Il finimondo che si è scatenato attorno all’episodio di Tor di Quinto ha sprofondato i giornali e le televisioni di questo Paese, nelle giornate del ponte di Ognissanti, in un abisso di razzismo, intolleranza, ignoranza e di irrazionali divisioni su basi razziali e nazionali dispiegate a tutto spiano.
Tanto si è speculato sul fatto, che sembra qui un esercizio inutile entrare nel merito di quanto successo Mercoledì 31 Ottobre alla stazione di Tor di Quinto.
Il Coordinamento delle donne della CGIL denunciava da anni la pericolosità di quella fermata come di tante altre in periferia a Roma dove, particolarmente le donne, si trovano esposte al rischio di subire violenze mentre raggiungono casa di ritorno dal lavoro. La richiesta di migliorare l’illuminazione fatiscente del tratto di strada che si percorre all’uscita della stazione di Tor di Quinto, era caduta nel vuoto.
A queste denunce, e più in generale al tema della sicurezza delle donne, non si è mai interessato nessuno. Ciò che premeva veramente era solo trovare un pretesto per la vergognosa campagna razzista che si è scatenata dalla sera stessa di mercoledì scorso.
Infatti si è scatenata immediatamente la propaganda di Tv e giornali:il colpevole è un romeno, quindi tutti i rumeni che invadono il nostro paese, sono criminali. La testimone che ha denunciato l’omicida è romena anche lei, ma questo cade nel dimenticatoio.
La propaganda reazionaria di Tv e giornali
E, negli episodi accaduti negli ultimi tempi, tra i responsabili si può trovare di tutto, compresi tantissimi italiani. Inoltre questi episodi non sono affatto in aumento, come si vorrebbe far credere per creare la correlazione con l’afflusso di immigrati in Italia, come spiegato da Liberazione del 3 Novembre con una indagine (l’unica analisi seria uscita in giorni in cui sono state sparate ai quattro venti cifre campate in aria) dalla quale emerge inoltre come la maggior parte delle violenze alle donne avvenga all’interno delle mura di casa.
Il Messaggero, quotidiano molto popolare a Roma, è uscito con un titolo a nove colonne con scritto “ORRORE A ROMA”; il Corriere della Sera, nell’editoriale di giovedì Primo novembre, si è spinto al punto di paventare (o auspicare?) che le farneticanti parole d’ordine di Forza Nuova potessero spingere alla mobilitazione i cittadini romani; Amato, tanto per fomentare ancora di più, ha vagheggiato di migliaia di persone pronte ad attaccare il campo di Tor di Quinto all’uscita dal derby di mercoledì sera.
Un clima deliberatamente esagerato all’inverosimile, per invocare facilmente una situazione di emergenza nazionale e aprire la strada al decreto sulle espulsioni immediate, approvato nella stessa giornata di Mercoledì, con una dinamica che merita un approfondimento.
Il primo a porre la questione dell’approvazione immediata di un decreto ad hoc è stato Veltroni. Il neo-segretario del Partito Democratico non aspettava altro che l’episodio di Tor di Quinto per passare all’attacco.
Settimane fa era volato a Bucarest per sollevare la questione degli ingressi dei cittadini rumeni in Italia, senza dirlo mai esplicitamente ma facendolo intuire, di puntare alla possibilità di reintrodurre il visto per i cittadini provenienti dalla Romania.
Veltroni naturalmente sarà andato anche a tutelare gli interessi dei suoi grandi elettori, tra cui imprese che, con i loro appalti in Romania, sfruttano una situazione dove, in alcuni settori, il salario medio è 1/10 di quello italiano. Una situazione che costringe tantissimi lavoratori rumeni ad emigrare verso il nostro Paese, dove trovano lavoro, nella maggior parte dei casi, al nero, sottopagati, in cantieri privi delle minime misure di sicurezza.
L’episodio di Tor di Quinto ha servito su un piatto d’argento l’occasione che si aspettava da tempo per dare una spallata alle resistenze che il pacchetto sicurezza ancora incontrava nelle commissioni parlamentari e passare all’approvazione immediata.
