In realtà Angela Nocioni nel suo viaggio in America latina che prosegue ormai da mesi ci ha dato più volte motivo di capire da che parte si colloca nello straordinario processo rivoluzionario che attraversa il continente e ispira la lotta di milioni di sfruttati in tutto il mondo.
Ci ha spiegato brillantemente che la rivoluzione bolivariana è “populismo da 4 soldi” e che malgrado la Mision Barrio Adentro, che ha fatto conoscere a milioni di venezuelani un medico per la prima volta fornendo assistenza medica gratuita, “gli ospedali fanno schifo come prima”. Ha fornito un'analisi, o forse dovremmo dire solo un racconto come dice il direttore Sansonetti, del processo rivoluzionario boliviano, fatto di scioperi generali, insurrezioni e nazionalizzazioni, guidato dal sindacato dei minatori come una rivoluzione indigenista e non operaia, cercando di seppellire quelle straordinarie mobilitazioni sotto un manto di “nuovismo”, con l’obbiettivo di renderle inoffensive.
Ancora qualche giorno fa davanti alla volontà da parte del governo di Hugo Chavez di non rinnovare la concessione delle frequenze all’emittente televisiva reazionaria e golpista Radio Caracas Tv (Rctv) la Nocioni ha saputo solo rivendicare una astratta “libertà di espressione”. Come se l’oligarchia in Venezuela non avesse sufficienti strumenti di propaganda! Infatti secondo i dati forniti dal ministero della comunicazione venezuelano (in un rapporto del giugno 2006), oggi in Venezuela la quasi totalità dei mezzi di informazione (televisione, radio, giornali) sono di proprietà privata. In particolare, nel campo televisivo, il 90% del mercato è controllato da quattro emittenti private: Globovision, Televen e Venevision, tutte ostili a Chavez e alla rivoluzione.
Non si è preoccupata di capire che significato avesse la campagna dell’oligarchia, sotto la dettatura della Cia, iniziata dopo la chiusura di Rctv e tesa a destabilizzare il paese, portarlo al caos e magari creare le basi per una nuova campagna internazionale di intervento imperialista contro la rivoluzione bolivariana. Ovviamente sotto la bandiera “lotta per la libertà d’espressione”ed utilizzando il fatto che Rctv è stata sostituita da Tves ,che la giornalista di Liberazione definisce “una nuova Tv pubblica che a Caracas vuol dire noiosamente filogovernativa” (da Liberazione del 29 maggio), è partito l’ennesimo attacco contro Chavez . Forse la nostra giornalista ha nostalgia dei cartoni animati che Rctv trasmetteva durante i giorni del fallito colpo di stato…
Nei suoi recenti articoli su Cuba, l’isola caraibica viene descritta come il regno della miseria, del turismo sessuale e della repressione. Angela Nocioni si lamenta sulla mancanza di democrazia e descrive i 5 cubani, detenuti ingiustamente e in condizioni disumane negli Usa, "5 spie".
Il vero problema dei suoi “reportage”, oltre a fornire una visione unilaterale e non rispondente alla realtà come quando parla di Cuba come un isola dalla quale “i giovani se ne vogliono andare quasi tutti,” non è solo “la mancanza di rispetto”, come dice il compagno Fabio Amato, ma l’approccio o per meglio dire il punto di vista di classe dal quale muovono le sue critiche. Questo è il vero elemento che sembra mancare in molti degli articoli che hanno affollato Liberazione in questi giorni.
Angela Nocioni si preoccupa del fatto che le masse cubane non possano leggere la meravigliosa stampa borghese estera, che come sappiamo è libera e darebbe un grosso contributo a migliorare il livello culturale dei lavoratori come fa in tutto il mondo, e che per i giovani cubani non sia accessibile il Miami Herald che come è noto è uno strenuo difensore del popolo cubano. Mentre disserta sul carattere “progressista” dei giornali yankee cerca i dati sulla condizione dei cubani e sui balseros citando come fonte l’Associated Press che quotidianamente in Iraq da prova di giornalismo indipendente, descrivendo la resistenza e popolo irakeno come un manipolo di terroristi tagliatori di teste.
Certamente come comunisti siamo interessati al libero sviluppo della discussione a Cuba ma non per fornire all’imperialismo nuovi strumenti per penetrare nel paese ed operare alla restaurazione del capitalismo, cosa che peraltro già fa finanziando Reporter senza frontiere attraverso il “Fondo per la Democrazia”.
Come marxisti siamo fermamente convinti che la “democrazia” non sia libertà di decidere, per usare le parole d Engels, “chi ti sfrutterà fino alle prossime elezioni” . Il modo migliore di permettere ai giovani ed ai lavoratori di discutere liberamente e decidere pienamente del loro destino è quello di aprire un dibattito, anche attraverso il Granma (il quotidiano del Partito Comunista cubano) e predisponendo nuovi strumenti di comunicazione, sul futuro della rivoluzione cubana, su come combattere la burocrazia e la corruzione ma soprattutto sul socialismo del XXI secolo lanciato da Hugo Chavez.
Questo si può fare utilizzando le forme della democrazia operaia ed eleggendo rappresentanti a partire dai luoghi lavoro, di studio, nell’esercito e territorialmente che siamo eleggibili e revocabili in ogni momento, fino alla costituzione di una assemblea nazionale rivoluzionaria in cui sia garantito a tutte le tendenze operaie, cioè che difendono Cuba dalla restaurazione del capitalismo, il diritto a manifestare le proprie posizioni in questo dibattito.
