All’estero, e anche in Italia, la notizia dell’attacco militare ha tolto quelli che potevano essere gli ultimi dubbi sull’inevitabilità della guerra. Il nostro giornale già mesi fa aveva escluso che la diplomazia potesse impedire il conflitto: gli Stati Uniti avevano già deciso la guerra.
La nascita e lo sviluppo delle mobilitazioni prima della guerra aveva per molti versi raggiunto un carattere sorprendente. Mai si era visto a livello mondiale un movimento contro la guerra così esteso e così partecipato prima dello scoppio di un conflitto. Soltanto in Italia il 15 febbraio erano state più di 3 milioni di persone a scendere in piazza contro l’ipotesi imminente della guerra all’Irak.
La radicalità espressa da questo movimento all’inizio non era elevata. C’era chi pensava che la guerra potesse essere evitata dall’azione degli ispettori delle Nazioni (dis)-Unite, c’era chi pensava che Saddam Hussein sotto pressione potesse accettare l’esilio e c’era chi pensava che comunque gli Usa non potessero lanciare un attacco unilaterale perché non potevano violare il diritto internazionale. Oggi sotto una pioggia di bombe le masse apprendono una dura lezione di diritto internazionale: “ la legge è come la tela del ragno, il piccolo rimane invischiato , il grande passa .”
Mentre la diplomazia cercava inutilmente di ricucire le spaccature fra gli interessi contrastanti dell’imperialismo americano e quello francese, i generali Usa preparavano nei dettagli l’invasione dell’Irak. Il capo degli ispettori Blix chiedeva altre settimane per procedere alle ispezioni e alle distruzioni di missili iracheni, il generale Franks ai confini dell’Irak avvertiva Bush che le tempeste di sabbia potevano ingolfare i carri armati e che per via del caldo la traversata dell’esercito Usa nel deserto iracheno non poteva essere rimandata.
Mercoledì notte: l’attacco
A poche ore dal lancio delle prime bombe a Melbourne in Australia 40mila persone scendono in piazza contro la guerra e il governo che partecipa con i propri soldati alle operazioni militari in Irak.
Anche in Indonesia e Pakistan la gente scende immediatamente per le strade per affermare che l’attacco all’Irak è vero “terrorismo americano”.
In Francia i manifestanti si danno appuntamento a Parigi. Fra le 50mila persone presenti si discute l’atteggiamento ipocrita di Chirac che parla di “guerra illegale” ma che contemporaneamente assicura agli Usa le basi. Come dire: aspettiamo di vedere come va la guerra, se fila tutto liscio ci butteremo come avvoltoi per dare il colpo di grazia all’esercito iracheno e per spartirci la torta del petrolio e della ricostruzione con gli americani.
Anche in Germania la protesta è diffusa. A Berlino oltre 100 mila persone si ritrovano sotto la Porta di Brandeburgo nei pressi dell’ambasciata americana. Anche in questo paese sono molti a ricredersi sul ruolo di Schroeder che, dopo mesi di “avvertimenti” a Bush, ha concesso l’utilizzo dello spazio aereo e delle basi militari.
Insomma chi nel movimento pacifista parlava dell’asse Franco-Tedesco come “carta vincente” per sconfiggere l’ipotesi di guerra in Irak dovrà ammettere che si sbagliava di grosso perchè chi si riempiva la bocca di appelli alla pace stava evidentemente… bleffando!!
Chi invece la guerra in Europa l’aveva annunciata da tempo era Blair.
In Inghilterra la stragrande maggioranza delle persone non vuole la guerra e si ritrova con un governo laburista determinato a fornire agli americani tutto l’appoggio militare possibile. La forte pressione dal basso si è espressa nella nascita di un’opposizione all’interno del partito laburista. Parecchi esponenti del governo hanno dato le dimissioni. Pare evidente che il destino di Blair verrà pesantemente segnato dall’appoggio a questa guerra. Non sono mancate anche in Inghilterra le manifestazioni di protesta alla notizia dell’attacco. Migliaia di persone hanno sfilato in corteo a Londra, dove già il 15 febbraio 2 milioni di persone avevano partecipato alla più grande manifestazione politica nella storia di questo paese.
