Il 29 ottobre il Senato francese ha tramutato definitivamente in legge l’innalzamento dell’età pensionabile con 336 sì e 229 no. Tuttavia, Sarkozy tiene un profilo basso e alcuni suoi consiglieri, nell’anonimato, dichiarano ai giornali che esiste il rischio di aver bruciato l’attuale Presidente della Francia. Deputati di destra e ministri del governo si sono affrettati a dichiarare che, dopo il voto parlamentare, è tempo che chi protesta si sottometta alla legalità “repubblicana”. Hanno paura che le lotte operaie di queste settimane non siano la fine della storia?
La forza della classe operaia
La lotta contro l’attacco alle pensioni ha dimostrato che la grande maggioranza della popolazione si oppone all’austerità su giovani e lavoratori come via per “uscire dalla crisi”. La mobilitazione è stata capillare. Non ci sono state soltanto giornate d’azione nazionale che hanno portato 3,5 milioni di persone in piazza. Parallelamente ai grandi cortei di Parigi, Marsiglia, Lione e Tolosa, picchetti e scioperi a oltranza erano in corso in tutto il paese, dalle raffinerie della Total ai terminal petroliferi, dai netturbini marsigliesi a scuole e ferrovie. Piccole città di provincia e villaggi sono state interessate da cortei nei quali scendeva in piazza anche un quarto della popolazione locale. Anche gli istituti di sondaggi, in mano ai padroni, rilevavano che il 70% dei francesi era con gli scioperanti e, a metà ottobre, 6 francesi su dieci erano per una “radicalizzazione” della lotta. Lo ha testimoniato un delegato della Cgt (sindacato di tradizione comunista) della raffineria di Dunkerque: “Riceviamo migliaia di euro da parte di impiegati delle piccole aziende, insegnanti, precari dello spettacolo, impiegati della pubblica amministrazione di Lilla i quali ci inviano spontaneamente denaro dicendo:”Se io sciopero non cambia nulla ma per voi è diverso e non dovete mollare!”. Gli scioperi nelle raffinerie hanno causato danni economici per più di 200 milioni di euro al giorno. Così si fa, vien da pensare. A Le Havre, importante porto del nord del Paese con forte tradizione comunista, il comitato cittadino di sciopero pubblicava quotidianamente un suo giornale. Insomma, la classe lavoratrice ha dimostrato la sua forza ed ha lottato per sconfiggere il suo nemico, fuori da un’ottica testimoniale.
La riforma, certo, è passata, ma la destra pagherà a caro prezzo questa vittoria. Al di là della questione delle pensioni, infatti, questo movimento ha rafforzato e legittimato il sentimento di ingiustizia che cova in milioni di proletari. Il dominio politico della borghesia è oggi meno stabile di ieri. L’assenza di un sentimento di sconfitta, nonostante una battaglia sia stata perduta, vive anche nei numerosi coordinamenti di lotta nati durante gli scioperi che ora si stanno strutturando per le battaglie a venire.
Nell’immediato, prevarrà il tentativo di assorbire le lezioni di questa mobilitazione. Non ci vuole una grande acutezza per rendersi conto che un movimento di questa natura ridicolizza tutte le teorie “sapienti” sulla presunta scomparsa o marginalità della classe operaia. La maggior interdipendenza dei diversi settori dell’economia concentra nelle mani dei lavoratori un potere sociale ancora più colossale. Il problema è esserne pienamente coscienti. Altrimenti si potranno perdere anche le prossime battaglie.
Il ruolo della direzione
Sin dall’inizio del movimento, il governo e la stampa padronale, anche quella “illuminata” di Le Monde, lodavano la “moderazione” ed il “senso di responsabilità” delle direzioni sindacali. Il panico è scoppiato quando la lotta dei lavoratori è andata oltre i sacri confini delle manifestazioni di routine, soprattutto a Marsiglia e Le Havre, e si è saldata con gli studenti. Il panico della borghesia è stato tuttavia piuttosto razionale: disinformazione massiccia, polizia lanciata contro i picchetti e le occupazioni, chiusura preventiva della Sorbona per mano dei reparti speciali, uso di infiltrati nei cortei. Insomma, una strategia chiara perseguita in modo determinato e centralizzato.
La mobilitazione dei lavoratori aveva invece un carattere frammentato. Era un’avanzata splendida ma in ordine sparso. Il comportamento e gli obiettivi delle direzioni sindacali nazionali spiegano l’assenza di una strategia. La Cgt e ancor più la Cfdt e Fo, sindacati di tradizione socialista, volevano fare pressione sul governo per aprire un negoziato. In nessun momento hanno chiesto il ritiro puro e semplice della contro-riforma delle pensioni, lasciando peraltro al governo la possibilità di mettere fine alle mobilitazioni con una banale promessa di negoziato. Che comunque non è arrivato, dimostrando quanto fosse vitale per gli interessi della borghesia questo attacco alle condizioni di vita di milioni di lavoratori.
Nei giorni decisivi nessuna direzione sindacale nazionale ha lanciato la parola d’ordine dello sciopero generale a oltranza. Thibault, segretario della Cgt, si limitava a ripetere che il proseguimento degli scioperi doveva essere deciso dalla base, idea piuttosto scontata che equivaleva però ad abdicare al ruolo di direzione. Invece di massimizzare l’impatto degli scioperi e generalizzarli, l’orientamento di Thibault lasciava i settori in lotta isolati, invitandoli, di fatto, a sbrogliarsela da soli. Chérèque, segretario della Cfdt, ha addirittura cercato esplicitamente di limitare l’ampiezza e la durata del movimento, ansioso di poter tornare a negoziare non si sa cosa col governo a proposito della disoccupazione giovanile e degli over 55. Non meno grave, Chérèque ha approvato l’invio della polizia nelle raffinerie e nei depositi di carburante.
L’intervento della polizia contro gli scioperanti è denso di avvertimenti anche per i lavoratori italiani. A che cosa serve infatti la permanente ed isterica campagna dei mass media sulla sicurezza - o anche il propinare sulla Rai una fiction dopo l’altra su carabinieri/poliziotti giovani, carini e premurosi - se non a creare un clima sociale più propenso a digerire l’intervento violento della polizia contro gente che manifesta, come ad esempio è di recente accaduto a Terzigno? La crisi economica non è per nulla al suo termine, anzi. La lotta contro le politiche di rigore della classe dominante sarà sempre più dura e la classe lavoratrice non può permettersi nessuna fiducia nel cosiddetto Stato di diritto o nella galanteria del proprio avversario di classe.
In Francia sta emergendo una nuova leva di militanti. Come nei grandi movimenti contro il Contratto di Primo Impiego del 2006 o lo sciopero a oltranza dei trasporti del 1995, milioni di persone stanno tornando a interessarsi di politica o addirittura partecipano per la prima volta a scioperi e cortei. Il Partito comunista francese è ad un bivio fondamentale. Il movimento ha bisogno di coordinamento ma anche di idee. Le idee comuniste, difese dalla corrente marxista La Riposte, sono le sole che indicano come rompere col potere dell’alta finanza e delle multinazionali, e devono e possono diventare carne ed ossa di un movimento di massa. Anche perché già in queste settimane è aumentato il numero di lavoratori consapevoli che questa società offre solo arretramenti e le lotte parziali non bastano.