Il 15 gennaio si sono verificate in Romania le proteste più violente dalla caduta del regime di Ceausescu nel 1989.
Almeno diecimila persone sono scese in piazza a Bucarest e un numero imprecisato in altre quaranta città del paese. La polizia ha usato metodi brutali nel tentativo di reprimere le manifestazioni: almeno sessanta feriti solo a Bucarest, tra cui molti agenti.
Da quel momento la protesta in Romania non si è mai fermata del tutto, nonostante il gelo, con manifestazioni che si sono susseguite, al momento, per tre settimane, fino alle dimissioni del primo ministro Emil Boc. Questo è, per ora, solo l’ultimo atto della ribellione che cresce fra la popolazione romena nei confronti delle criminali misure prese dal governo in ossequio ai dettami del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale europea.
Nel 2009 il governo rumeno aveva ottenuto un prestito di 20 miliardi di euro in cambio dell’impegno di spremere fino all’osso i lavoratori rumeni, il cui tenore di vita, da allora, è stato costante falcidiato.
L’anno scorso i salari dei dipendenti pubblici erano stati decurtati del 25%, e le pensioni del 15%, in un paese dove le pensioni e salari medi sono rispettivamente 160€ e 350€ mensili, i più bassi d’Europa. Questa volta a scatenare l’ira delle masse è stata la “riforma” del sistema sanitario che ne prevedeva la privatizzazione. Il primo ministro del governo di centro-destra Emil Boc aveva dovuto ritirare provvisoriamente il decreto di privatizzazione della sanità. Ma il continuare delle proteste ha portato la borghesia rumena a imitare la tattica di quella italiana e greca: un governo tecnico.
Al momento dell’elezione del nuovo primo ministro Ungureanu, l’opposizione ha pudicamente lasciato l’aula senza rinunciare ad alcune dichiarazioni conciliatorie. Anche in Romania tutti i principali partiti sostengono l’attacco selvaggio al tenore di vita dei lavoratori, dettato da Bce e Fmi. L’opposizione rumena era arrivata a coprirsi di ridicolo sostenendo che le manifestazioni non erano contro i tagli economici, ma solo contro la corruzione del governo.
Fino alla crisi economica internazionale del 2008, la Romania era considerata la “tigre” economica dei Balcani. Questo era principalmente il risultato degli investimenti stranieri arrivati dopo il crollo del regime di Ceausescu nel 1989. Si trattava di un regime sedicente comunista che, in realtà, del comunismo rappresentava solo una iniqua e totalitaria caricatura: i lavoratori non avevano nessuna voce in capitolo sul controllo e la gestione dello stato e dell’economia, mentre i salari erano appena a livelli di sussistenza. Questa situazione strideva con il lusso in cui viveva la burocrazia “comunista”.
Dopo il 1989 molti esponenti di questa burocrazia erano riusciti ad appropriarsi, con una sfacciata rapina, della maggior parte delle ricchezze del paese: hanno sfruttato i bassi salari che non correvano al passo dell’inflazione, hanno eliminato il sistema di sussidi pubblici e hanno provocato un’ondata di disoccupazione (la popolazione rumena e calata del 12% negli ultimi dieci anni). Così gli ex-burocrati si sono trasformati nella classe dei nuovi ricchi (e talvolta ricchissimi) rumeni. Questa è la classe che rappresenta quel 10% della popolazione che detiene circa il 60% della ricchezza del paese, cioè la classe che si è fatta scudo dei vari governi rumeni negli ultimi vent’anni e che ora non esita a voler spremere ancor di più i lavoratori pur di veder salvaguardate le sue ricchezze e privilegi.
Le ricchezze dei capitalisti devono essere espropriate e gestite sotto il controllo dei lavoratori.
Un sondaggio del 2010 (Balcaninsight.com) sostiene che il 49% dei romeni considera il regime di Ceausescu un regime migliore dell’attuale e che il 69% pensa che la mancanza di libertà di pensiero fosse il principale difetto di quel regime. Socializzazione dell’economia e democrazia operaia, solo questi possono esseri i pilastri per la salvezza della classe lavoratrice in Romania, come in tutti paesi sotto l’attacco dei provvedimenti della Bce e del Fmi.