La lotta al precariato non può essere ridotta a uno slogan, a un evento. Far sì che in un luogo di lavoro un precario non sia lasciato solo può essere solo il risultato di un’attività costante e quotidiana. Spesso però Rsu e sindacato hanno metabolizzato la rassegnazione a difendere solo i fissi (che poi in realtà è solo formale). Un’idea che costringe i precari ad autorganizzarsi, con l’inevitabile rischio di essere i più deboli e contemporaneamente i più esposti. Il precariato non colpisce solo quando un contratto non viene rinnovato. La sua esistenza mina di per sé la possibilità di mobilitazione del resto dei lavoratori. Li espone ad una serie di ricatti, tra cui lo scambio tra maggiore produttività e la promessa di assunzione di qualche precario. Alla Menarini, multinazionale chimica con sede a Firenze, come Coordinamento 20 Maggio (C-20M) – coordinamento di lavoratori nato in occasione di un’assemblea in difesa dello Statuto dei lavoratori - abbiamo iniziato un anno fa l’attività con i precari.
Quando la Menarini è stata indagata per frode verso il fisco, l’azienda ne ha approfittato per creare un clima di paura negli stabilimenti. In quell’occasione, fu presentato in assemblea un ordine del giorno dal titolo: “Nessuno sia precario”, che recitava: “In questo clima, vi sarebbe un altro pericolo ancora: quello di una crescente divisione tra lavoratori fissi e precari, con quest’ultimi che finirebbero per essere considerati i naturali predestinati da sacrificare di fronte ad una eventuale riduzione della produzione. Al contrario, proprio ora, è necessario che i lavoratori siano più uniti che mai. è importante capire che la sorte dei precari sarebbe solo l’anticipazione del futuro del resto dei lavoratori fissi”.
Mentre ai precari veniva consigliato di non esporsi, di non venire alle assemblee, noi abbiamo sempre sostenuto che solo l’unità tra i lavoratori poteva salvarci.
Menarini è passata infatti all’attacco. Il 4 agosto scorso non ha rinnovato quattro precari, tra cui chi scrive, dopo ben 27 mesi di lavoro. è evidente che sono stato colpito come militante di Rifondazione e del C-20M, senza nessuna plausibile ragione produttiva. La mia mansione sarà semplicemente sostituita con altro precariato.
Nonostante cercheranno di usare questo come una lezione verso chi si “espone”, la lezione è esattamente contraria. Grazie all’attività svolta, pur avendo saputo del licenziamento solo sette giorni prima, in appena una settimana l’Rsu interna è stata costretta a convocare un’assemblea di tutta la produzione per discutere della questione. In assemblea è stato approvato all’unanimità un ordine del giorno che dice: “Non vorremmo che l’efficienza dell’azienda consistesse in realtà proprio nel tenere sulla graticola parte dei nostri colleghi per mesi e mesi, selezionando chi è più docile alle richieste aziendali e utilizzando di volta in volta gli interinali come merce di scambio (…). I lavoratori e la Rsu prendono atto che in Menarini il modus operandi è quello di tenere ragazze e ragazzi per 20-30 mesi e poi sostituirli con altri precari che faranno la loro stessa fine. (…) La Rsu ritiene questo atteggiamento profondamente scorretto indirizzerà e sosterrà i lavoratori nelle sedi più appropriate.”
Il C.20-M ha organizzato un volantinaggio-presidio di fronte ai cancelli a cui hanno partecipato anche i compagni della Gkn all’interno della quale negli stessi giorni si è proceduto a riunire i precari e ad organizzarli con l’elezione di un rappresentante degli interinali. La vicenda è stata ripresa dalla stampa locale, dal Nuovo Corriere di Firenze e dall’Unità. Continueremo con la mobilitazione. Ma la prima vittoria è sempre ottenere la verità. Quello che normalmente sarebbe stato un “mancato rinnovo”, avvenuto nel silenzio, è stato chiamato con il suo nome: licenziamento politico.