La Tobin Tax consiste in un’imposta sulle transazioni valutarie, pagata in egual misura da entrambe le parti del contratto. Secondo i suoi sostenitori serve a conseguire tre obiettivi fondamentali:
- disincentivare le operazioni speculative.
- accrescere il grado di autonomia delle autorità monetarie nazionali.
- raccogliere fondi per la cooperazione allo sviluppo.
Nel disegno di legge di Attac Italia questi scopi sono così sintetizzati: "Dall’instabilità finanziaria mondiale discende la necessità di ripristinare misure di controllo dei capitali e dei cambi, ripristino di cui la cosiddetta "tassa Tobin" costituirebbe la prima tappa… La "tassa Tobin" può contribuire utilmente a stabilizzare i tassi di cambio, dissuadendo preventivamente gli attacchi speculativi di debole ampiezza… può rendere margini di autonomia alla politica monetaria mentre rende minimi gli inconvenienti tradizionalmente connessi alle misure di controllo dei capitali… Secondo le ipotesi più prudenti, un’imposta dello 0,1% applicata alle transazioni effettuate nell’Unione europea dovrebbe assicurare un gettito di circa 30 miliardi di Euro, una cifra superiore agli attuali stanziamenti per lo sviluppo delle aree depresse dell’Unione"
L’instabilità del capitalismo
Negli ultimi decenni vi è stata una crescita smisurata degli scambi valutari internazionali, che superano ormai i 2.000 miliardi di dollari, con un aumento corrispondente dell’instabilità monetaria e delle crisi finanziarie. Questi flussi hanno natura puramente finanziaria, dato che anche la Bri (la Banca dei Regolamenti Internazionali) riconosce che i flussi giornalieri nei mercati valutari sono legati al commercio di beni e servizi solo per il 5%. Tra il 1975 e il 1998, il giro d’affari nei mercati valutari si è moltiplicato per 80 volte, un dato da confrontare con la moltiplicazione per due volte e mezza del commercio mondiale. Che questa gigantesca bolla gravi sull’economia mondiale come un cancro è indubbio. Il problema è: può il capitalismo della nostra epoca svilupparsi in un altro modo? Sì, secondo i sostenitori della Tobin Tax, che si pongono l’obiettivo di consentire al capitalismo di scorrere lungo canali più tranquilli.
Lo strapotere della finanza e l’instabilità hanno sempre accompagnato questo sistema e oggi sono giunti al loro grado massimo di sviluppo. I sostenitori della Tobin Tax guardano con malinconia alla stabilità dei cambi fissi del sistema di Bretton Woods e cercano di capire come tornare a quel periodo, confondendo cause ed effetti. La stabilità del regime uscito dagli accordi di Bretton Woods derivava dall’impetuosa crescita economica del dopoguerra, dalle necessità politiche della guerra fredda, dalla passività della classe operaia, specialmente europea e soprattutto dal predominio schiacciante degli Usa, che alla fine della Seconda guerra mondiale controllavano il 50% della produzione mondiale e il 75% delle riserve di oro. All’inizio degli anni ‘70 Bretton Woods cadde come un castello di carte come conseguenza della fine del "miracolo economico", dell’ascesa di lotte operaie nel mondo, delle rivoluzioni nei paesi ex coloniali e dell’inizio del declino Usa. I capitalisti, più pratici dei dirigenti riformisti, abbandonarono ogni illusione nel ritorno del principe azzurro cambi fissi e cercarono altre strade per sviluppare il loro sistema. La volatilità dei cambi è un fattore disgregante nei rapporti economici internazionali, ma i capitalisti sanno che non c’è altra strada.
Illusioni pericolose
La logica della Tobin tax è che vi sarebbero come due specie di capitalisti, quelli buoni che "investono" e quelli cattivi che "speculano". Il problema è che l’investimento "produttivo" è indistinguibile da quello "speculativo". I padroni investono indifferentemente in ogni settore purché ci sia del profitto da fare. Se una banca acquista azioni Fiat o Pirelli, sta investendo nell’industria o sta speculando? E se invece di azioni Fiat compra dollari? La logica è la medesima: la massimizzazione del profitto. Gli "speculatori" sono capitalisti come gli altri, si tratta semplicemente di settori diversi, proprio come un industriale che produce mine anti-uomo non è più "immorale" di un suo collega che produce farmaci. Il peso crescente della finanza è la dimostrazione palese dell’impasse del capitalismo a livello mondiale, del suo carattere progressivamente parassitario perché i capitalisti investono nella finanza se il saggio di profitto di altre attività è più basso. Negli ultimi dieci anni, tutti i paesi avanzati hanno detassato i redditi elevati e le imprese e aumentato le tasse sui salari. Ad esempio, le tasse versate dalle società tedesche sono diminuite del 18,6% tra il 1989 e il 1993 e il loro contributo alla tassa sui redditi totale è sceso dal 35% al 13% tra il 1960 e il 1995. Negli anni ‘40 e ‘50 le aliquote sui redditi più elevati in paesi come Stati Uniti e Inghilterra erano dell’ordine del 90-95%. Ancora negli anni ‘70 si mantenevano oltre il 60-70% in molti paesi. Oggi sono sotto il 30-40%. Se fino a pochi anni fa lo Stato prendeva le briciole dei capitalisti per alleviare le sofferenze dei lavoratori, oggi sono le tasse dei lavoratori a finanziare gli aiuti alle imprese, i sussidi diretti e indiretti al padronato. È una tendenza comune a tutti i paesi avanzati ed è un elemento centrale nell’accanita concorrenza tra le imprese. La Tobin Tax può fermare questi processi?
