Secondo molti commentatori il 19 marzo, giorno del referendum per l’approvazione delle modifiche alla Costituzione proposte dal Consiglio supremo delle forze armate (alla guida del paese dalla caduta di Mubarak l’11 febbraio scorso) è stato un giorno fondamentale per l’Egitto, vista l’affluenza ai seggi. Un primo passo per la democrazia.
E probabilmente questo è lo spirito con cui molti egiziani in modo sincero sono andati a votare. In realtà il risultato del referendum (vittoria del Sì con il 77, 2% dei consensi) e la sua stessa natura celano dentro di sé tutte le difficoltà che vive ora il movimento rivoluzionario in Egitto, dove le forze reazionarie hanno rialzato la testa e hanno sferrato attacchi contro la rivoluzione.
L'ultimo colpo è la proposta di un decreto che istituisce il reato di sciopero con pene fino a un anno di carcere e fino a 90mila dollari di multa: l’esercito di Tantawi (comandante in capo delle forze armate e presidente provvisorio) sarebbe amico del popolo? La Federazione egiziana dei sindacati indipendenti (nata dopo la rivoluzione) ha fortemente condannato questa proposta (ci sono state manifestazioni sotto l’ufficio del primo ministro Essam Sharaf e di fronte al Parlamento) mentre, e non ci stupisce, la Federazione egiziana dei sindacati (unico sindacato ufficiale) ha accolto con favore la proposta dato che è conforme alla legge sul lavoro varata da Mubarak nel 2003. Questa legge viene giustamente considerata come un tradimento della rivoluzione. Il provvedimento si inserisce perfettamente nella linea tracciata dall’esercito che appena preso il controllo del paese si è affrettato a condannare gli scioperi, decisivi per la vittoria del movimento rivoluzionario, che continuavano anche dopo la caduta di Mubarak, minacciando dura repressione se gli operai non fossero tornati al lavoro. Purtroppo per i militari però gli scioperi sono continuati nelle fabbriche. Le forze armate, di fatto non hanno fatto nulla per soddisfare le richieste operaie, come l’aumento del salario minimo a 1200 lire egiziane.
Il ruolo dei fratelli musulmani
Non a caso i primi partiti legalizzati sono stati al-Wasat, partito riformista islamico, e il neo-nato partito dei Fratelli Musulmani, Libertà e giustizia. L’esercito è consapevole dell’aiuto che può venire dai movimenti religiosi per il mantenimento dello status quo e per frenare la rivoluzione. Prova di questo viene d’altronde dal ruolo giocato dai Fratelli musulmani durante l’era Mubarak: si può dire che sono stati all’opposizione più di nome che di fatto, poiché ne hanno avallato le politiche neoliberiste e di privatizzazione e la riassegnazione ai grandi proprietari delle terre ai confiscate da Nasser.
La natura controrivoluzionaria dell’esercito si è palesata con lo sgombero violento di piazza Tahrir, dove rimaneva un presidio rivoluzionario: il 9 marzo scorso vi ha fatto irruzione un gruppo di uomini armati di coltelli e spranghe distruggendo le tende e cacciando le persone dalla piazza. L’8 marzo le donne, che avevano organizzato una manifestazione per ribadire la necessità di una parità dei sessi nella società e ricordare il loro ruolo decisivo durante la rivoluzione, sono state aggredite e insultate da un gruppo di uomini, alcune sono state arrestate. Anche i disordini scoppiati tra cristiani e mussulmani nei primi giorni di marzo, dopo l’incendio di una chiesa cristiana, sembrano inseriti su questa linea repressiva.
Il governo egiziano già in passato aveva fatto ricorso alla divisione della popolazione in chiave religiosa per mantenerne il controllo da un lato, e dall’altro spostare l’attenzione da problemi sociali. Ora si trattava di dividere il fronte rivoluzionario e allentare la pressione dal basso sul governo. L’uso di questa pratica verrebbe dimostrata anche dai documenti della polizia di stato, ritrovati dai rivoluzionari. Uno di essi mostra il coinvolgimento della polizia nell’attentato di Capodanno ad Alessandria, in cui persero la vita 23 persone e più di 90 rimasero feriti. Il documento include un file datato 2 dicembre 2010, scritto da un giovane ufficiale, in cui si proponeva un attacco a una chiesa copta per poi suggerire che si trattasse di un attacco islamista.
I disordini scoppiati nei primi di marzo, che hanno visto 13 morti, rispondono a questo disegno, tanto più che fonti indipendenti metterebbero in luce il fatto che non è chiaro se i morti siano stati provocati dagli scontri o da interventi dei militari. Inoltre c’è da sottolineare che molti musulmani hanno partecipato alle manifestazioni a fianco dei copti, che hanno sancito slogan come “copti e musulmani sono una sola mano”. Di fatto la strategia è fallita.
