I veri interessi delle multinazionali del farmaco
La maggioranza della popolazione del Sudafrica così come di altri paesi sottosviluppati oggi non ha accesso alle cure necessarie per le malattie che la affliggono perché i farmaci sono commercializzati a prezzi elevatissimi dalle aziende occidentali. In realtà il processo e le materie prime per realizzare il medicinale potrebbero essere gestiti a prezzi assai più bassi con i fondi e con il controllo pubblici, ma le aziende private impediscono che ciò avvenga rivendicando i loro diritti di monopolio sui farmaci di cui posseggono il brevetto.
Il brevetto è un certificato che assicura, a chi lo possiede o lo rileva in licenza, il diritto esclusivo di sfruttare l’invenzione per un limite temporale che varia da Stato a Stato, ma che, nella maggior parte dei casi è di circa 20 anni dalla data di primo deposito. Questa misura non si limita a tutelare la proprietà privata del prodotto in quanto tale ma si estende anche ad altri aspetti. Esistono, infatti, tre tipi di brevetti: quelli di prodotto che garantiscono il diritto esclusivo di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare il prodotto brevettato; quelli di processo in cui la protezione riguarda solo il prodotto ottenuto con quel particolare procedimento; quelli di uso che coprono un nuovo impiego terapeutico di una molecola che può essere già nota e impiegata diversamente. Alla scadenza del tempo di validità del brevetto, il farmaco diventa generico e chiunque può produrlo e commercializzarlo per il particolare uso di cui prima era oggetto.
Fino al 1994 ogni nazione poteva produrre medicinali generici senza attendere che il brevetto divenisse di dominio pubblico. Al ’94 risale la data della stipulazione degli accordi sugli Adpic ("Aspetti dei diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio") che proibisce ai paesi aderenti all’Omc (Organizzazione mondiale del commercio) di produrre o acquistare all’estero un farmaco senza l’autorizzazione di chi è proprietario dell’invenzione.
In tal modo ogni governo è completamente schiavo della politica commerciale seguita dalle multinazionali del farmaco. In realtà gli Adpic prevedono una clausola che, in condizioni di emergenza sanitaria, dà il diritto ad ogni governo di ricorrere alle licenze obbligatorie o alle importazioni di farmaci da altri paesi dove l’acquisto è possibile a prezzi inferiori. Chiunque finora ha tentato di applicare questa clausola si è scontrato duramente con le pressioni degli Stati Uniti, della Banca Mondiale, di alcuni paesi europei e delle lobby farmaceutiche. È stato questo il caso del governo del Sudafrica, che nel ’97 ha accolto una legge, il "Medicines Act", che consente di importare e produrre medicinali anti-Aids in versioni più economiche e non protette dal brevetto ed è stato per questo portato in tribunale da trentanove multinazionali farmaceutiche. Altro efficace esempio è quello della Tailandia: qui moltissimi bambini muoiono per meningite criptococcica, una malattia che può essere sconfitta solo dal diflucan (fluconazolo), farmaco ideato e prodotto dall’azienda americana Pfizer. Una scatola (50 compresse) di Diflucan costa lo stipendio mensile di un operaio tailandese. Il governo ha perciò deciso di produrre autonomamente il farmaco riducendone clamorosamente il costo (da 5 dollari a 30 centesimi a compressa). A distanza di pochi mesi dall’inizio della produzione, il governo statunitense, sensibile alle pressioni della Pfizer, ha minacciato la Tailandia di bloccare tutte le importazioni (legno, pietre preziose e microprocessori) se l’iniziativa non fosse rientrata immediatamente. Come risultato, tutt’oggi migliaia di bambini continuano a morire di meningite criptococcica mentre la Pfizer continua ad accumulare miliardi di profitti.
Le multinazionali del farmaco naturalmente godono dell’appoggio degli apparati politico-amministrativi dei propri Stati nazionali. Ciò emerge chiaramente dal ruolo chiave svolto da molte importanti industrie farmaceutiche nel finanziamento delle campagne elettorali di partiti o coalizioni politiche che si impegnano a tutelare i loro interessi. E’ inutile, perciò, sperare che arrivino da rappresentanti governativi di qualsiasi sede, dell’Omc come dell’Onu, posizioni progressiste. Non è un caso che il progetto di costituzione del "Fondo di sostegno terapeutico internazionale" promosso dalla Francia a favore dei paesi poveri o il programma delle Nazioni Unite sull’Hiv/Aids siano a un punto morto: sono queste solo misure di facciata per nascondere i veri committenti e beneficiari delle politiche dei governi europei e americani, ovvero le grandi aziende.