Anche rispetto alla questione dei cinque cubani detenuti nelle carceri Usa, l’articolo si concentra sul fatto che fossero “spie”, o come ripete Sansonetti nella sua difesa della Nocioni, sul fatto che la loro vicenda (della quale l’articolo non crede sia giusto ricordare il processo farsa, le torture, le detenzioni in celle di isolamento degne dell’apartheid, la censura sulle letture, l’impossibilità di vedere le famiglie e le sentenze che hanno comminato pene smisurate) sia “usata” dalla direzione del Pcc contro Washington.
La verità è che l’unica colpa che hanno i Cinque è quella di avere difeso la rivoluzione cubana e le sue conquiste infiltrandosi nei gruppi anticastristi negli Usa che progettavano attentati e operazioni controrivoluzionarie nell’isola caraibica. Per noi quindi quelli che per la Nocioni “di mestiere facevano le spie” sono rivoluzionari che difendevamo un popolo, la sua economia nazionalizzata e le sue conquiste dalla borghesia cubana emigrata a Miami e dagli artigli dell’imperialismo yankee che vorrebbe che L’Avana tornasse ad essere il suo bordello come era prima del 1959. Fuori da ogni giudizio morale sui loro compiti ci interessa capire quali interessi materiali e di classe rappresentano i Cinque e per questo siamo incondizionatamente al loro fianco.
Ci piacerebbe che Liberazione fosse davvero un giornale “unico”, come vorrebbe che fosse il suo direttore, fuori dal coro dei massmedia borghesi che sono sempre pronti a ignorare e calunniare le rivoluzioni, le spinte al cambiamento che emergono in America Latina ma anche le tante lotte operaie in Italia ed in Europa e che invece fanno proprio il motto di Stalin “calunniate, calunniate, qualcosa resterà”. Vorremmo un giornale non astrattamente “libero o indipendente” come invoca Sansonetti ma partigiano, cioè che porti il punto di vista di quegli oppressi che raramente hanno voce sui giornali dei padroni. Questa dovrebbe essere l’essenza di un giornale comunista.
Gli articoli della Signora Nocioni invece ci sembrano molto conformisti, selezionano argomenti che si inseriscono nella campagna internazionale contro l‘asse nascente Cuba-Venezuela-Bolivia, decidendo di omettere coscientemente i progressi fatti e soprattutto non concentrandosi sui veri punti da approfondire, da dibattere e da utilizzare ad esempio in Italia ed in Europa: il ruolo rivoluzionario delle masse coscienti e la necessità del socialismo internazionale basato sulla proprietà pubblica dei mezzi di produzione e sulla democrazia operaia.
Il dibattito apertosi su Cuba si è sviluppato anche attorno alla domanda se Cuba sia un modello da difendere. A questa domanda la risposta del direttore Sansonetti è stata chiarissima: ”la rivoluzione castrista fu un grande avvenimento”(…) tuttavia “l'odierno regime cubano è un regime non solo lontanissimo, ma addirittura inconciliabile con le idee di una sinistra moderna: inconciliabile, opposto. La sinistra che lavora per immaginare e costruire un modello libero dal dominio liberista, un modello non violento, costruito sulla critica e la riduzione del potere, sull'esaltazione dei diritti - contrapposti ai doveri, alle sanzioni, alla gerarchia - non può che considerare il regime cubano il contrario di se stessa”. Rina Gagliardi si è spinta ancora più in là sostenendo che “delle rivoluzioni del XX secolo resta poco o nulla da salvare”.
Simili affermazioni dimostrano come una parte del gruppo dirigente e in particolare il nostro giornale siano lontani dallo spirito rivoluzionario che pervade milioni di persone dalle Ande alla Terra del fuoco. Il processo in America latina al di là di ogni mistificazione rappresenta proprio la ripresa di quella lotta per l’emancipazione degli sfruttati che in America latina aveva subito una sconfitta negli anni ’90, la cosiddetta decade perdida.
Il XX secolo è stato il secolo dell’emancipazione delle colonie dall’imperialismo, dell’indipendenza nazionale, del più grande tentativo di liberazione del lavoro salariato attraverso la Rivoluzione d’ottobre e, in misura minore, la rivoluzione cinese, delle conquiste dei diritti democratici e sociali dei lavoratori. Tutto ciò è innegabile.
Oggi i giovani e classe operaia riprendono quel cammino di emancipazione partendo proprio dall’America e Cuba è al centro di questo processo di trasformazione.
Lo capiscono bene tanti lettori di Liberazione e soprattutto milioni di giovani e di lavoratori in tutto il mondo che guardano con interesse ed entusiasmo al dibattito sul socialismo del XXI secolo che non parte da zero ma si basa sulla migliore esperienza del movimento operaio del XX secolo.
Come spiegava Hugo Chavez alla “noiosa televisione filogovernativa“ venezuelana lo scorso 22 Aprile consigliando la lettura del Programma di Transizione di Leon Trotsky :
"Questo opuscolo ci dice che in Venezuela ci sono tutte le condizioni perché noi possiamo essere un paese socialista, una prospera società socialista socialmente sviluppata, ecologicamente sviluppata.(…) Bene oggi ci sono le condizioni, credo che questo pensiero e questa riflessione di Trotsky sia utile per il momento che stiamo vivendo,qui le condizioni ci sono in Venezuela e in America Latina, non ancora in Europa e in Asia ma in America latina e in Venezuela ci sono le condizioni per fare una vera rivoluzione. Ora abbiamo bisogno di una direzione, di un partito, perché non abbiamo avuto una direzione all’altezza del momento che stiamo vivendo, unita, orientata in funzione di una strategia, come diceva Lenin, una macchina capace di articolare milioni di volontà in una sola volontà”.
Queste parole, pronunciate dal presidente più amato di tutta l’America Latina, valgono mille volte di più di tonnellate di inchiostro cariche di sfiducia e scetticismo scritte da tanti “intellettuali” nostrani.
7 Giugno 2007
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