La repressione butta benzina sul fuoco
A New York il corteo del 15 febbraio, che aveva visto la presenza di 500mila persone, in teoria era stato vietato e questo dimostra come la popolazione americana sia determinata a far sentire la propria voce. Nonostante il clima di patriottismo che le televisioni e la stampa diffondono fra la gente il movimento contro la guerra negli Stati Uniti è forte.
Gli studenti e i lavoratori che partecipano alle manifestazioni vengono scherniti come figli dei fiori, vedono le loro organizzazioni tradizionali come l’Afl-Cio (il principale sindacato americano che ha 13 milioni di iscritti) schierarsi con Bush. Nonostante ciò, nonostante le difficoltà fra cui un eccessiva frammentazione organizzativa delle strutture contro la guerra, migliaia di americani si sono opposti coraggiosamente a questa ennesima impresa dell’imperialismo Usa. Lo stato americano sta provando a reprimere duramente le manifestazioni e i presidi contro la guerra. Venerdì 21 marzo nelle manifestazioni ci sono stati oltre 1.000 arresti a San Francisco e altri 122 fermi a Pittsburgh. Nel giro di poche ore molte persone negli Usa hanno tratto grossi insegnamenti sul ruolo reazionario e conservatore dello stato borghese. Il movimento non si fermerà, anzi queste azioni repressive evidenziano verso chi il movimento deve rivolgere le proprie ire.
Il problema è in alto. Il nemico è in casa propria !
Dagli Usa al Medio Oriente cacciamo il governo !
Che la guerra potesse destabilizzare l’intero Medio Oriente lo ammetteva sui giornali anche la borghesia europea. Il pericolo di instabilità politica che la guerra può provocare nella regione è concreto. Del resto dietro le rimostranze di Chirac per lo scoppio della guerra c’erano proprio le preoccupazioni delle multinazionali francesi timorose di perdere legami politici e commerciali con i regimi arabi reazionari nella regione.
Le notizie che arrivano dal Medio Oriente dopo lo scoppio della guerra infatti ci parlano di manifestazioni di massa contro l’attacco imperialista. In Egitto gli studenti dell’università del Cairo, alla testa del movimento, hanno organizzato un corteo nei pressi dell’ambasciata americana al grido di “ Bush criminale di guerra”. Le manifestazioni si sono contraddistinte per una repressione brutale da parte dello stato egiziano che tra giovedì 21 e venerdì 22 Marzo ha provocato oltre 300 feriti fra i manifestanti. In Egitto la gioventù si sta spostando a sinistra e nei cortei i giovani hanno urlato slogan contro il governo egiziano “schiavo dell’America e del dollaro”.
In Cisgiordania e nella striscia di Gaza il popolo palestinese è tornato nuovamente in piazza contro la guerra in Irak. All’interno dei cortei si urla contro l’America ed Israele che in questi giorni sta intensificando le incursioni nei territori con i carri armati. La deportazione di massa è uno scenario tragico che ricorre nelle conversazioni in strada, nei negozi di alimentari e nelle case dei palestinesi e che spingerà la popolazione nuovamente alla lotta.
A Sanàa nello Yemen, la polizia è intervenuta violentemente contro la folla che voleva raggiungere l’ambasciata americana provocando la morte di 4 persone. I manifestanti gridavano slogan contro Stati Uniti ed Israele e contro i dirigenti arabi.
Gli Stati Uniti con questa guerra hanno innescato una bomba ad orologeria sotto l’intero pianeta. Anche se dovessero vincere, l’odio che hanno seminato fra le masse esploderà contro l’imperialismo. Dagli Stati Uniti al Medio Oriente le nuove generazioni cercheranno un’alternativa al sistema capitalista che produce guerra, morte, oppressione ed ignoranza.
Davanti ad avvenimenti così tragici anche qui in Italia migliaia di persone rifiutano di stare a guardare passivamente il massacro degli iracheni. La favola della “guerra lontana” non fa presa e la partecipazione attiva delle masse nelle iniziative di questi giorni ne è la dimostrazione.
Questo sentimento comune e diffuso è ben sintetizzato da un vecchio slogan inglese che si è visto recentemente ad una manifestazione e che dice “If you tollerate this then your children could be next” (se accetti tutto questo tuo figlio potrebbe essere il prossimo).
(22 marzo 2003)