Il 31 gennaio il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato all’unanimità una legge che impone di dare sepoltura a tutti i feti, compresi quelli che provengono da un aborto sotto i cinque mesi. La norma prevede non solo la possibilità per i genitori di fare il funerale, ma qualora questi si rifiutino sarà l’ospedale stesso a seppellire il feto in una fossa comune.
Dopo l’attacco e la limitazione della fecondazione assistita tramite l’emanazione della Legge 40, ecco un altro esempio di come l’influenza della Chiesa sia in forte ripresa a discapito della laicità dello Stato e dei diritti delle donne. Lo stesso insabbiamento che il governo ha operato nei confronti del Disegno di legge sui Dico, peraltro assolutamente inadeguato alla soluzione giuridica delle coppie di fatto, non è che un’ulteriore conseguenza della campagna discriminatoria e reazionaria attuata dal Vaticano.
La sepoltura dei feti, già praticata in Emilia Romagna, Sicilia e proposta da Alleanza Nazionale anche in Liguria, mira al riconoscimento giuridico dell’embrione, ovvero pone sullo stesso piano i diritti della madre e quelli di una parte del suo corpo, il feto. Innanzitutto tale misura non fa che aggravare il dolore della donna per la perdita del proprio bambino, sia questa la conseguenza di una scelta cosciente o di un aborto spontaneo. In maniera ancora più subdola, poi, regala ai numerosi esponenti dell’integralismo cattolico presenti nei reparti di ginecologia e ostetricia la possibilità di esercitare pressioni psicologiche sempre più violente nei confronti delle donne che intendono abortire. Seppellire il feto significa conferirgli lo status di persona e implicitamente accusare la madre e il medico di essere degli assassini.
Mentre in Portogallo, con molto ritardo, il referendum dell’11 febbraio ha sancito la legalizzazione dell’aborto con quasi il 60 per cento dei voti favorevoli, in Italia torniamo indietro: Luigi Re, docente dell’Università Lumsa di Roma, ha addirittura proposto ai presidenti di Camera e Senato l’istituzione di un registro facoltativo dove scrivere il nome del concepito non nato. Lo scopo finale di tali proposte è aprire la strada all’abrogazione totale del diritto d’aborto, conquistato tramite le lotte degli anni ‘70 e sancito dalla Legge 194 del 1978.
Se la colpevolizzazione e l’intimidazione del provvedimento regionale in questione ci sorprendono, il fatto che questo sia stato approvato anche dal Prc ci lascia letteralmente interdetti. Servono a poco le dichiarazioni del capogruppo in Regione Mario Agostinelli comparse sul Manifesto dell’8 febbraio, in cui spiega di “essersi reso inconsapevolmente colpevole di una ferita ai diritti della donna” non essendosi accorto che tale provvedimento passava sotto il nome di “pratica amministrativa cimiteriale”.
Errori e scuse a parte, il problema però rimane e continuerà ad essere all’ordine del giorno fintanto che il Prc fa parte di una coalizione che vede al proprio interno membri della Compagnia delle Opere e di Comunione e Liberazione, che ripropongono ancora una volta la subalternità dello stato e del nostro partito alle gerarchie ecclesiastiche.