Embraco - Falcemartello

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Una lotta esemplare per la difesa del lavoro

Intervistiamo Raffaella Calvo, lavoratrice dell’Embraco, azienda produttrice di motori per frigoriferi di Riva di Chieri (Torino), delegata Rsu per la Fiom e militante del Prc.

Raccontaci in breve la storia dell’azienda.

La ditta all’inizio si chiamava Aspera ed era controllata dalla Fiat. Dal 1984 passa alla Whirlpool, multinazionale americana fra le più grandi a livello mondiale: la Embraco, subentrata nel ’93, è formalmente un’azienda brasiliana ma nella pratica è controllata dalla Whirlpool stessa.

Gli ultimi dieci anni vedono una prima ristrutturazione aziendale nel ’93, poi l’assunzione di personale porta l’organico dei lavoratori nel ’99 a circa 2200 addetti. Questo avviene, con l’avallo del sindacato, attraverso l’applicazione della precarietà più selvaggia: contratti weekend, interinali, formazione lavoro. Vengono sperimentati turnazioni massacranti per aumentare la produzione (ad esempio lo “ scorrimento”); viene firmata dai sindacati una deroga che consente la turnazione notturna fissa (anche per le donne), usata dall’azienda come arma di ricatto nei confronti dei lavoratori. Negli anni novanta vengono aperti due stabilimenti dell’Embraco in Cina e in Slovacchia e dal 2000 inizia il progressivo smantellamento dello stabilimento italiano, attraverso la chiusura di linee, la cassa integrazione, la mobilità (e i relativi accordi firmati da Fim e Uilm).

Una prima lotta vede la formazione nel 2001 di un coordinamento di cassaintegrati. Nel luglio del 2004 la prospettiva di nuovi tagli conduce i lavoratori (ormai ridotti a 924 unità) al blocco degli straordinari e ad una giornata di sciopero con picchetti ai cancelli. Nei mesi successivi gli operai bloccano il trasferimento di macchinari dall’azienda.

Come si arriva alle giornate di lotta di novembre?

Il 15 novembre la direzione ci convoca e ci comunica che avrebbe messo in mobilità 812 lavoratori (tutti quelli produttivi): dunque per la fabbrica, e per chi ci lavorava, non c’era alcun futuro.

Abbiamo immediatamente convocato un’assemblea, decretando lo stato di assemblea permanente e lo sciopero a oltranza. I dirigenti aziendali erano scappati; i lavoratori hanno messo in sicurezza gli impianti della fabbrica, che senza la corretta manutenzione rischiavano guasti irreparabili. Per dieci giorni la fabbrica è stata presidiata 24 ore su 24 da noi operai, ci riunivamo all’interno quotidianamente e in queste assemblee decidevamo in modo democratico gli strumenti e le forme di lotta da mettere in pratica. In quei giorni abbiamo fatto attività di volantinaggio, blocchi stradali e ferroviari, interventi presso gli enti locali. Sentivamo attorno a noi la solidarietà della popolazione di Chieri, un appoggio dimostrato anche dal cibo e dai vari beni che ci venivano forniti. Siamo andati nelle scuole secondarie della città chiedendo l’appoggio degli studenti.

La risposta è stata una manifestazione congiunta operai-studenti che ha attraversato le vie di Chieri e ha coinvolto almeno mille persone. Ma soprattutto i giorni di lotta hanno dimostrato la capacità della classe operaia di gestire in prima persona una lotta molto dura e di autorganizzarsi in difesa dei propri diritti. I lavoratori non solo hanno messo in salvo i macchinari aziendali e provveduto alle esigenze minime per proseguire la lotta (attraverso una corretta divisione dei compiti), ma hanno compreso, attraverso la mobilitazione, la propria forza, il peso del proprio ruolo sociale. E questo è il ricordo più bello che i giorni di lotta ci hanno lasciato.

Come si è fermata la mobilitazione?

Il 26 novembre una nostra delegazione, accompagnata da 550 lavoratori, ha partecipato ad un incontro con l’azienda presso il ministero delle attività produttive a Roma. Dopo estenuanti trattative l’azienda ha ritirato la mobilità ed è stato istituito un tavolo nazionale di crisi: la riunione si terrà il 12 gennaio. Nonostante questo, siamo stati costretti a convocare una nuova giornata di lotta il 22 dicembre con una manifestazione nel centro di Torino. In quei giorni è trapelata infatti la reale intenzione dell’azienda, ovvero chiudere metà della fabbrica (con relativi licenziamenti) e cedere ad altre aziende le aree dimesse. Inoltre c’è la volontà di aumentare le ore lavorative, a parità di salario.

Quali sono le prospettive per il futuro?

Andremo a questo incontro a Roma e vedremo cosa intende proporci l’azienda. Sappiamo che la situazione è difficile e le speranze non sono molte. Sappiamo anche come l’unica nostra arma efficace sia riprendere la lotta e in caso di necessità siamo pronti a farlo.

10/01/2005