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- seconda parte -

Materia oscura

“Si ritiene che una buona parte della massa dell’universo sia oscura. Stabilire la natura di questa “massa mancante” è uno dei massimi problemi della cosmologia moderna. Si ipotizza che circa il 23% dell’universo sia composto da materia oscura e che il 73% consista di energia oscura, un componente ancora più strano molto diffuso nello spazio a cui non si può pensare come a una particella ordinaria.” [Wikipedia]

 

 

La maggior parte delle persone, se messa alle strette, ammette i propri errori e rivede le proprie posizioni. I cosmologi in voga invece smontano e rimontano le fondamenta della loro costruzione finché questa non li travolge nel suo crollo.

Davanti all’osservazione di un moto delle galassie, che non può essere spiegato solo con l’azione della gravità, sembrerebbe ragionevole considerare la possibilità che anche l’elettromagnetismo possa essere responsabile. Dopo tutto i fisici sono stati fino ad oggi in grado di scoprire soltanto quattro differenti tipi di forza: gravità, elettromagnetismo, forza nucleare forte e debole, queste ultime agenti solo a distanze subatomiche infinitesimali. Sfortunatamente però è meno glorioso sporcarsi le mani con la fisica classica dell’elettromagnetismo piuttosto che esporre alcune inaspettate conseguenze della relatività generale, la quale però tratta esclusivamente della gravità.

La materia oscura è stata inventata perché si potesse ottenere la quantità di gravità necessaria non solo per la formazione delle galassie, ma anche per evitare il loro collasso. Le velocità di rotazione di molte galassie sono troppo grandi rispetto alla gravità prodotta dalla materia visibile che dovrebbe tenerle insieme. Piuttosto che cercare una spiegazione per questo fatto nei confini della fisica conosciuta, come hanno fatto i fisici del plasma, i teorici del Big Bang hanno invece inventato forme invisibili di materia e energia che si suppone pervadano l’universo, costituendone ben il 95% del totale.

L'oggetto all'interno della porzione di cielo evidenziata 
è stato identificato nel febbraio 2005 come contenente 
una galassia invisibile formata per lo più da materia oscura. 
Un gruppo di astronomi della Cardiff University 
ha rilevato potenti emissioni radio provenienti da una 
grande massa di atomi d'idrogeno presente in questa zona. 
Tuttavia la velocità di rotazione dell'oggetto è stata ritenuta 
troppo elevata per essere causata solo dalla forza 
gravitazionale generata dall'idrogeno per cui si è supposta 
la prevalenza di materia oscura. Una spiegazione 
più probabile suppone invece che la materia in 
questa regione sia troppo fredda per produrre luce visibile 
ma abbastanza calda per emettere onde radio, come 
osservato, e che il suo moto sia dovuto ad effetti
 elettromagnetici correlati al plasma.
Sfortunatamente, malgrado il suo immenso contributo alla gravità, la materia oscura “interagisce debolmente” per altri aspetti con quella “normale”, giustificando così solo in minima parte la sua presenza non rilevabile con test sperimentali. Questo non ha impedito al sistema delle fondazioni scientifiche di investire somme sempre più ingenti nella ricerca di questa sostanza invisibile finanziando in realtà solo carriere scientifiche individuali.

La materia, piuttosto che oscura, è proprio assente. Studi recenti sulla radiazione infrarossa emessa da certe galassie hanno reso possibile una stima sulla massa delle stelle di queste strutture, registrando effetti gravitazionali, anche negli ammassi di galassie, che lasciano ben poco spazio alla materia oscura. La materia visibile giustifica circa i 2/3 di questi effetti nelle galassie, mentre negli ammassi la differenza è maggiore probabilmente perché la grande quantità di gas e polveri riduce le possibilità di osservazione.

