Boom economico o bolla speculativa
Secondo l’osservatorio internet della Sda Bocconi gli utenti in Italia erano oltre 5 milioni nel maggio ’99 mentre solo nel ’98 si stimava fossero circa 2,6-2,8 milioni e nel ’96 non più di 500.000. Con le nuove offerte di collegamento gratuite il trend di crescita delle connessioni non potrà che essere confermato.
Il "boom" non si ferma al numero degli accessi e degli utenti ma investe una fetta sempre più consistente dell’economia e della finanza mondiale.
Il commercio elettronico ha visto in Italia quadruplicare in un anno il giro di affari che la stima più prudente per il 1999 valuta in 438 miliardi di lire. Il dato più importante è però quello relativo alla crescita futura che si prevede raggiungerà i 10.000 miliardi di lire entro un paio di anni, cioè una cifra paragonabile all’intero settore industriale delle calzature e c’è da aggiungere che, almeno sino ad ora, tutte le previsioni sono sempre risultate sbagliate per difetto. Certo non sono dati paragonabili a quelli Usa dove la corsa al commercio elettronico è iniziata in anticipo ed ha un numero di 23 milioni di acquirenti con un giro di affari di oltre 12 miliardi di dollari ma sono bastate queste previsioni per far credere nel possibile "nuovo miracolo italiano".
Si sono moltiplicati quindi i convegni, le tavole rotonde e gli incontri che hanno come tema il fatto che internet sia una opportunità di crescita unica perché si lega perfettamente alla struttura della piccola industria italiana. I risultati non si sono fatti attendere visto che nell’ultima finanziaria sono stati stanziati 330 miliardi di incentivi alle imprese per investire nel settore.
Concentrazioni e fusioni
In Usa le aziende hanno speso nell’ultimo anno 85,7 miliardi di dollari per rendere accessibile l’ingresso nel commercio elettronico e questa cifra si prevede possa raggiungere i 120 miliardi di dollari nel 2000. Nell’attuale boom degli Usa il settore dell’alta tecnologia ha contribuito per un terzo alla crescita del Pil e in questo settore lavorano oggi più addetti che in quello siderurgico.
Risolti dunque i problemi dell’economia? Tutt’altro. I capitalisti hanno storicamente sempre ricercato nuovi settori che potessero risultare redditizi per i loro investimenti. In ogni periodo di sviluppo dell’economia ci sono stati settori che hanno giocato questo ruolo: il settore ferroviario intorno al 1845 in Inghilterra, o la scoperta dell’elettricità, la radio, la chimica, ecc.
L’informatica è l’unico settore che ha attirato nuovi investimenti ed è per questo divenuto decisivo per prolungare il boom negli Usa. Come sempre il primo che si inserisce in un nuovo settore produttivo può ottenere enormi profitti ma quando iniziano ad entrare un certo numero di operatori il tasso di profitto tende a diminuire ed a tornare verso la media. Fino a pochi mesi fa il settore legato ad internet era costituito da diverse centinaia di piccoli operatori, poi con l’ingresso di grossi capitali queste aziende sono scomparse e finite sul lastrico. Negli ultimi 6 mesi l’88% delle connessioni avviene tramite le aziende più consolidate (Tin, Infostrada e Tiscali).
Esaurito l’affare connessioni ci si è concentrati sullo spazio reso disponibile per i propri siti, sulle caselle di posta elettronica, sulle mailing-list e su tutti gli altri servizi legati alla gestione delle pagine web e ultimamente sui servizi legati al commercio elettronico ma anche qui è ormai possibile ricevere quasi tutto attraverso le offerte degli operatori più grossi. Si sta sviluppando in un tempo relativamente ridotto il classico fenomeno della concentrazione che porta inevitabilmente con se quello della tendenza alla creazione di monopoli. Negli ultimi anni non c’è settore produttivo che ne è rimasto escluso, ormai un numero di società che si può contare con le dita di una mano possono arrivare a controllare anche il 50-60% di un intero settore produttivo, che sia quello del petrolio, delle banche, dei telefonia o dei media. L’informatica farà in breve tempo lo stesso percorso, è finita l’epoca (ammesso che sia mai esistita) in cui una singola persona, magari con la faccia da ragazzo sfigato come quella di Bill Gates, con una idea "geniale" o "creativa" possa entrare in questo settore e sbaragliare i colossi esistenti. Il prossimo periodo non vedrà svilupparsi una massa di piccoli sviluppatori o produttori di software ma all’opposto accentuarsi sempre di più la tendenza alla concentrazione e con essa quella al monopolio anche in questo settore.
