Sebbene le ultime elezioni politiche in Grecia abbiano sancito il protagonismo a sinistra di Syriza e abbiano relegato il Kke a forza elettorale minore, il Partito comunista conserva ancora un ruolo importante nel quadro politico della sinistra greca, non fosse altro per il fatto che il Kke organizza ancora settori decisivi della classe operaia ellenica e la Kne è l’organizzazione giovanile più grande del paese. Per questo è interessante analizzare le tesi dell’ultimo congresso del partito che sembra segnare per certi versi delle svolte importanti rispetto alla linea politica precedente, ma anche delle inevitabili contraddizioni derivanti soprattutto dal perseguimento di una tattica incapace di dialogare con quei settori operai e giovanili (largamente maggioritari) che a tutt’oggi votano, si organizzano o si riconoscono in Syriza.
Gli assi fondamentali del congresso
Uno degli assi fondamentali del 19° congresso (svoltosi nell’aprile scorso) è stato l’abbandono della vecchia parola d’ordine di una fase intermedia di “governo popolare” (filolaikò stadio) in cui si prefigurava una gestione del capitalismo greco “in favore del popolo” prima di passare al socialismo e al potere operaio. Contemporaneamente sembra che anche una certa fraseologia nazionalista e patriottica sia stata abbandonata.
Quella dello stadio popolare intermedio era in sostanza una riedizione in salsa ellenica della teoria staliniana delle due fasi, secondo cui nei paesi arretrati era necessaria prima una fase di sviluppo capitalistico e solo in un lontano futuro sarebbe stata possibile la costruzione del socialismo. In Cina, il risultato di questo fu lo scioglimento del Pc nel Kuomintag nazionalista e il massacro degli operai di Canton, in Spagna la sconfitta della rivoluzione nel 1936.
Nel 1934 il Kke adottò ufficialmente lo slogan del governo democratico e antimperialista e fino all’ultimo congresso è stato ribadito più volte. Lo strumento cui giungere a questo governo ha cambiato nome di volta in volta: negli anni ’30 era il “fronte democratico-antifascista”, successivamente fu chiamato “fronte democratico-antimperialista”, negli anni ’70 si aggiunse a questa formula “l’anti-trust”, infine, col 15° congresso del 1996 divenne il “fronte democratico antimperialista e antimonopolista”.
Al di là dei nomi che assunsero, tutti questi “fronti” non furono che incarnazione del “fronte popolare”, ovvero dell’unità di partiti operai e borghesi “progressisti” che avrebbero dovuto governare la Grecia “in favore del popolo” prima di passare al socialismo. Questo fronte naturalmente prevedeva l’alleanza sociale tra il proletariato e altri settori schiacciati dal capitalismo (piccola borghesia urbana, contadini, ecc.). Tuttavia, il fatto che il fronte fosse “socialmente eterogeneo”, affermava il Kke, metteva in discussione la natura rivoluzionaria del suo programma, che infatti si risolveva in un pachetto di riforme avanzate ma che non ponevano la questione del potere operaio né mettevano in discussione la proprietà privata.
Pertanto il potere operaio veniva sostituito dal potere popolare, e così è stato anche durante la lotta impetuosa del popolo greco nei giorni di scontro più duri, in cui il Kke parlava di potere popolare e non di potere operaio. Nello stesso tempo il potere popolare invocato dal Kke non aveva nulla di internazionalista, ma anzi aveva caratteristiche nazionaliste e patriottiche.
Il 19° congresso introduce una novità importante: l’epoca che viviamo viene caratterizzata come l’epoca della rivoluzione e del socialismo e i fronti democratici vengono gettati a mare. Nella relazione della Papariga presentata al congresso si può leggere: “Il Kke, in quanto settore organizzato e avanzato della classe operaia, non nasconde che il suo obiettivo strategico è il socialismo-comunismo, il rovesciamento del potere borghese e la conquista del potere politico da parte della classe operaia”.
Sebbene il partito dichiari che l’abbandono delle due fasi risalga al 15° congresso, in realtà è solo con quello svolto nell’aprile di quest’anno che si dà un taglio netto alle vecchie concezioni.
I dirigenti del Kke cercano di giustificare una svolta che non è accompagnata da una forte autocritica e da una analisi profonda degli errori del gruppo dirigente, ed anzi tentano di collegare le attuali posizioni proposte al congresso con quelle del passato ricercandone la legittimità. Oggi si afferma che il fronte democratico deve prendere le forme dell’alleanza popolare con una chiara impostazione anticapitalista.