Il metodo scientifico

C’è stata un’intera sessione della conferenza dedicata alla questione di come cosmologi e scienziati dovrebbero lavorare su argomenti di questo tipo, cercando di comprendere la natura di oggetti molto distanti e inaccessibili. Timothy Eastman ha evidenziato i pericoli insiti nell’approccio deduttivo, di uso comune non solo in cosmologia, secondo cui le risposte derivano da “leggi dell’universo” che non necessitano di verifica (e che quindi possono essere costruite per tappare i buchi). Ha suggerito l’alternativa informatica del “data-mining”, con i computer alla ricerca di regolarità nei dati raccolti senza fare ricorso a teorie di questo tipo.

La popolarità dell’approccio deduttivo sta nel fatto che con il suo utilizzo, sia pure in ambiti scientifici molto circoscritti, è stato possibile riassumere anni di lavoro in una forma astratta e molto sintetica, usando un piccolo numero di simboli matematici. Come nel caso delle equazioni di Maxwell che regolano l’elettromagnetismo:

Questi simboli esprimono le relazioni tra il campo elettrico E, il campo magnetico B, la densità di carica elettrica r e la densità di corrente elettrica j, nonché le loro variazioni spazio-temporali, rappresentate dagli operatori ∇ •, ∇x ∂/∂t 

Da queste equazioni, sviluppate secondo le regole matematiche che stanno a monte di questi simboli, è possibile derivare ogni fenomeno elettromagnetico conosciuto. Per un matematico o un fisico tutto ciò è molto attraente, l’espressione è esauriente, ogni cosa può essere compresa, almeno dagli iniziati, semplicemente applicando le leggi della logica e le loro conseguenze matematiche.

Ma gli scienziati moderni tendono a dimenticare che ci sono voluti molti anni di duro lavoro svolto da tante persone per raggiungere il grado di conoscenza attuale dell’elettromagnetismo, esattamente come nelle poche altre branche scientifiche dove è stato possibile utilizzare generalizzazioni di questo tipo. Le equazioni di Maxwell sono considerate assiomi, asserzioni che non necessitano di prove o dimostrazioni. Ma questa è una visione unilaterale, che parte dal risultato finale di uno sviluppo umano e scientifico durato forse migliaia di anni, e non si può ignorare tutto quello che c’è stato prima come se fosse irrilevante. Per arrivare al punto in cui l’idea di un campo elettrico, o delle sue variazioni rispetto a spazio e tempo, è stata formulata, esplorata, sviluppata, applicata, testata e resa pubblica, è stato necessario il contributo di innumerevoli scienziati per un lungo periodo di tempo. Le quattro equazioni dette di Maxwell hanno a che fare con molti altri concetti fisici e matematici, ai quali le legano i risultati di un vasto raggio di attività scientifica. Se sono assiomatiche, semplici punti di partenza, perché ci vogliono più o meno 15 anni di studio, inclusi molti di specializzazione in fisica o matematica, prima di poterle comprendere e utilizzare?

Il telescopio spaziale Hubble in orbita.
Fonte: NASA
In fisica teorica e nella cosmologia in voga, l’enfasi è posta sulla deduzione da assiomi, sulla logica e sul pensiero puro. La teoria del Big Bang, mancante di osservazioni di supporto, evidenzia i danni insiti in questo approccio. È il metodo prevalente, insegnato e sostenuto nelle università perché permette a persone molto intelligenti di dimostrare la propria brillantezza sostenendo tesi assurde. Prima una bella generalizzazione, poi un assioma dal quale tutto deve essere dedotto. Quindi la brillante esposizione, la sensazionale conclusione, un cenno della mano, un piccolo inchino con la testa, lo scrosciare degli applausi.

Seguono poi i problemi, i rattoppi nella teoria, lo zittire gli oppositori.

