Lo scorso 6 settembre la Banca centrale Europea (Bce) ha varato tra il plauso generale il programma Omt (operazioni monetarie dirette): acquisti illimitati di titoli di Stato con scadenza tra uno e tre anni dei paesi dell’eurozona che ne facessero richiesta. Come accaduto con la Grecia, lo Stato che accede all’Omt deve sottoscrivere un memorandum dove si impegna ad invasive misure d’austerità.
Dopo le due operazioni “Ltro” – mille miliardi di euro di liquidità immessi dalla Bce – l’“Esfs”, il fondo Salva Stati, sostituito con l’“Esm”, meccanismo di stabilità europeo, il capitalismo europeo aggiunge un altro rubinetto alla propria capacità di iniettare liquidità nel sistema.
In questo caso è la Bce a giocare il ruolo di “prestatore di ultima istanza”: il garante mitologico che non vi sarà alcun default, che i soldi usciranno da sotto il materasso e che sotto il letto finiranno invece i debiti. I diversi Governi dovranno “solo” continuare a garantire un drenaggio continuo di risorse dalle tasche dei ceti meno abbienti al grande capitale sotto forma di tagli, privatizzazioni, tasse.
Eccolo dunque lo “scudo anti-spread”, il “bazooka” di Draghi. Ma di nuovo non c’è sostanzialmente niente. Siamo alla creazione di un altro strumento con cui socializzare le perdite della finanza. I principali beneficiari rimangono esattamente quegli “speculatori” che si pretende di fermare. E il motivo è semplice: la speculazione non è una congiura che si sviluppa ai danni del capitalismo. Essa è l’attributo fondamentale del sistema nella sua fase di decadenza senile. è il corollario inevitabile dell’enorme sovrapproduzione esistente sul terreno della produzione di merci, che spinge inesorabilmente i capitali a creare denaro dal denaro sul terreno della finanza.
Ricreare la “stabilità” nei mercati equivale semplicemente a creare le condizioni per la crescita di una nuova bolla speculativa. Ma ad ogni nuovo stadio, la bolla diviene più grande e incontrollabile.
Nel 2008 il crack finanziario si è trasmesso al settore bancario. Dalle banche è stato trasmesso agli Stati. Ora è arrivato il turno delle banche centrali: “Potremmo definirlo il ritratto di Dorian Gray dell’Europa. È il bilancio sempre più ingombrante della Banca Centrale europea. (...) Mentre Dorian Gray (cioè le banche e gli Stati in Europa) tornano in salute con la maxi-liquidità, è il “ritratto” (cioè il bilancio della Bce) a inglobare sempre più rischi. A diventare sempre più brutto” (Morya Longo, Attivi record per la Bce). La Bce ha infatti dato liquidità in cambio di debito, accettando anche titoli rischiosi. Se fosse costretta domani a ricapitalizzarsi, dovrebbe appoggiarsi sulle diverse Banche centrali nazionali. La valanga del debito tornerebbe a travolgere gli stessi Stati.
La “mordacchia” alla speculazione?
Draghi non si è inventato nulla. Le misure di liquidità praticate e annunciate rispondono a quelle delle principali Banche centrali. La Fed Usa ha annunciato un nuovo piano di immissione di liquidità di 40 miliardi di dollari al mese, acquistando mutui-bond tossici. La Banca centrale del Giappone (Boj) ha varato un altro pacchetto di stimoli per 100 miliardi di euro, portando così le misure di espansione monetaria dal 2010 ad oggi alla sbalorditiva cifra di 800 miliardi di euro.
Un fiume di liquidità i cui effetti anti-recessivi sono al momento ridotti. Da 20 anni il Giappone non riesce ad uscire da una dinamica di deflazione. Negli Usa ad agosto è stato creato un numero di posti di lavoro inferiore alle aspettative. Arrivano segnali di rallentamento anche dalla Cina. La situazione in Europa e in Italia è fin troppo nota.
La liquidità immessa semplicemente non si trasforma in credito a imprese e consumi. In Europa ed in Usa aumenta la massa monetaria primaria ma ne diminuisce la velocità di circolazione: i soldi immessi assomigliano ad acqua pompata in una palude. Assistiamo allo stesso tempo al credit-crunch – l’assenza di credito – e all’eccesso di liquidità. Nelle banche Usa vi sono 1.618 miliardi di dollari di riserve eccedenti. La Bce ha aumentato la liquidità bancaria di circa 700 miliardi di euro, registrando contemporaneamente un aumento dei depositi di 500 miliardi di euro (da http://intermarketandmore.finanza.com). In pratica le Banche hanno preso i soldi della Bce e li hanno messi al sicuro depositandoli presso la Bce stessa.