Altra illusione è di riformare il Fondo Monetario Internazio-nale e in genere di servirsi delle strutture create dal capitalismo a fini progressisti. Secondo i sostenitori della Tobin Tax, la tassa dovrebbe essere riscossa da un organismo internazionale come appunto il Fmi, ovviamente riformato, la Banca Mondiale, o la Banca dei Regolamenti Interna-zionali; sarebbe come cercare di convincere un macellaio a raccogliere fondi per un’associazione vegetariana.
Crisi valutarie
Hanno buon gioco inoltre gli economisti a sottolineare che per aversi una misura del genere ci vorrebbe un accordo mondiale per evitare la fuga dei capitali da un paese all’altro.
Date le percentuali e la rapidità delle svalutazioni nei "mercati emergenti" (si pensi ai casi della Thailandia e dell’Indonesia nel ‘97, del Brasile nel ‘98, della Turchia pochi mesi fa, e all’Argentina ora), la tassa risulterebbe del tutto inadeguata. Di recente, in paesi come la Malesia nel ‘97, e l’Argentina e il Venezuela oggi, si sono visti governi anche reazionari imporre un congelamento di fatto dei capitali esteri per evitare ulteriori crolli della propria valuta. Finché queste misure non danno troppo fastidio, la finanza mondiale si limita ad ammonire questi paesi. Anche perché spesso, sotto banco, le grandi imprese vengono adeguatamente risarcite. Così, una specie di Tobin Tax, creata da Pinochet (proprio lui) e che è tuttora esistente in Cile (si tratta della richiesta di depositare il 30% del capitale entrante per un anno), si può mantenere perché il paese ripaga in altri modi i grandi investitori. Ma se un paese emergente andasse troppo oltre (cioè nazionalizzasse i depositi degli investitori esteri), subirebbe un boicottaggio totale. A quel punto il governo avrebbe due possibilità: o andare fino in fondo rovesciando il capitalismo o tirarsi indietro. Una cosa è certa, come da ultimo hanno insegnato gli eventi della rivoluzione argentina, in questi processi la Tobin Tax non gioca alcun ruolo.
Processi analoghi li abbiamo visti persino in alcuni paesi industrializzati. In questo senso, i seguaci della Tobin Tax potrebbero trovare utile studiare la storia italiana. A metà anni ‘70, il capitalismo italiano era in forti difficoltà, sia a causa della crisi economica internazionale, sia delle lotte operaie che mettevano in discussione il dominio padronale. Tra le altre conseguenze di questa crisi c’era l’agonia della lira. Il governo, per evitare il protrarsi della fuga di capitali, approvò nel ‘75 una normativa valutaria a cui confronto l’aliquota dello 0,1% fa semplicemente ridere. Ricordia-mo solo che la normativa prevedeva il carcere per chi esportava valuta all’estero, che l’esportazione poteva essere effettuata solo in pochi casi (finanziamento di crediti commerciali ecc.) e previo versamento di un deposito infruttifero di pari importo. In pratica era pressoché vietato ogni tipo di movimento di capitale. In quegli anni centinaia di finanzieri e dipendenti della Banca d’Italia passavano il loro tempo a fare ispezioni sui cambiavalute che aiutavano l’esportazione illegale di capitali, a controllare società, conti all’estero e così via. Se non spaventò i capitalisti l’idea di finire dietro le sbarre, possiamo immaginarci le risate che si fanno all’idea che qualcuno verrà a chiedergli lo 0,1% dei loro traffici.
Le illusioni di poter umanizzare le istituzioni che regolano il commercio e la finanza mondiali, e in genere l’idea che si possa riformare il capitalismo, permeano tutto il programma del ceto politico dei social forum. Proposte quali quote e tasse all’importazione, o i controlli sui movimenti di capitale non hanno alcun ruolo progressista. Nella loro parte realizzabile, concreta, si tratta di proposte protezioniste.
Senz’altro, molti sostenitori della Tobin Tax sono in buona fede e credono che questa tassa contribuisca a cambiare le cose. Ma non è così: il programma di Attac gioca un ruolo negativo, ponendo il movimento al servizio della borghesia "democratica" del proprio paese. È suicida spandere fiducia nella riformabilità di questa società chiedendo di aprire un "confronto" con le sue istituzioni proprio quando il capitalismo mostra il suo volto più feroce, schiacciando interi continenti con la forza delle armi e del denaro. Noi pensiamo che non abbia senso spiegare ai capitalisti quanto sarebbe saggio evitare gli eccessi del loro stesso sistema. Vogliamo semplicemente mandarli in pensione.
Maggio 2002