C’è un’ulteriore difficoltà. “Da queste leggi possono essere dedotti tutti i fenomeni conosciuti.” Beh, non proprio tutti. Solo i casi più semplici, con le geometrie più lineari e coinvolgenti un piccolo numero di figure/particelle/componenti/azioni (di preferenza non più di due). L’abilità dei fisici praticanti sta nel trovare l’approssimazione adeguata, rigirando le idee e i concetti matematici per accordarli alla complessità. La realtà della maggior parte dei fenomeni fisici è la presenza di molte figure coinvolte che interagiscono tra loro, e sempre più si è portati a credere che le interazioni possano essere più importanti dei casi particolari concepiti dalle leggi. Ci sono transazioni determinate dalla complessità stessa senza riguardo ai dettagli fisici: ecco perché un modello frattale funziona su scale e con meccanismi fisici differenti. Gli assiomi e le loro deduzioni non sono solo inadeguati, ma proprio irrilevanti. Emergono leggi più generali come quelle della dialettica: dalla quantità alla qualità, l’unione degli opposti e la negazione della negazione.

Allo stesso tempo anche un approccio puramente empirico, con cui si nega la necessità di un apporto teorico, è incompleto. Apprendere dall’esperienza, generalizzarla, e mettere tutto ciò alla prova di nuovi esperimenti, questo processo è basilare per qualunque tipo di sviluppo scientifico ma anche personale. Chi si occupa di osservazioni scientifiche, in campi quali cosmologia o geofisica, è chiamato continuamente a estrarre idee dai dati in suo possesso, applicandole di nuovo ai dati per testarle, in questo modo cambiandole o affinandole. Induzione e deduzione contemporaneamente, non una o l’altra, ma le due insieme.

Per Eric Lerner la questione metodologica nello sviluppo delle teorie scientifiche è importante tanto quanto i concetti della fisica. In una recente intervista ha dichiarato: “La grande rottura provocata dalla rivoluzione scientifica di Galileo e Keplero sta nel concetto secondo cui le leggi del cosmo,la fisica e la scienza del cosmo, sono le stesse che noi osserviamo sulla Terra”. 6

I teorici del Big Bang sostengono che, per esempio, “al principio” (e vengono subito in mente analoghe espressioni della Bibbia) tutta la materia nell’universo era concentrata in un unico punto caratterizzato da una densità infinita. In verità, non si può dire che ciò sia impossibile. Ma nulla di simile è mai stato rivelato da alcun esperimento e tanto meno osservato in nessun modo, e ci sono altre possibilità di spiegazione di fenomeni quali il movimento delle galassie, la radiazione cosmica di fondo, la proporzione tra elementi leggeri e pesanti nell’universo, e tutti gli altri che i teorici del Big Bang sostengono, scorrettamente, di spiegare. Piuttosto di sostenere, senza alcuna prova, ed in totale contraddizione con ciò che viene osservato, che la materia era compressa in un punto, sarebbe stato meglio dire “non sappiamo cosa accade in una situazione limite di gravità massima, ma è improbabile che la materia appaia e scompaia perché non abbiamo mai visto niente del genere”.

La conoscenza può essere raggiunta in molti modi: esperimenti di laboratorio possono permetterci di comprendere meglio la natura e questa ci può dare utili tracce da seguire nel lavoro sperimentale. Possiamo affrontare lo studio della natura con l’osservazione diretta o estrapolando, da ciò che sappiamo, nuovi elementi di conoscenza. Dice Eric Lerner: “La corrispondenza tra scienza di laboratorio e scienza del cosmo marcia a doppio senso. Molte volte si sono fatte importanti scoperte sulla natura osservando fenomeni nello spazio.” Esperienze di questo tipo sono state fatte in fisica del plasma, dove i processi studiati in laboratorio da Lerner sono complementari rispetto a quelli osservati tra le galassie.

Egli sostiene che un nodo cruciale della teoria del Big Bang è l’ipotesi di un effetto, in questo caso l’esplosione di materia ed energia nell’universo, senza una causa. Per Lerner questo è l’opposto di un approccio scientifico, che ricerca una causa dietro ogni effetto. La potenza della scienza sta tutta nella possibilità di generalizzare i risultati dell’osservazione e nel poter fare previsioni, nello sviluppare teorie studiando i processi in corso e nell’utilizzare queste teorie come guida per l’azione.

