Si è aperta ufficialmente la Conferenza Nazionale dei Giovani Comunisti, l’organizzazione giovanile di Rifondazione. Questa scadenza acquisisce enorme importanza. Un’inversione di linea della principale organizzazione giovanile comunista in Italia non è rinviabile. La ripresa delle mobilitazioni sociali in Italia e a livello internazionale apre enormi possibilità all’azione ed alle idee dei comunisti. La linea sposata dagli attuali vertici dei Giovani Comunisti ha dimostrato di non essere in grado in nessun modo di capitalizzare tali possibilità.
I Giovani Comunisti arrivano a questa Conferenza come un’organizzazione sostanzialmente sradicata dalle aziende, dalle scuole, dalle università. Di fronte a questa deriva ci sono sembrate del tutto insufficienti le alternative avanzate dai compagni che hanno proposto il secondo e il terzo documento (vedi i riquadri nelle pagine che seguono). Per questo abbiamo presentato il quarto documento.
Il movimento è tutto il fine è nulla
Per anni ogni scelta moderata del nostro Partito e dei Giovani Comunisti è stata giustificata con l’“assenza del movimento”. L’attuale direzione uscente dei Giovani Comunisti è stata eletta nel 1997. Allora si sosteneva seriamente che a causa dell’assenza di movimenti sociali, il Partito dovesse cercare di fare da supplente alle lotte attraverso il condizionamento parlamentare del governo Prodi. Questo tipo di idee ci ha portato a votare favorevolmente misure come l’Autonomia Scolastica, la legge Turco-Napolitano (90.000 immigrati espulsi) e il Pacchetto Treu (introduzione del lavoro interinale e dei contratti a termine). Fa sorridere oggi leggere nel documento presentato dalla direzione uscente (il primo documento) frasi di questo tipo: “La sinistra socialdemocratica italiana degli anni ‘90 (...) ha scelto di sostenere la destrutturazione del mercato del lavoro, contrapponendo tra loro i lavoratori: questi fenomeni hanno subito una decisiva accelerazione con il Pacchetto Treu”. Fa sorridere perché questi compagni si sono guadagnati le proprie posizioni dirigenti difendendo a spada tratta quei “100.000 maledetti ma subito” posti di lavoro precari creati dal Pacchetto Treu.
La nostra azione nel movimento antiglobalizzazione
“Un evento si è prodotto, Seattle ha riproposto sulla scena mondiale quello che diventerà da lì a poco il movimento dei movimenti”. Questa frase del primo documento riassume il perno fondamentale di tutto il ragionamento della maggioranza. Seattle è l’evento. Tutto quello che viene dopo è un prodotto di Seattle, tutto quello che viene prima è acqua passata. Nonostante a parole i compagni non sappiano dire altro che “movimento, movimento, movimento”, nella realtà sulle dinamiche interne al movimento antiglobalizzazione non dicono nulla. Quali idee permetteranno a questo movimento di fare passi avanti? Come mai nei Social Forum è avvenuta un’evidente crisi ed un’involuzione?
Da Seattle a Genova, oltre due milioni di persone hanno preso parte ai diversi cortei antiglobalizzazione. In questo movimento dall’inizio è stata presente una contraddizione tra i mali del capitalismo giustamente denunciati e le soluzioni riformiste proposte dalla direzione del movimento stesso. Va da sé che un movimento che non contesta il singolo aspetto del sistema ma l’intero sistema fosse un’enorme potenzialità per i comunisti per spiegare la propria alternativa. Invece che provare a giocare questo ruolo, i Giovani Comunisti sono entrati nel movimento assorbendo ed orientandosi alle idee riformiste lì presenti.
All’interno del movimento antiglobalizzazione c’è un intero filone di pensiero che teorizza che ci si possa opporre all’egemonia delle multinazionali promuovendo un mercato alternativo basato sull’autoimprenditorialità dal basso, sul Terzo settore no profit, sul commercio equosolidale.
