Francia
Spesso sentiamo dire che nella crisi della sinistra europea, il governo Jospin rappresenterebbe un’eccezione. Ma quanto c’è di vero in queste posizioni?
Se di "eccezione francese" si può parlare, questo riguarda non la linea del governo Jospin, ma il carattere particolarmente radicale delle mobilitazioni sociali in quel paese, che videro il punto culminante con lo sciopero di sei settimane dei dipendenti pubblici contro l’allora governo Juppé (destra)
Quella lotta ha accelerato la presa di coscienza e la determinazione a lottare di milioni di giovani e lavoratori. In seguito c’è stata una ripresa generale delle mobilitazioni che hanno coinvolto anche settori della società tradizionalmente inerti o difficilmente mobilitabili: piloti di AirFrance, camionisti, disoccupati, sans-papiers, giovani medici o lavoratori della ristorazione. A giugno scorso scioperavano a Parigi anche i dipendenti dei musei (Louvre compreso!) contro la precarietà del lavoro.
Spesso i giornali borghesi notano con disappunto la facilità con cui ogni sciopero riceve sostegno tra la popolazione; ogni lotta importante degli ultimi anni è stata vista con simpatia da almeno due terzi dei francesi. Ogni sondaggio rivela una crescente opposizione alle politiche liberiste e la volontà di un cambiamento radicale della società.
Ed è proprio l’onda lunga di questi movimenti che può spiegarci la vittoria elettorale nel 1997 della coalizione di sinistra guidata da Jospin (Ps), dopo che nel 1993 la destra aveva conquistato l’80% dei seggi parlamentari. Fin dall’inizio il governo Jospin (dove il Pcf ha due ministri) si è fissato l’obiettivo di conciliare gli interessi di padroni e lavoratori, ma ora è sempre più visibile il momento in cui di colpo tutti saranno scontenti.
I padroni hanno ottenuto diverse cose da questo governo ma ora vogliono di più (attacco a sanità e pensioni) e d’altra parte i lavoratori sono stanchi di fare concessioni in nome degli interessi dell’"Azienda Francia" e sempre più persuasi che solo una mobilitazione dal basso possa imporre una diversa politica a questo governo.
Concretamente il governo in due anni e mezzo ha realizzato più privatizzazioni degli ultimi due governi di destra messi insieme ed in settori nient’affatto marginali: banche, aereonautica, scuole, EDF (elettricità), AirFrance. Bisogna poi notare che il ritmo delle privatizzazioni si è velocizzato negli ultimi 8-10 mesi.
Il secondo disegno di legge di M. Aubry sulle 35 ore prevede un aumento della flessibilità (ad es. con l’annualizzazione dell’orario di lavoro) ed ampi spazi per le negoziazioni locali che sfavoriranno i lavoratori dei settori meno sindacalizzati. Per queste ragioni la Cgt si è opposta a questo disegno convocando il 4 ottobre manifestazioni in tutta la Francia proprio nel giorno che vedeva gli industriali mobilitarsi a loro volta per domandare un indurimento antioperaio della legge. Non sono stati pochi gli imprenditori che, volendosi recare alla manifestazione della Confindustria di Parigi, sono stati bloccati dai ferrovieri!
Il clima sociale e politico si va dunque arroventando e la recente elezione di un "falco" a capo del padronato dimostra che la borghesia si sta preparando allo scontro col governo. Specular-mente sta crescendo l’opposizione al governo anche nel movimento sindacale.
Il Partito comunista
Tra i partiti operai soprattutto il Pcf sta pagando più di due anni di partecipazione al governo ed alle ultime elezioni europee ha ottenuto il peggior risultato della sua storia (6,8%). La militanza è in calo come le vendite dell’Humanité e il sindacato studentesco vicino al Pcf, l’Unef-Se, è colpito da scissioni e crisi interne. Molte sezioni del partito si sono addirittura rifiutate di fare campagna elettorale per la lista del segretario R. Hue,"Muovi l’Europa", in disaccordo con la linea della "parità" tra candidati comunisti e non comunisti che aveva portato fra le teste di lista persone favorevoli alla guerra in Kosovo (G.Fraisse, F.Sylla, P.Herzog). Molti voti poi sono stati persi verso l’astensionismo (arrivato al 53%) tra giovani ed operai delusi dall’appoggio del Pcf a misure antisociali del governo.
