Aumenta la polarizzazione nel cuore dell’Europa
Negli ultimi tre mesi i mass-media italiani ci hanno prospettato a ripetizione una inevitabile svolta a destra in Germania con l’inevitabile vittoria, più o meno trionfale, della candidata premier Angela Merkel e della sua coalizione borghese di democristiani (CDU-CSU) e liberali (FDP) alle elezioni politiche del 18/9.
Ma il risultato uscito dalle urne rivela che queste “previsioni” corrispondevano più ai sogni della borghesia tedesca (e non solo) che alla realtà dei rapporti di forza nella società.
I sei milioni di disoccupati, sette anni di governo della coalizione rosso-verde segnati da pesanti tagli allo stato sociale e le drammatiche sconfitte subite dai socialdemocratici (SPD) in tutte le ultime prove elettorali (dalle europee del 2004 al crollo nella roccaforte socialdemocratica Nordreno-Vestfalia nelle regionali di maggio) sembravano dare la possibilità alla destra di raccogliere il malcontento sociale.
Così non è stato. CDU e CSU ottengono appena il 35,2 %, non solo un crollo dal 44,5 % delle ultime europee, ma addirittura una perdita vistosa dal 38,5 % delle politiche del 2002.
La crescita dell’FDP dal 7,4 % al 9,8 % di oggi non compensa l’arretramento dei democristiani. E soprattutto non consegna alla coalizione CDU-CSU-FDP la maggioranza parlamentare.
Sull’altro versante l’SPD pur perdendo seccamente (dal 38,5 % del 2002 al 34,3 di oggi) arretra meno del previsto, mentre i Verdi perdono solo pochi decimi percentuali (dal 8,6 % all’8,1 %).
Questo fatto è spiegabile parzialmente con l’improvviso cambiamento nella propaganda dell’SPD che ha cercato di dare una coloritura di sinistra e sociale ai suoi slogan come non si vedeva da molti anni. Per fare un solo esempio, uno dei manifesti dell’SPD più diffusi era quello che recitava “Noi siamo per la protezione dal licenziamento, ma per cosa sono gli altri?”.
Più importante è invece la mobilitazione della base del partito degli ultimi giorni volta a impedire una svolta a destra. Molti lavoratori si rendono conto che con un governo di destra l’attacco alle proprie condizioni di vita sarebbe stato ancora più duro. Questo comunque non attenua la sconfitta della Spd, una delle più dure degli ultimi trent’anni, con la perdita di oltre due milioni di voti rispetto a tre anni fa. Schröder ha ben poco da festeggiare: milioni di tedeschi, soprattutto nel tradizionale elettorato di sinistra, domenica hanno espresso il rifiuto per la sua “Agenda 2010” e le politiche di taglio allo stato sociale.
La coalizione Die Linke-Pds (Wasg)
Ma la vera novità è soprattutto costituita dal risultato della coalizione tra PDS (il partito socialdemocratico di sinistra nato dalla SED, oggi su posizioni simili al PRC) e Die Linke, la recente scissione di sinistra dell’SPD guidata da Oskar Lafontaine e da un settore di dirigenti sindacali. Insieme totalizzano l’8,7%, un risultato inferiore ai sondaggi di due mesi fa che li davano al 15 %, ma che rappresenta comunque il più grande successo di formazioni a sinistra di Verdi e SPD in tutta la storia della Germania riunificata (la PDS aveva ottenuto il record col 6,1 % alle ultime europee, mentre alle politiche 2002 si era fermata al 4 %). Con 54 deputati Die Linke-PDS dispongono della più grande frazione parlamentare a sinistra dell’SPD dal 1949, cioè prima che il partito comunista fosse posto fuori legge in Germania Ovest.
Significativo infine il fatto che i neonazisti del NPD crescano solo dal 1 % al 2,2 %, restando molto al di sotto della soglia del 5% necessaria per entrare in parlamento. Questo dimostra che in questa fase non esiste, nonostante la crisi sociale e la disoccupazione di massa, una minaccia fascista in Germania, al di là dei buoni risultati che talvolta ottengono le formazioni di estrema destra in qualche elezione regionale, caratterizzabili come il classico voto di protesta.