Il prevalere di queste idee ha segnato un arretramento del movimento stesso per una ragione semplice: per applicare queste rivendicazioni non c’è bisogno della lotta di classe ma dell’azione individuale quotidiana. L’idea che l’associazionismo sia la via per cambiare questo sistema ha così letteralmente frammentato l’azione dei Social Forum in mille piccole attività che allontanano dalla lotta per un cambiamento radicale del capitalismo.
Invece che cercare di dare una risposta politica a queste idee scorrette, i vertici dei Giovani Comunisti hanno teorizzato che fosse necessario farsi “contaminare” da tali idee. La teoria della “contaminazione” è tanto sbagliata quanto ipocrita. Sbagliata perché un movimento di massa non è chimicamente puro. Il compito di un’organizzazione comunista dovrebbe essere quello di promuovere le idee più avanzate all’interno di ogni movimento, contribuendo politicamente a superare le idee più arretrate. Ipocrita perché i Giovani Comunisti non si sono fatti contaminare dalle idee genericamente presenti nel movimento.
Hanno fatto una scelta di campo ben precisa. Si sono gettati a rimorchio di Ya Basta e delle Tute Bianche (con cui hanno in seguito formato il Laboratorio dei Disobbedienti), scordando un piccolo particolare: Ya Basta e le Tute Bianche non sono il movimento. Sono strutture politiche che lottano per diffondere le proprie concezioni.
I nostri dirigenti, quindi, hanno raccomandato ai comunisti di lasciare a casa le proprie proposte politiche. In compenso hanno contribuito a propagandare quelle di Casarini e compagnia.
Il secondo forum di Porto Alegre
Il primo documento si scaglia contro la pretesa egemonica dei comunisti sul movimento antiglobalizzazione. Tutto questo viene fatto in nome dell’“autonomia dei movimenti”. Se con autonomia dei movimenti si intende che il nostro partito non deve imporre la propria linea con imposizioni organizzative, siamo d’accordo. Se, invece, si intende che un movimento elabori le proprie idee senza l’intervento di nessuna forza esterna, questa presunta autonomia non esiste e non esisterà mai. La borghesia evidentemente non è tanto rispettosa quanto noi dell’autonomia dei movimenti: quando non riesce a vincerli con la repressione, interviene e cerca di egemonizzarli con le proprie concezioni. Se noi abdichiamo al tentativo di propagandare le nostre idee, altri propaganderanno le proprie.
Questo è stato lampante a Porto Alegre. Il Secondo Forum Sociale mondiale ha visto lo sbarco di amministratori locali e parlamentari per influenzare la parte propositiva del movimento. Questo si è riflesso in un programma che sposta tutta la lotta al capitalismo sul terreno delle municipalità, delle amministrazioni locali. Invece che un altro mondo, si prospetta un mondo capitalista con un forte federalismo fiscale, un Parlamento globale, un potere consultivo delle popolazioni sull’8% dei miseri bilanci comunali. Si moltiplica la produzione di propaganda da parte della borghesia per dimostrare che uno sviluppo sostenibile è possibile sotto il capitalismo. Questo è evidente con la Conferenza dell’Onu di Johan-nesburg sullo sviluppo sostenibile. Il Sole 24 Ore commenta la situazione dell’Africa: “Si possono coniugare profitti e reddittività delle aziende con il benessere sociale ed ambientale? In Africa credono proprio di sì. Tanto che da due anni in Africa è attiva l’African Istitute of Corporate Citizenship con lo scopo di creare i migliori rapporti possibili tra imprese e la realtà sociale”.
La contraddizione capitale-lavoro
Se veramente avessimo voluto sviluppare il movimento, ci saremmo dovuti attrezzare per impedire il diffondersi di tali idee, battendoci politicamente perché altre fossero le idee egemoni. Una cricca di capitalisti controlla il mercato mondiale. 30.000 aziende determinano con le proprie scelte il destino della vita di miliardi di persone. Qui risiede il nodo decisivo: quello della proprietà privata. L’unico obiettivo coerente che il movimento antiglobalizzazione potesse darsi era andare a toccare le leve decisive dell’economia e della finanza a livello mondiale, espropriando le principali multinazionali per porle sotto il controllo democratico di consigli dei lavoratori democraticamente eletti. Questo è quello che definiamo socialismo.