I capitali non affluiscono verso le aziende visto il contesto di sovrapproduzione che riduce i margini di profitto di nuovi investimenti. Non si trasformano in nuovo credito, visto che devono essere usati a copertura dei debiti accumulati in precedenza. In Spagna, ad esempio, è stato appena toccato il record di sofferenze bancarie: i crediti inesigibili sono ormai 170 miliardi di euro, pari al 10% del totale. (Il Sole 24 Ore, 19 settembre 2012). Tra il 2008 e il settembre 2011 le sofferenze bancarie in Italia sono cresciute del 143%, toccando quota 99 miliardi. A fine luglio scorso toccano quota 114 miliardi.
La massa monetaria immessa non riesce quindi a fermare la deflazione in alcuni settori – quello immobiliare su tutti – mentre genera inflazione in altri, negli alimentari e in quello energetico ad esempio. In pratica, laddove c’è domanda, si determina una spirale di aumento dei prezzi. Laddove domanda non c’è, non si riesce a impedire la spirale di una loro caduta. Il risultato è comunque la diminuzione del valore reale dei nostri salari pagati con una moneta più svalutata di prima: strumento invisibile ma efficace per farci pagare le perdite del sistema finanziario.
La svalutazione della moneta dovrebbe poi favorire le esportazioni di un paese ai danni di un altro. Ma una generalizzata politica di allentamento monetario fa sì che i vantaggi competitivi di una svalutazione siano azzerati da quelli del paese concorrente. Il risultato è una guerra delle valute, preludio ed inseparabile caratteristica di un inasprimento di guerre commerciali e conflitti internazionali.
In compenso grossa parte della liquidità immessa torna a alimentare gli investimenti più speculativi. Con i propri interventi monetari, le Banche centrali rassicurano sull’esistenza di risorse per tornare a gonfiare la bolla: “Mario Draghi ha avuto il merito di scatenare uno dei più imponenti rally che i mercati ricordino. (…) Il riscatto ha interessato gli asset ritenuti più rischiosi”. (Il Sole 24 Ore, 19 settembre 2012) Da maggio le quotazioni dei junk-bond – i titoli spazzatura – sono tornate ad aumentare del 7%. Effetti analoghi e ancora più distorti negli Usa, dove è in atto una nuova manovra speculativa sui “sub-prime”: il 25% del credito erogato nel 2012 per l’acquisto di auto è catalogato come “subprime-tossico” (Il Sole 24 Ore, 20 settembre 2012). Eccoci tornati al punto di partenza: lo strumento di “fuoco” della liquidità si trasformerà presto in liquidità andata in fumo.
I “keynesiani”, che tanto hanno invocato “la mordacchia”, il freno alla speculazione, si sono molto lamentati dei punti deboli del piano Draghi. La Fed compra titoli tossici senza molte domande e condizioni. Un paese europeo deve invece chiedere aiuto allo scudo anti-spread, dichiarando nei fatti il proprio stato di insolvenza e accelerando il panico finanziario. Oppure: la Bce, comprando solo i titoli a breve, rischia di favorirne indirettamente l’emissione peggiorando la situazione complessiva del debito.
Tutto vero. Ad ogni nuovo salvataggio il capitalismo europeo si spinge sempre di più in mezzo al guado. Ogni nuovo piano è sempre più oneroso, ma senza di esso si rischia di perdere anche i soldi stanziati in precedenza: i 310 miliardi spesi finora in aiuti alla Grecia andrebbero persi in caso di default. L’Italia in particolare è un paese a rischio e il terzo contribuente al bilancio Bce e ai diversi meccanismi Salva-stati.
In pratica, ogni piano di salvataggio ne aggrava la condizione avvicinando il Belpaese ad avere bisogno di essere salvato. E con questo prendiamo atto che la Bce non è la Fed e che il capitalismo europeo è più debole di quello Usa. Un fatto molto triste evidentemente solo per chi si ostina a non capire che il nostro problema non è unificare il capitalismo europeo alla pari di quello Usa, ma rovesciarli entrambi e con essi l’intero capitalismo mondiale.