Limiti e contraddizioni
Dobbiamo accogliere questi cambiamenti con grande favore. Tuttavia, renderemmo un pessimo servizio alla classe operaia greca se fossimo gli apologeti della linea del Kke senza intravederne i limiti e le contraddizioni. Al congresso il gruppo dirigente del partito ha presentato una linea autoassolutoria rispetto al crollo elettorale adducendo motivi “oggettivi” ed “esogeni”, o al massimo ammettendo “errori organizzativi”.
Tuttavia, a conferma del fatto che siamo di fronte a una svolta, nonostante il congresso sia stato presentato come unitario, si è formata una opposizione di destra che ha tentato di difendere la vecchia posizione del fronte democratico antimperialista e antimonopolista. Opposizione che è stata prontamente tacitata.
Inoltre lo stesso cambio di dirigenza, con la destituzione di Aleka Papariga alla guida del partito da 22 anni e l’elezione di Koutsoumpas, segnano una volontà di cambiamento gettando frettolosamente le colpe della recente sconfitta elettorale sulle spalle della vecchia segretaria.
Tuttavia, i positivi cambiamenti di linea del partito vengono oscurati ancora una volta dalla linea settaria e di chiusura che lo contraddistingue da decenni.
In primo luogo rispetto all’alleanza popolare. Questa dovrebbe costituirsi attraverso le stesse organizzazioni di fronte guidate e promosse dal Kke, secondo la relazione al congresso della Papariga: “Oggi in Grecia vanno formandosi i germi di questa alleanza, nelle forma di Pame-Paseve-Pasy-Oge-Mas (rispettivamente: Fronte militante di tutti i lavoratori – il fronte del Kke nei sindacati; Movimento dei lavoratori autonomi e dei piccoli commercianti contro i monopoli; Movimento dei contadini; Federazione delle donne greche; Fronte militante studentesco)”. Questo significa che viene escluso qualsiasi accordo, pur avanzato, tra il Kke e le altre forze della sinistra, a cominciare da Syriza, rifiutando il concetto di fronte unico leninista, poiché, stando alle affermazioni della Papariga in un’intervista a Odigitis (giornale della Kne), le alleanze con la sinistra riformista farebbero arretrare le posizioni del Kke. Tuttavia gli eventi degli ultimi anni hanno dimostrato esattamente il contrario, poiché da un lato la tattica del partito ha diviso l’avanguardia comunista dall’insieme della classe, dall’altra ha rafforzato certe posizioni moderate di Syriza e indebolito il Kke.
In secondo luogo anche il giudizio sui movimenti di piazza che vengono ancora una volta bollati come piccolo borghesi. Ad esempio si gettano ombre sul movimento “Occupy” che, stando alle tesi del congresso, sarebbe stato sostenuto e incoraggiato (e forse anche orchestrato) dalla borghesia americana per deviare i settori operai.
Infine l’elezione di Koutsoumpas a segretario, presentato come l’uomo del cambiamento, in realtà non fa che confermare la linea di chiusura del partito. Koutsoumpas è un uomo dell’apparato, strenuo difensore della linea settaria del partito. Al congresso infatti è stato più volte acclamato come l’uomo dalle misure dure contro gli oppositori interni e dalla linea ferma in materia di alleanze. Tanto più che il nuovo statuto prevede misure ancor più dure che non lasciano spazio al dissenso.
Quanto vediamo nel Kke è frutto dei profondi cambiamenti nella società e nella coscienza di ampi settori operai greci. Da un lato, infatti, si abbandona definitivamente la linea delle due fasi prospettando direttamente l’idea della rivoluzione socialista, dall’altro, tuttavia, proprio perché le contraddizioni di classe attraversano anche il Kke, il gruppo dirigente applica una linea più dura in materia di disciplina interna e di alleanze pensando di preservarsi. Ancora una volta l’affermazione di Trotsky sul fatto che il settarismo di un gruppo non dimostra altro che la paura del proprio opportunismo si dimostra vera.
I militanti e i giovani del partito, proprio perché organici alla classe, non potranno non subire le pressioni più genuine verso l’unità dei partiti operai e un dibattito franco e aperto sulle posizioni del fronte unico dovrà imporsi nel partito, pena l’ulteriore isolamento e ridimensionamento del Kke.