L’unica classe che tutt’oggi sia in grado di portare avanti questo compito è il proletariato per il proprio ruolo insostituibile nella produzione. Questo punto sfugge completamente ai nostri vertici che per anni si sono fatti influenzare dalle teorie che sostenevano che il proletariato fosse frantumato, inesistente o comunque non più in grado di sviluppare una propria lotta.
Queste dispute teoriche vengono chiuse dalla realtà. 13 milioni di lavoratori italiani hanno scioperato il 16 aprile mentre il 20 giugno sarà la volta dello sciopero generale in Spagna.
I sostenitori della “fine della classe operaia” non possono che ripiegare su una posizione più sobria: il movimento operaio esiste ma va comunque creato un “nuovo movimento operaio”. È difficile dire di cosa si tratti.
Quello che è chiaro è che, mentre si chiacchera sul “nuovo movimento operaio”, il radicamento dei Giovani Comunisti nel movimento operaio reale è completamente inesistente.
Il Laboratorio dei Disobbedienti
Gli errori teorici vengono pagati nella vita reale. La prospettiva dei vertici dei Giovani Comunisti è che la radicalità espressasi a Genova sarebbe continuata sul terreno della Disobbedienza Sociale. Su questa base hanno stretto un accordo politico con l’ala destra dei centri sociali. Su cosa si regge questo accordo? Sulla Disobbedienza. Cerchiamo di definire cosa sia questa miracolosa forma di lotta. Per farlo non possiamo che lasciare la parola ad uno dei principali teorici tra i sottoscrittori del primo documento, Anubi D’Avossa Lussurgiu: “Allora cos’è la Disobbedienza? È un momento di produzione di moltitudine. Quando noi disobbediamo, ci produciamo come moltitudine, perché le procedure del controllo È del dominio che scorrono continuamente sulla cooperazione sociale, sulla moltitudine per revocarne la potenza, che cosa fanno se non (tentare di È riuscire a) far recedere la moltitudine allo stadio della molteplicità (come sosteneva Bascetta analizzando l’agire produttivo della moltitudine e i suoi statuti così come imposti dal dominio -la separazione tra proprietari e non proprietari, che esiste all’interno della moltitudine)?” (dal sesto tavolo del seminario ControImpero). Ammettiamo che il senso ci sfugge, ma offriamo 100 euro a chiunque sarà in grado di trovare almeno tre frasi con senso compiuto in ogni pagina del testo da noi citato (reperibile sul sito nazionale dei Gc).
In realtà il Laboratorio dei Disobbedienti non si regge su nessun accordo di principio chiaro. Su questa base questo accordo si romperà tra le recriminazioni reciproche. La logica che guida buona parte dei dirigenti dei Disobbedienti è come ritagliarsi visibilità, in chiave istituzionale e mediatica. Parte dei dirigenti dei Disobbedienti ha trovato rifugio nelle liste comunali di Rifondazione, come per esempio a Genova. Questo è il dibattito di principio che attraversa questo laboratorio! Tale situazione di crisi è ammessa implicitamente nel primo documento: “Il movimento dei disobbedienti vive oggi una situazione contraddittoria: da un lato ha in potenza una partecipazione enorme, dall’altro non riesce ad uscire dalla rappresentazione di sé stesso (...) ma rischia di presentarsi troppo come l’espressione di una soggettività politica chiusa”.