Internet e finanza
Il Nasdaq (l’indice di borsa Usa dei titoli del settore dell’alta tecnologia) è cresciuto nel corso del 1999 del 40%. Anche in Italia hanno fatto scalpore i guadagni dei titoli che le aziende legate ad internet hanno avuto nei primi giorni del loro collocamento. Finmatica in pochissimi giorni ha guadagnato il 700% (se si fossero investiti 5 milioni ce ne saremmo trovati in tasca 35); c’è il caso di Tiscali, piccola azienda sarda che vede ora il suo titolo spadroneggiare nella borsa di Milano e presto anche in borse estere.
Nel resto dell’Europa si vedono fenomeni simili, ad esempio la svedese Framfab ha visto balzare il proprio titolo da 175 a 1.555 corone svedesi.
Negli Usa moltissime società nel giorno del loro collocamento hanno guadagnato moltissimo fino al 600% del loro valore tanto che alcune aziende pur di attirare una parte di capitale hanno cambiato il proprio nome aggiungendo chiocciole (@) o suffissi del tipo .com o .net. Le fusioni nel settore dell’alta tecnologia hanno spinto ancora più in alto le quotazioni di questi titoli. Le fusioni non si fermano alle sole società dell’alta tecnologia ma si mescolano a settori più tradizionali dell’economia come tentativo per queste imprese di racimolare denaro per sopravvivere e prepararsi al prossimo periodo. Non è un caso che molte società legate al settore bancario o a quello delle automobili annunciano di voler entrare nel settore creando società apposite, lanciando propri portali o acquisendo società già esistenti.
Recentemente America Online (AOL) e Time Warner, rispettivamente una delle più grosse società internet ed il più grande tra i media tradizionali, fondendosi hanno raggiunto la cifra di 650.000 miliardi di lire di capitalizzazione di borsa; questa fusione che è la più grande mai avvenuta nella storia in assoluto scalza un primato di poche settimane prima. Inutile dire che dopo l’annuncio il titolo di Time Warner a Wall Street è cresciuto del 51,3%.
Una bolla speculativa
Nel corso degli ultimi 5 anni il valore delle quotazioni nella borsa di New York è letteralmente raddoppiato. Negli Stati Uniti la capitalizzazione totale delle aziende quotate in borsa rappresenta il 200% del Pil. Questo fenomeno sostenuto dalla crescita delle aziende dell’alta tecnologia non può durare all’infinito; al colossale valore che hanno queste società una volta quotate in borsa non corrisponde un valore reale in termini di fatturato. Mentre per le aziende di produzione può essere "naturale" avere un rapporto 1 a 3 tra fatturato e quotazione di borsa, per i titoli tecnologici questo valore può arrivare a 200 volte.
Inoltre ai guadagni di borsa si accompagnano bilanci in perdita anche per le società più grosse del settore. Amazon.com che viene definita la più grande libreria virtuale del mondo e che attraverso una lunga serie di accordi commerciali con altre società vende dischi, prodotti per la salute, arredamenti, ecc. nel quarto trimestre del 1999 ha accumulato 323 milioni di dollari di perdite, il 543% in più delle perdite dell’anno precedente, il peggior risultato da quando è nata la società.
Il futuro non potrà che vedere il crollo verticale della maggioranza di queste società. Solo come esempio si pensi che al primo segno negativo della borsa di New York il titolo Baan (il secondo produttore di software dell’Europa) ha perso in un giorno il 30%. Questa sarà necessariamente la musica del futuro, l’attuale bolla speculativa si ridurrà a guadagni enormi per chi ha collocato in borsa queste aziende e la maggioranza degli "investitori" si troveranno con dei pezzi di carta senza nessun valore reale.
E non è affatto da escludere l’ipotesi che il crollo di questo settore trascini con se tutto il resto dell’economia.