Il partito si presenterà al suo congresso a febbraio 2000 diviso come non mai e con un’ala destra, guidata dal segretario Hue, sempre più apertamente alla carica per diluire il Pcf in un soggetto più ampio della sinistra alternativa e per mettere in secondo piano l’identità comunista avviando una "mutazione genetica". Settori stessi dell’apparato del partito stanno entrando in scontro con questa linea riflettendo il malcontento della base che si esprime anche con la crescita di vari gruppi d’opposizione (Per la continuità del Pcf, Sinistra comunista, i Rifondatori) che forse presenteranno un documento alternativo al congresso. Appare chiaro come la critica stia crescendo, nonostante il carattere eterogeneo di queste opposizioni, che nel loro complesso non hanno tutt’ora fatto i conti con problemi decisivi quali le illusioni nel neokeynesismo o il bilancio storico dello stalinismo.
Ora il Pcf si sente pressato da sinistra anche a causa dei risultati elettorali dell’estrema sinistra (5,2% alle Europee). Il blocco dell’estrema sinistra è costituito da due gruppi da sempre in lotta fra di loro: Lutte Ouvriere e la Lega comunista rivoluzionaria. L’astensionismo ha colpito pero’ anche il loro voto: infatti nel 1995, prima del governo Jospin, la candidata di Lo alle presidenziali raccolse 1,7 milioni di voti, cioè quasi il doppio dei voti ottenuti a giugno ‘99 (900.000).
Lutte Ouvriere e la Lcr
La simpatia che Lo e la Lcr ottengono nella società, dovuta sostanzialmente alle loro giuste denunce dell’operato del governo e ad una significativa crescita di sentimenti anticapitalisti nel paese, va raramente oltre il voto di protesta non corrispondendo a un aumento del loro radicamento nel movimento operaio. La Lcr ad esempio è screditata tra molti attivisti sindacali a causa del suo orientamento scissionista nei sindacati che si accompagna ad un certo settarismo, specialmente verso la base del Ps, abbinato ad alleanze senza principi coi Verdi o altri partitini non operai in diverse elezioni regionali. Lo dal canto suo è conosciuta come un’organizzazione piuttosto antidemocratica al suo interno e settaria verso le organizzazioni tradizionali dei lavoratori. Questa sua marginalità è stata dimostrata anche dalla scarsa o nulla presenza dei suoi militanti negli imponenti cortei del dicembre ‘95.
Il voto all’estrema sinistra costituisce comunque una conferma del calo dell’autorità del governo e preannuncia la crisi che inevitabilmente scuoterà tutta la sinistra francese.
Ogni volta che il governo si trova costretto a fare scelte nette, queste riflettono sempre più le pressioni del padronato. Per esempio da giugno si è cominciato a parlare di innalzamento dell’età pensionabile e la commissione governativa Charpin ha proposto 42,5 anni di lavoro e 60 anni per andare in pensione.
Divisioni anche nei socialisti
Jospin è sempre più spostato verso la destra del partito anche se per rinverdire la sua immagine di sinistra è costretto a parlare contro la terza via di Blair e Schroeder. Nel movimento socialista le crepe cominciano però a essere più visibili: molte sezioni ad esempio hanno inviato alla Direzione mozioni di protesta contro la circolare Chevenement che impedisce la regolarizzazione di tutti i sans-papiers. Anche nei sindacati vicini al Ps la base sta cominciando a chiedere il conto ai dirigenti e così si spiegano le proteste degli operai Cfdt-Renault contro la firma dell’accordo sulle 35 ore o l’atteggiamento più rivendicativo di Blondel, segretario di Fo, da sempre considerato il sindacato giallo.
Gli ultimi due anni sono stati segnati anche da forti movimenti studenteschi che hanno logorato l’apparato dei sindacati studenteschi vicini al Ps. La linea dell’Unef-Id, sindacato universitario, di difendere o attaccare il meno possibile il governo, quando è in corso un serio tentativo di privatizzare l’università, trova sempre più esitanti i militanti dell’Unef-Id i cui dirigenti da marzo hanno decisamente alzato il tono contro il ministro dell’istruzione Allègre.
La crisi della socialdemocrazia europea non risparmierà quindi il governo francese e i partiti che lo sostengono. Sta ai lavoratori di avanguardia in quei partiti trovare la strada di una politica anticapitalista e rivoluzionaria, che possa dare voce alle aspirazioni espresse nel movimento di massa del 1995-96 e che sono sempre più tradite dall’attuale governo.