Lo sciopero generale ed il ruolo dei comunisti
In realtà la radicalità espressasi a Genova non è continuata sul terreno dei gesti simbolici ed eclatanti proposti dai Disobbedienti. Mentre centinaia di nostri attivisti venivano tenuti impegnati a progettare blitz spettacolari, giornate nazionali della Disobbedienza Sociale, nelle aziende si preparava lo sciopero generale. Ecco il prezzo che paghiamo: mentre a parole si ripeteva “movimento, movimento, movimento”, i nostri attivisti non venivano impegnati in un lavoro di propaganda e radicamento sul terreno in cui il movimento si stava sviluppando: nelle aziende e negli scioperi. Questo ha completamente lasciato il terreno libero a Cofferati ed alla burocrazia Cgil per recuperare rapidamente autorità tra i lavoratori. Ricade sulla direzione del Partito la responsabilità di non essere stato in grado di intercettare l’ambiente di risveglio nelle aziende. Il nostro ruolo nelle aziende in preparazione dello sciopero è stato insufficiente. Al Congresso nazionale Cgil Bertinotti non era nemmeno presente. In compenso i compagni di Rifondazione nella sinistra sindacale hanno chiuso quel Congresso votando in maniera acritica il documento finale di Cofferati. Un documento che rivendicava dieci anni di concertazione. Come sempre la nostra direzione non prepara il movimento e quando il movimento esplode in tutta la sua forza si accoda alle posizioni già presenti.
Che fare?
Questi errori hanno sviato la nostra organizzazione dal contatto con il movimento di massa. Se avessimo distribuito un volantino nelle aziende per ogni volta che i vertici dei Giovani Comunisti hanno pronunciato negli ultimi due anni la parola “movimento”, avremmo inondato tutte le imprese italiane. Ma dietro il movimentismo c’è stato solo l’arroccamento dei nostri attivisti in forme di lotta sterili, settarie o comunque lontane dalle necessità dei giovani lavoratori, studenti e disoccupati.
Un passo avanti in questa direzione rischia di lasciare la nostra organizzazione sospesa in aria. Per
questo è necessario un cambio di rotta: per questo abbiamo presentato il quarto documento alla Conferenza.
Cofferati convoca oggi enormi mobilitazioni. Lo fa nel tentativo di recuperare delle condizioni adeguate per la concertazione. Nelle aziende il comportamento della burocrazia sindacale rimane concertativo. I contratti continuano ad essere firmati al ribasso, i tempi di lavoro rimangono soffocanti, le condizioni di salute inaccettabili, il precariato continua a dilagare. Possiamo porci l’obiettivo di dare uno sbocco politico allo scontento che cova in ogni singola azienda, avanzando un programma complessivo che vada oltre la semplice questione dell’articolo 18. La richiesta di un Salario Minimo Intercategoriale, di recuperi salariali adeguati all’inflazione reale, della difesa intransigente del sistema pensionistico pubblico così come la richiesta principe di trasformare immediatamente tutti i contratti precari in contratti a tempo indeterminato possono suscitare un interesse immediato.
Nelle aziende c’è stato un ricambio generazionale. La classe operaia vede al suo interno moltissimi giovani. Giovani che hanno poca esperienza ma anche poche bruciature derivanti dalle sconfitte passate. Sta a noi organizzarli. Ogni coordinamento dei Giovani Comunisti uscito da questa Conferenza dovrà mettere a tema un lavoro di costante radicamento nelle aziende, con volantinaggi regolari, scatenando vertenze e puntando a far eleggere come delegati sindacali i nostri giovani lavoratori. I vecchi delegati sindacali presenti nelle Rsu riflettono l’ambiente che c’era nelle aziende in passato. perché la lotta sindacale si doti di una direzione combattiva, dobbiamo rivendicare il rinnovo di tutte le Rsu, discutendo attentamente la campagna elettorale in ogni azienda.
All’interno degli scioperi dobbiamo porre chiaramente la questione della caduta del Governo. Il nostro Partito, e a rimorchio immancabilmente i vertici dei Gc, si rifiuta di avanzare tale proposta. “I tempi non sono maturi per la caduta del Governo” ci si dice. Ma quando mai saranno maturi finché non porremo la questione? I tempi in compenso sono sempre maturi per ripetere: “movimento, movimento, movimento, disobbediamo, disertiamo, amiamo”.
