Grandi speranze sono state suscitate, non solo in Grecia ma in tutta Europa, dalla vittoria elettorale di Syriza. Le masse greche avevano sostenuto con manifestazioni e presidi imponenti il governo Tsipras nelle sue trattative a Bruxelles . Il vento era cambiato e i lavoratori e i giovani greci appoggiavano nelle prime settimane con una percentuale dell’83 per cento il governo.
L’accordo tra l’Eurogruppo e la Grecia non ha rappresentato, purtroppo, l’attuazione del programma di Salonicco, ma la subordinazione del governo greco alle “tre istituzioni”, la nuova denominazione della Troika.
La lettera di Varoufakis
Il solo fatto che il governo abbia accettato la pratica umiliante, propria dei governi precedenti, di inviare il piano delle riforme ai creditori e subordinarne l’applicazione alla loro approvazione, è un segnale piuttosto chiaro. La lettera inviata da Varoufakis accetta pienamente le logiche che in campagna elettorale Syriza aveva detto di voler ribaltare.
Si accetta il principio della sostenibilità del debito e non c’è alcun impegno preciso sui criteri tramite i quali recuperare i crediti dello Stato.
Da qui ne consegue la necessità di “Identificare misure di risparmio della spesa attraverso una ‘spending review’ di ogni ministero” e la “revisione e controllo della spesa pubblica e sociale in tutti i settori”. La tassazione degli armatori (esentati dai tempi della dittatura dei colonnelli a qualunque tassazione sui profitti) annunciata da Varoufakis prima della trattativa, rimane una promessa.
Ciò a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, e soprattutto dall’inizio del 2015, è stata una vera e propria fuga di capitali: oltre 25 miliardi di euro sono fuggiti dalla Grecia in poco più di sette settimane, tre miliardi solo la settimana scorsa. I prestiti del fondo di emergenza della Bce sono in pratica serviti a coprire questi buchi!
Il controllo pubblico delle banche, previsto dal programma di fondazione del partito, è abbandonato. “Le banche opereranno sulla base di solide leggi commerciali e di mercato”, si legge nella lettera.
Verranno mantenute le privatizzazioni già concluse e quelle per cui è già stato emesso il bando pubblico di acquisto. Inoltre, non si escludono nuove privatizzazioni.
Il governo “si impegna a non ritirare le privatizzazioni già completate e a rispettare in base alla legge quelle per cui è stato lanciato il bando”. Opererà una “revisione di quelle non ancora avviate, in modo da massimizzare i benefici a lungo termine dello Stato”.
Si mantengono i contratti a tempo determinato per i disoccupati, comprese condizioni salariali e lavorative degradanti. Viene ritirato l’impegno a ripristinare il contratto collettivo nazionale di lavoro, così come viene rimandato a un tempo indefinito l’aumento del salario minimo.
Tutta la strategia del governo, secondo il quale si potevano trovare alleati fra i governi europei contro la Germania è clamorosamente fallita.
Il governo di Syriza ha accettato così, nella sostanza, le regole del gioco dettate dalla classe dominante. Varoufakis lo ha ribadito a Cernobbio: “Vogliamo ripagare non solo il valore nominale del debito, ma il valore attuale netto” (il manifesto, 13 marzo 2015). Non a caso, sempre nella riunione di Cernobbio, il Ministro delle finanze di Atene ha anche aperto alla possibilità di “rinviare il mantenimento delle promesse elettorali per la fiducia dei partners europei” (Reuters.com, 13 marzo). “Nell’arco della legislatura verrà rispettato”, aggiunge, ma il problema è che le masse greche non possono aspettare.
L’opposizione all’interno di Syriza
Così, l’accordo e la lettera all’Eurogruppo hanno suscitato una notevole opposizione all’interno di Syriza. Se la Tendenza comunista di Syriza ha sviluppato la critica più coerente, spiegando che è necessario rigettare in toto l’accordo e che per applicare il programma di Salonicco non bisogna chiedere il permesso dei creditori ed è necessaria una rottura con il capitalismo e con l’Unione europea, non è stata una voce isolata.
Il responsabile economico di Syriza, Yannis Milios, fino a poco fa esponente della maggioranza del partito, ha pubblicato una critica molto dura, dal titolo “L’accordo del 20 febbraio: un primo passo su un terreno scivoloso”.
Nel gruppo parlamentare di Syriza, dopo una riunione infuocata durata ben 12 ore, anche se non c’è stato un conteggio formale del voto, circa quaranta deputati si sono astenuti o hanno votato contro, mentre altri trenta non erano presenti in sala (il gruppo parlamentare è composto da 149 membri). Anche Zoe Kostantopoulou, presidente del parlamento, si è astenuta.
Nel comitato centrale tenutosi il 28 febbraio - 1 marzo, un emendamento della Piattaforma di sinistra, il principale gruppo di opposizione guidato dal Ministro Panagiotis Lafazanis, critico sull’accordo, ha raccolto 68 voti, il 41 per cento del totale. Anche il nuovo segretario del partito, Tassos Koronakis, è stato eletto con un margine di voti molto ristretto (102 voti su 199). Come ha scritto il quotidiano ToVima, il Comitato centrale ha “dato un segnale al governo”.
Anche se l’emendamento della Piattaforma di sinistra era parziale e non si esprimeva chiaramente per il rigetto dell’accordo, la Tendenza comunista lo ha appoggiato criticamente, non rinunciando allo stesso tempo a presentare una propria mozione. I compagni della Tendenza comunista hanno lanciato anche un appello alle altre correnti di sinistra per un’unita d’azione volta al cambiamento della linea compromissoria del partito.
Data questa notevole opposizione interna, il governo non chiederà al parlamento di votare l’accordo. Tsipras giustifica questa decisione spiegando che l’accordo sarebbe “un’estensione” di quelli già stipulati dai governi precedenti. È in realtà un’ammissione di come le critiche di chi vi si oppone siano giustificate: né la Troika, né l’austerità sono state “cacciate dal paese”, anzi.
Per quante concessioni, tuttavia, facciano Tsipras e Varoufakis, le “istituzioni”, vale a dire il capitalismo greco e internazionale, chiederà sempre di più.
Non c’è altra strada se non quella di chiudere la porta in faccia alla Troika e fidarsi solo delle masse che sono del tutto disposte, come denotano i sondaggi e le piazze piene, ad appoggiare una politica di cambiamento. Le prossime settimane saranno decisive per questo cambiamento di rotta, più che mai necessario.
*Pubblicato in Fm 271