Il mito della Creazione

Un’ulteriore immagine della profonda crisi in cui versa il concetto di Big Bang è stata fornita alla conferenza portoghese da Mike Disney con una relazione intitolata “L’irrilevanza della cosmologia moderna”. Egli ha mostrato come le teorie correnti si basino su un numero incredibilmente esiguo di semplici osservazioni genuinamente indipendenti, ritenendo infatti che ci siano non più di cinque di esse oltre il numero di parametri teorici utilizzati. Ha proseguito sostenendo: “Si può argomentare che ci sia un minimo significato statistico negli adattamenti che impressionano i cosmologi convenzionali… Situazione preoccupante che è sempre esistita nell’era moderna della cosmologia con il numero dei parametri che è via via aumentato per sistemare i dati.”

D’altra parte già nel passato egli aveva messo in guardia rispetto ai pericoli insiti in questa situazione: “L’aspetto più insano della cosmologia è rappresentato dal sottinteso parallelo con la religione. Entrambe trattano questioni enormi, probabilmente irrisolvibili. Una platea rapita, l’esposizione mediatica, la buona tiratura dei libri sull’argomento, tentano preti, ciarlatani e creduloni come nessun’altro aspetto della scienza.”7

Tra la teoria del Big Bang e il mito cristiano della Creazione può essere tracciato un parallelo che mette a disagio. Non è sufficiente sostenere, come fanno i suoi sostenitori, che è impossibile sapere cosa ci fosse prima del Big Bang, quando non esisteva il tempo e l’indagine scientifica, come ogni altra speculazione, deve perciò fermarsi a quel momento. I comuni mortali, purtroppo, non possono fare a meno di fantasticare. Dobbiamo solo chiederci cosa abbia dato impulso all’esplosione e all’inizio del tempo, per tornare punto e a capo con la necessità di un’azione causale, la mano di Dio. Questa vecchia idea si presenta con abiti nuovi in astrofisica, ma sotto di essi il contenuto è rimasto medievale. Ci dicono che “fluttuazioni quantiche”, supposte essere una conseguenza del principio d’indeterminazione di Heisenberg, avrebbero permesso all’energia di apparire per brevi periodi, e ciò facendo da detonatore alla nascita dell’universo.

“Il principio di indeterminazione di Heisenberg” stabilisce quanto accuratamente possiamo misurare simultaneamente coppie di grandezze quali momento e posizione, oppure tempo ed energia. Tuttavia conoscenze incerte, difficoltà di osservazione nonché la nostra attuale scarsa confidenza con il dualismo onda-particella, non implicano ambiguità nella realtà fisica. Le fluttuazioni quantiche altro non sono che un’interpretazione mistica e idealistica del principio d’indeterminazione di Heisenberg, avulse dal contesto e svuotate di significato fisico, nella tradizione che discende dall’interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica. 8

È una difesa assai debole quella che contrappone all’idealismo e al misticismo religiosi identiche interpretazioni della meccanica quantistica. Sempre più la scienza ci ha permesso di trovare chiavi d’interpretazione dei fenomeni naturali, quali la storia e il futuro dell’universo, nei processi riguardanti la materia. Non c’è nessun genio nella lanterna, Dio non esiste, e casomai abbiamo il dovere di cercarlo non in cielo ma sulla Terra, nella realtà quotidiana dell’esistenza umana. Per l’uomo la nascita è un’esperienza dolorosa e drammatica. Le cicatrici dimostrano la brama del paradiso perduto dove, letteralmente, “tutto si riduce a una cosa sola”. Nella società classista questi concetti di base servono da supporto per i dominanti, come il signore feudale che si presenta a ritirare la rendita con un prete al seguito, o presidenti e primi ministri che si appellano a volontà superiori per giustificare il loro terrorismo, ed esprimono la volontà divina con tonnellate di esplosivo.