Alcuni attivisti sono riusciti a trovare e pubblicare sui vari blog i documenti della polizia politica del regime che mostrano un controllo totale della vita politica in Egitto e l’uso sistematico della tortura. Le pressioni del movimento hanno portato allo scioglimento di questo apparato, ma il governo ne ha creato subito un altro dedito “solo” alla prevenzione del terrorismo. Purtroppo, non definendo precisamente cosa si intenda per terrorismo, il rischio è che l’Egitto si ritrovi con una polizia a cui è cambiato solo il nome.
Le modifiche alla costituzione
Nel referendum tenutosi il 19 marzo è stata sottoposta al voto l’approvazione in blocco delle modifiche agli emendamenti alla costituzione del 1971. Le forze d’opposizione, ad eccezione dei Fratelli musulmani, avevano chiesto prima l’annullamento e poi di votare No. Il referendum ha mostrato le intenzioni dell’esercito: attuare una transizione rapida, senza cambiare nulla di fatto. I militari d’altronde erano parte integrante del sistema di potere di Mubarak e ovviamente stanno facendo di tutto per mantenere i propri interessi e privilegi. Hanno concesso poco al movimento rivoluzionario: non abolendo la legge di emergenza, non sancendo miglioramenti economici o sociali, parole d’ordine della piazza. Il governo provvisorio, inoltre, non ha avuto nessun problema ad avallare con il proprio voto nella Lega Araba la no fly-zone occidentale sulla Libia.
La commissione costituzionale incaricata di modificare la costituzione è stata nominata dall’alto, quindi non ha portato avanti minimamente le istanze della rivoluzione. Gli emendamenti agli articoli (76, 77, 88, 93, 179, 189) della Costituzione proposti introducono il limite alla durata della presidenza a 4 anni, non estendibile per oltre due mandati. Introducono la supervisione di giudici durante l’elezione, rendono più complicato mantenere lo stato di emergenza. Sono piuttosto restrittivi i criteri per candidarsi alla presidenza dell’Egitto, rendendo più complicato per chi appartiene a movimenti non ancora organizzati partecipare alle elezioni, escludendo chi è sposato con un non egiziano. Questi emendamenti non riguardano gli articoli che regolano partiti e norme elettorali, quindi alle prossime elezioni si voterà con un sistema modellato di fatto a garanzia del potere dittatoriale. La richiesta principale delle forze d’opposizione era che era necessario riscrivere una nuova Costituzione. Nonostante vi sia un emendamento che prevede che, una volta eletto, il presedente o metà del parlamento possano nominare una commissione che rediga un nuovo testo costituzionale, se le elezioni saranno tra pochi mesi (si parla di due o tre), chiaramente saranno avvantaggiate quelle forze già organizzate (ossia Partito nazionale democratico e Fratelli musulmani), mettendo in difficoltà le nuove forze politiche emerse e quindi la stesura della Costituzione sarebbe affidata a forze che di fatto non hanno nessun interesse al reale cambiamento, come appunto il Pnd (che non è stato sciolto) e i Fratelli musulmani. Entrambi gli schieramenti non a caso hanno fatto campagna per il Sì al referendum.
È chiaro che la rivoluzione in Egitto non sia di fatto finita, ma si sia solo conclusa la prima fase: la cacciata del dittatore. La rivoluzione infatti non è un percorso lineare, ma complicato, fatto di avanzate e arretramenti. Oggi la rivoluzione in Egitto non è ancora riuscita a rovesciare completamente il vecchio regime, che di fatto continua controllare il paese. Questo lo abbiamo visto in numerose rivoluzioni della storia, prima tra tutte, la rivoluzione russa, che è durata nove mesi, da febbraio a ottobre, quando i lavoratori hanno preso il potere sotto la guida del partito bolscevico. In questi nove mesi ci sono stati momenti di dura reazione, che hanno preparato la strada a un nuovo avanzamento rivoluzionario.
Il popolo egiziano ha lottato per quei miglioramenti sociali ed economici che nessun governo borghese potrà mai soddisfare. I giovani e i lavoratori stanno realizzando che rischiano di aver combattuto e sacrificato le loro vite per nulla, e si sta polarizzando sempre più la società egiziana e anche il movimento rivoluzionario in cui i settori più radicali stanno maturando l’idea che la lotta è appena iniziata (gli scioperi e le manifestazioni continue lo dimostrano). Questo settore maturerà la convinzione della necessità di rompere col sistema capitalista per ottenere ciò per cui hanno lottato.
Thawrah Hatta Al-Nasr, rivoluzione fino alla vittoria!