Crescente polarizzazione
La fotografia che ci consegnano queste elezioni non è dunque quella di uno spostamento a destra, ma quella di una crescente polarizzazione di classe.
Arretrano tutti i partiti “moderati”, sia di destra (CDU) che di sinistra (SPD e Verdi) e crescono tutti quelli più radicali: a destra soprattutto i liberali dell’FDP che negli ultimi anni hanno assunto posizioni thatcheriane e ferocemente anti-sindacali e a sinistra la nuova coalizione Die Linke-PDS che si è opposta a tutte le ultime controriforme del governo e che ha sostenuto le mobilitazioni di massa come le “manifestazioni del lunedì” contro la legge Hartz IV.
Questo voto non può infatti essere separato dal processo di risveglio della lotta di classe (ondata di scioperi e manifestazioni politiche) in quello che per decenni è stato uno dei paesi modello per la pace sociale in Europa.
Questo risveglio delle lotte, unito alla crisi capitalistica, sta producendo mutamenti nella coscienza delle masse. Come spiegare altrimenti i risultati di tutta una serie di sondaggi condotti recentemente da istituti o riviste come Der Spiegel (non certo di sinistra) secondo i quali Marx è considerato il più grande tedesco di tutti i tempi, oppure quello che attribuisce al 56 % dei tedeschi l’opinione secondo la quale il socialismo è una buona idea, solo finora mal applicata? Per non parlare di quello che nei Laender orientali mostra che per la prima volta dal 1989 la maggioranza degli ex cittadini della DDR ritengono il socialismo un sistema migliore del capitalismo. Possiamo così capire il voto straordinario di Berlino, dove Spd, Wasg e verdi arrivano al 70%.
Lo stop che subisce la destra nel voto avrà a sua volta un effetto galvanizzante per gli attivisti di sinistra e le lotte sociali.
Ora sembra che la prospettiva più probabile sia la nascita di una Grosse Koalition (SPD-CDU). Si tratterebbe tuttavia di un governo instabile nonostante la schiacciante maggioranza parlamentare di cui disporrebbe. Ogni nuovo assalto della lotta di classe tenderebbe ad aumentare la litigiosità tra i due partiti.
Questa situazione offre grandi opportunità a Die Linke-PDS. Purchè la nuova formazione sappia passare dal terreno elettorale a quello del radicamento di massa, legandosi ai processi delle lotte reali e fornendo un’alternativa che nell’epoca della crisi del capitalismo non può che essere quella rivoluzionaria e socialista. Questo implica anche l’indisponibilità a partecipare a coalizioni di governo a livello locale e regionale che applichino le politiche del capitale, come avviene nei governi SPD-PDS di Berlino e della Pomerania-Meclenburgo, dove si privatizzano o si chiudono asili nido e centri sociali.
La politica tedesca post Seconda Guerra Mondiale è a una svolta. Per 50 anni, dal 1949 al 1998, i partiti classici della borghesia tedesca (CDU/CSU e FDP) hanno ottenuto in tutte le elezioni politiche una maggioranza assoluta dei suffragi (anche quando dal 1969 al 1982 i governi furono sostenuti da una coalizione SPD-FDP). Oggi per la terza volta consecutiva (1998-2002-2005) il grande capitale non raggiunge la sua meta: la coalizione borghese non ottiene la maggioranza.
E’ un segno dei tempi, il segno che anche la borghesia del capitalismo più forte in Europa sta sempre più perdendo l’appoggio di massa nella società, tra i ceti medi così come nella in passato assopita aristocrazia operaia. Siamo all’inizio di un processo che porterà il proletariato tedesco a recuperare le grandi tradizioni rivoluzionarie del passato, sepolte per più di mezzo secolo.
19 settembre 2005