Spazio profondo. Questa immagine del telescopio spaziale Hubble 
ritrae una grande quantità di galassie racchiuse in un fazzoletto 
di cielo che equivale ad una frazione dell'immagine lunare in luna piena.
Secondo gli scienziati del gruppo per una cosmologia alternativa la spiegazione di ciò che è accaduto nel passato sta nei processi che vediamo oggi, e che possiamo analizzare in laboratorio. Non c’è effetto senza causa, un’infinita catena di cause e effetti lega presente e passato, e per i cosmologi del plasma l’origine del moto è la materia stessa, come descritto dalle leggi dell’elettromagnetismo..

Questi scienziati sostanzialmente stanno lottando per stabilire un approccio materialista e dialettico ai concetti di spazio, tempo e origine dell’universo, e fanno questo perché si tratta dell’”unico approccio che si accorda con i fatti”. Ad esempio Eric Lerner ha sostenuto che “l’universo non ha origine nel tempo ma si evolve…Non sembrano esserci prove sulla sua finitezza spazio-temporale, e con ciò siamo tornati a Giordano Bruno, messo al rogo per averlo sostenuto già 400 anni fa.” 9

Che le quantità di moto e materia si conservino in ogni processo è un principio centrale del nostro processo di conoscenza del mondo fisico. E se moto e materia esistono adesso, devono essere sempre esistiti e sempre esisteranno, non semplicemente nel tempo conosciuto, ma anche prima e dopo di esso, che noi ne siamo a conoscenza o meno. L’astrazione infinita è difficile da comprendere per gli esseri umani perché sembra distante dall’esperienza quotidiana e non pare avere significati concreti. Tuttavia l’esistenza attuale di materia e energia è la più chiara dimostrazione che queste entità non hanno origine né fine. Se partiamo dalla fisica che conosciamo, l’unica risposta possibile è che l’universo non ha inizio, non ha fine, ed il tempo è infinito.

Ma l’universo non è statico. Ovunque, dalla scala infinitesimale a quella infinitamente grande, si notano moto, cambiamenti e evoluzioni. Semplici galassie, o ammassi di esse, evolvono e mutano. Stelle e pianeti nascono, crescono e muoiono. Su questo sfondo sorgono e crollano imperi. Gli individui crescono, imparano, agiscono e scompaiono. Miliardi di singole cellule interagiscono tra loro, si sviluppano, muoiono e si rinnovano. E così via fino alla più piccola scala e oltre. La mente umana è il più raffinato prodotto di questo processo per quanto ne sappiamo e per quanto possiamo sostenere da questo piccolo angolo dell’universo.

2 - Fine


Note

6 Per ascoltare l’intervista vai su 

7 “The Case against Cosmology” (Relatività generale e gravitazione, 32, 115, 2000. astro-ph 009020]

8 Per approfondire l’argomento: “Against the Copenhagen interpretation of quantum mechanics - in defence of Marxism”.

9 Cosmologi e astronomi “eretici” non sono più bruciati sul rogo ma minacciati di morte per inedia. I ricercatori accademici lavorano con contratti a breve termine di 2-3 anni, senza garanzie di rinnovo. Anche un piccolo passo fuori dal pensiero dominante, semplicemente per suggerire, ad esempio, che essendo la costante di Hubble sia pur lievemente differente rispetto al valore accettato, l’universo potrebbe essere più vecchio di ciò che tutti pensano, è sufficiente per rischiare il proprio posto di lavoro. Solo se dimostrano di poter dirottare fondi verso la propria università, e generalmente dopo 5 o più anni di lavoro, essi possono ambire ad un contratto permanente. I fondi accademici destinati a studi cosmologici sono assegnati da comitati di esperti che hanno costruito le loro carriere sulla teoria del Big Bang; ci sono quindi ben poche speranze per ricerche alternative.

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