e poco più per il quinto.

È evidente che questo contratto rischia di diventare punto di riferimento per Confindustria, non a caso il suo vice presidente Bombassei lo ha elogiato ponendolo come modello da estendere alle altre categorie, a partire dai metalmeccanici.

Durante le assemblee di base del congresso Cgil, abbiamo criticato il documento Epifani vedendovi un ritorno a politiche concertative e di collaborazione di classe, a partire dal modello contrattuale. Contratti come questo non lasciano ulteriori dubbi a riguardo. L’introduzione sempre più massiccia di flessibilità nei contratti serve ai padroni per aumentare la produttività senza assumere e sfruttando di più i lavoratori attraverso l’aumento dei ritmi. Sempre più l’incremento dei profitti delle aziende (Telecom e Vodafone ne sono un ottimo esempio) passa attraverso il peggioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro. Ormai anche la gestione del nostro tempo libero è subordinata alle esigenze dei padroni.

È con questo spirito e per queste ragioni che crediamo necessaria una mobilitazione dei lavoratori delle telecomunicazioni a partire dai delegati, affinché si facciano assemblee in tutti i luoghi di lavoro dove si spieghi la necessità di ritirare la firma da quell’accordo; dove possa partire una discussione per una piattaforma alternativa che sia unicamente espressione delle esigenze dei lavoratori. Tutto deve essere rimesso in gioco, a partire dalle leggi antisciopero che impediscono ai lavoratori delle telecomunicazioni di intervenire con la lotta a sostegno di una piattaforma combattiva. E in primo luogo dobbiamo mobilitarci affinché i lavoratori possano dire la loro su questo obbrobrio con una vera consultazione democratica.