La crescente concentrazione della produzione farmaceutica in poche mani, inoltre, aumenta il peso delle multinazionali e il loro dominio sul potere politico. Attualmente il valore complessivo delle prime cinque multinazionali farmaceutiche è pari al doppio del prodotto interno lordo di tutta l’Africa Sub-sahariana. Ciò incide anche sul prezzo dei farmaci. Quest’ultimo, infatti, è praticamente unico a livello mondiale dato che i due terzi del mercato internazionale sono nelle mani di una ventina di grandi gruppi, e, poiché tali aziende sono per lo più americane (dei 25 farmaci più venduti, 20 sono americani), esso ricalca le tariffe praticate dagli Usa, che sono tra le più alte del pianeta. Nei paesi occidentali questi costi pesano sui bilanci statali come macigni e in certi casi, anche in Europa, farmaci innovativi non vengono utilizzati dal sistema sanitario nazionale perché troppo costosi.
Il potere delle multinazionali farmaceutiche è tale che esse decidono anche gli indirizzi dei nuovi studi sulle terapie mediche.
Tutti i maggiori istituti di ricerca nel campo a livello internazionale ricevono fondi da questi grandi gruppi industriali. Contemporaneamente gli esigui fondi statali e i sistemi legislativi che agevolano l’ingresso di privati nelle università rendono la ricerca pubblica sempre più debole e asservita agli interessi di tali aziende. Esemplare è la vicenda dell’università di Berkeley, in California, che nel novembre del 1998 ha ricevuto dalla società svizzera Novartis una "donazione" di 25 milioni di dollari. Questa università pubblica, come contropartita, ha concesso a tale gigante dell’industria farmaceutica il diritto di appropriarsi di oltre due terzi delle scoperte effettuate nella facoltà e il controllo di due seggi su cinque nel Comitato che ha il compito di indirizzare i fondi su particolari rami della ricerca. È evidente cosa guiderà la Novartis così come altre multinazionali nelle proprie scelte: l’ottenimento del massimo profitto.
Così accade che oggi otto milioni di persone all’anno continuano a venire infettate dal micobatterio della tubercolosi e non c’è nessuna ricerca seria su un nuovo vaccino dato che il numero dei pazienti in grado di acquistare il trattamento è stimato sotto le 400.000 unità: molto al di sotto della soglia richiesta per giustificare un investimento. Nello stesso tempo cadono a pioggia i finanziamenti sui programmi di ricerca per trattamenti della calvizie o dell’impotenza, per non parlare degli investimenti nella medicina veterinaria per animali domestici, che negli Usa riceve mezzo miliardo di dollari all’anno. Ma togliere la ricerca scientifica dalle mani dei privati non è sufficiente se lasciamo loro i mezzi per gestire le applicazioni della ricerca. Una impresa che si rispetti non immetterebbe mai nel mercato una scoperta poco redditizia. Basti pensare che nel Terzo Mondo milioni di persone muoiono per malattie tropicali ma solo l’1% dei medicinali attualmente prodotti sono utilizzati contro queste patologie. Il mercato è, invece, invaso da prodotti cosmetici, trattamenti contro l’invecchiamento, gli inestetismi, le disfunzioni sessuali, etc. Ciò avviene perché sono questi ultimi i prodotti che rendono i maggiori profitti. La Pfizer ha realizzato profitti per più di un miliardo di dollari grazie al Viagra, solo nel primo anno di commercializzazione.
In realtà oggi i quattro quinti delle spese sanitarie mondiali servono appena un quinto della popolazione.
In molti paesi del Sud del mondo è, perciò, diventato una necessità lo studio e l’uso della medicina tradizionale. Ma anche queste cure precarie risultano sempre meno praticabili. Esistono, infatti, numerosissimi brevetti depositati su molecole estratte da piante tradizionali: la sola mostarda indiana ne riunisce 16 presentati dalla Calgene Inc. (USA) e dalla Rhone-Poulenc (Francia). Così, se prima gli abitanti delle Filippine potevano usare la pianta del sambong per la cura dell’ipertensione e dei calcoli renali, adesso il sambong è stato brevettato dalle multinazionali e non potrà più essere usato indiscriminatamente. Questi grandi gruppi industriali non risparmiano neppure il saccheggio diretto delle risorse naturali ai paesi con economie più deboli.
Non c’è altra via d’uscita per fermare questo criminale giro d’affari sulla pelle di milioni di malati: bisogna lottare per la nazionalizzazione di tutte le industrie farmaceutiche. Dobbiamo impedire che la sanità mondiale rimanga nelle mani di privati sfruttatori: solo se sarà completamente sottratta alle logiche del profitto e sotto il governo democratico dei lavoratori organizzati, potranno essere salvate milioni di vite umane.