Organizzare i precari
Per cercare di ritagliarsi una nicchia nei confronti della direzione Cgil di Cofferati, i Disobbedienti ora puntano ad organizzare i precari. L’idea di organizzare i precari separatamente dal resto della classe è già sbagliata di principio. Ma cosa hanno organizzato finora? Nelle poche vertenze di precari che si sono sviluppate a livello nazionale, abbiamo osservato come gli stessi lavoratori precari si orientino verso le strutture classiche dei lavoratori. Si iscrivono al sindacato, non “attraversano” il Laboratorio per la Disobbedienza Sociale. Tutti i quattro documenti parlano della vertenza precari della Tim di Bologna. Ma come è andata quella vertenza? Gli interinali hanno eletto dei propri delegati sul modello del resto dei lavoratori. Hanno lottato cercando di connettersi con il resto della classe. Hanno trovato un proprio punto di riferimento in alcuni compagni dei Giovani Comunisti e non nelle date fantasma lanciate dai Disobbedienti. Molti interinali si sono iscritti al Nidil-Cgil dove tutt’ora sono impegnati nel difendere il responsabile Nidil dagli attacchi della burocrazia: un giovane comunista che ha condotto in maniera coerente quella vertenza e che per quello oggi lotta contro la rimozione dal suo incarico (con un silenzio assordante da parte della sinistra sindacale tra cui molti compagni del nostro Partito, disobbedienti a tutto, ma non alla Segreteria della Camera del Lavoro).
Aggiungiamo che anche gli immigrati, parte fondamentale della classe lavoratrice, oggi cercano di connettersi con il resto della classe. Lo sciopero di Vicenza è esemplare: non vengono con noi a smontare per un paio d’ore un Centro di Permanenza Temporanea ricostruito il giorno dopo, scioperano con i propri compagni di lavoro per costringere la classe dominante italiana a smantellare tutti i centri-lager.
Orientamoci ai call-center, agli interinali, ai McDonald’s non per distribuire le salamelle ma per sindacalizzarvi i lavoratori. I nostri programmi saranno incisivi solo quando incontreranno la classe e quando provocheranno scioperi e danni ai profitti delle multinazionali che vogliamo combattere.
Il movimento studentesco
Per quanto riguarda il lavoro tra gli studenti tutti gli altri documenti della Conferenza si limitano a ripetere che è necessario costruire collettivi nelle scuole. Siamo d’accordo, ma i collettivi non nascono evocandoli. Quale programma e quale azione ci permetterà di farli crescere? Il terzo documento abbozza un programma studentesco. Ne diamo atto ai compagni.
Il secondo documento non ci pensa minimamente: sembra che per i compagni i collettivi nasceranno ripetendo la parola rivoluzione. Il primo documento accenna agli obiettivi che si dovrebbero porre dei collettivi studenteschi: obiettivi sbagliati o addirittura opportunisti. Ci sembra significativa la proposta secondo cui i collettivi dovrebbero “contribuire alla riuscita del referendum contro la legge di parificazione allargando ad altre realtà studentesche”. Alla faccia del movimento che si sviluppa spontaneamente! I nostri attivisti dovranno piegare l’attività dei collettivi non alla necessità di preparare le lotte, gli scioperi studenteschi, le occupazioni ma a piegare i collettivi alla campagna referendaria che il nostro Partito ha avventurosamente lanciato. Questa vicenda ci ricorda terribilmente il referendum in Emilia Romagna contro la legge Rivola di parità scolastica. Per mesi abbiamo impegnato gli studenti non nel radicamento dei collettivi ma nei banchetti referendari. La lotta contro la legge Rivola nel ‘99 aveva portato in piazza diverse migliaia di studenti, ma la Giunta Regionale ha avuto buon gioco nell’impantanare tutto il movimento indicando il 2001 come scadenza per il referendum. Rifondazione stessa ha poi accettato che il referendum non si tenesse in cambio di una nuova legge, la legge Bastico che introduce comunque i finanziamenti alla scuola privata, semplicemente in quantità minore rispetto alla Rivola. Naturalmente abbiamo votato a favore della Bastico. Del resto siamo in Giunta ed abbiamo un assessore al turismo. Un assessore val bene la parità scolastica.
Nel documento di maggioranza emerge poi che l’obiettivo dei collettivi dovrebbe essere “utilizzare i fondi messi a disposizione dall’autonomia per finanziare iniziative sui saperi” ed ancora “cominciare a proporre concretamente un uso a noi funzionale dell’autonomia finanziaria”. L’Autonomia Finan-ziaria è il progetto di privatizzazione della scuola e dell’università. Usarla in maniera funzionale vuol dire innanzitutto rinunciare a combatterla, in secondo luogo sfruttare quelle piccole crepe di gestione privatistica aperte dall’Autonomia. Metterci a fare in piccolo ciò che le aziende faranno in grande. Così mentre noi facciamo convegni sui saperi, le aziende spadroneggiano negli istituti e nei corsi di laurea.
Legare i collettivi ai fondi dell’autonomia vuol dire abbandonare la lotta contro la privatizzazione della scuola. Il problema che rimane aperto ed a cui nessuno degli altri documenti della Conferenza risponde è: come faremo ad unificare le lotte delle singole scuole, delle singole città, dei singoli atenei in un’unica mobilitazione nazionale in grado di vincere? Dal nostro punto di vista è irrimandabile la creazione di una struttura nazionale studentesca che cerchi adesione dei singoli studenti e dei collettivi su basi programmatiche chiare. Nel primo documento si parla della creazione di una struttura nazionale. Ma con quali obiettivi? “Una struttura studentesca nazionale in grado di avere contributi dagli atenei e dai provveditorati”.
Compagni, la scuola è allo sfascio: arraffiamo ciò che cade dal tavolo. È questo il programma per la scuola pubblica?
Il problema della democrazia
Questa Conferenza dovrà affrontare anche il metodo attraverso cui la base dei Giovani Comunisti terrà un controllo dal basso sulla propria direzione. La questione non la poniamo noi, la pongono i fatti. La Conferenza Nazionale doveva essere tenuta nel ‘99. Il Coordinamento Nazionale l’ha rinviata per tre anni, con il voto contrario soltanto dei sottoscrittori del quarto documento. È questo il nuovo modello di partito? La linea viene decisa e la base la discute dopo tre anni. Nel ‘99 si è prodotto “l’evento”, Seattle.
Nel 2002 i Giovani Comunisti possono discutere della linea applicata dal ‘99 in poi! Anche questo è un evento!
Nel primo documento incredibilmente si dice: “troppi anni sono passati dall’ultima Conferenza nazionale”. Ve ne siete accorti, compagni! Siete voi che l’avete rinviata per tre anni consecutivi! Nel secondo documento c’è un silenzio assordante sulla questione.
I compagni erano così impegnati a fare declamazioni rivoluzionarie che quando nell’ottobre scorso la direzione dei Giovani Comunisti ha proposto l’ennesimo rinvio della Conferenza, si sono scordati di votare contro. Anzi, hanno proprio votato a favore del rinvio. Il terzo documento propone la via del decentramento per impedire che il prossimo Coordinamento Nazionale sia autoreferenziale. Crediamo non sia questa la soluzione. Il decentramento non è sinonimo di maggiore controllo dal basso. Si produrrebbero tanti piccoli coordinamenti autoreferenziali.
Per questo durante la Con-ferenza sarà necessario discutere anche regole democratiche chiare tra cui:
• possibilità di convocare la Conferenza Nazionale tramite raccolta di firme tra gli iscritti.
• i dibattiti del Coordinamento Nazionale devono essere pubblicati sul quotidiano del Partito
• dopo due anni il Coordi-namento Nazionale decade automaticamente. Nessuna sua decisione è più legittima
• Conferenze Nazionali dei Giovani Comunisti ogni due anni, come prevede lo Statuto.
La questione democratica è parte integrante della nostra battaglia politica per la trasformazione dei Giovani Comunisti in un’organizzazione che meriti di chiamarsi rivoluzionaria.
29/5/2002