Si è iniziato a partire dalla norma più scandalosa, quella che assegna ai Prefetti la facoltà di espellere immediatamente un cittadino immigrato per motivi di “pubblica sicurezza”. Questa parte viene di fatto stralciata dall’insieme delle norme contenute all’interno del pacchetto e, con una procedura del tutto eccezionale, resa immediatamente operativa, dopo una sbrigativa consultazione telefonica tra tutti i ministri. Consultazione nella quale si riesce a strappare anche il sì del ministro di Rifondazione, Ferrero. Un sì che ha, e avrà in futuro, serie conseguenze politiche.
Un minuto dopo che il Prodi firmava il decreto delle espulsioni facili ecco la sequenza degli avvenimenti. A partire dalla sera stessa lo Stato sferra la sua rappresaglia contro le 78 famiglie di Tor di Quinto sgombrate nottetempo con la forza.
Il giorno dopo, a Tor Bella Monaca, un quartiere nella periferia a sud-est di Roma, un gruppo di fascisti metteva in pratica i suggerimenti che da più parti erano arrivati, e di cui comunque non avevano bisogno, e aggrediscono un gruppo di lavoratori rumeni all’uscita da un supermercato.
Il ruolo di Veltroni e del nuovo Pd
Nel frattempo, decine di Prefetti si sentivano finalmente autorizzati, parole testuali, “ad aprire decine di fascicoli sui reati commessi negli scorsi anni da cittadini immigrati”, ovvero si apprestano ad utilizzare la mano pesante e ad espellere dall’Italia intere famiglie di immigrati ree solo di aver un loro componente che in passato si è reso responsabile anche solo di un borseggio su un autobus.
Il Decreto del Governo, infatti, inasprisce il Decreto Legge promulgato per accogliere le direttive europee in materia e sancisce l’allontanamento immediato, in casi di emergenza e per ragioni di pubblica sicurezza, delegandolo ai Prefetti. Inoltre, nei casi in cui l’allontanamento avvenga per mancanza di mezzi di sussistenza (circostanza già prevista dalle direttive europee e dal precedente Decreto che le attuava), il cittadino immigrato deve certificare al Consolato del proprio Paese l’avvenuto allontanamento.
Si parla ora di decine di migliaia di espulsioni, con Alleanza Nazionale che chiede l’automatismo nell’allontanamento immediato, a prescindere dal concorrere di cause di emergenza: in pratica la richiesta di deportazioni di massa.
Una barbarie senza fine. Che ci troviamo a fronteggiare in condizioni politiche precarie.
Il clima di emergenza creatosi mercoledì e che è stato addotto come scusa per spiegare il consenso dato al Decreto non può essere una giustificazione e, semmai, rappresenta un aggravante. È proprio nei momenti in cui la borghesia scatena la sua vena reazionaria, quando il Rutelli di turno parla di “rischio di sfaldamento per la Repubblica”, che i comunisti debbono saper mantenere ferma la barra dell’indipendenza politica (se l’indipendenza politica riuscissimo a recuperarla…) e respingere qualsiasi tentativo di ricatto.
Il sì strappato a Ferrero, però, non è l’errore di un singolo, quanto piuttosto l’ennesimo scivolone del nostro partito nella sua esperienza di governo con Prodi; è figlio di un gigantesco equivoco che si è alimentato fin qui: che rimanere nel governo potesse contribuire a spostarne a sinistra l’asse, che potesse servire a qualcosa, quando è sempre più chiaro che serve solo a comprometterci sempre di più.
Oggi ci si pente di quel voto e si dice, nelle parole di Russo Soena, che il decreto è inaccettabile. Ma la logica che passa è emendativa, qualche ritocco qua e là, e poi il decreto si potrà approvare. Questo è il senso delle parole di Nichi Vendola che, in un’intervista al Manifesto di venerdì 2 novembre, ha confessato che, pure dopo aver provato a modificarlo, il pacchetto sicurezza comunque lo voterebbe.
Non esistono, adesso, ricette facili per trovare il bandolo della matassa di questa situazione. Anni di crescente presenza nelle giunte di centrosinistra e nel governo Prodi e mancata presenza nei luoghi di lavoro, di studio e nei quartieri popolari hanno eroso la presenza del partito nelle periferie delle grandi città e aperto la strada alla destra.
La collaborazione al governo con il Partito Democratico di Veltroni deve terminare oggi stesso, questa è la condizione per poter ripartire collocandosi all’opposizione.
Il Prc a Roma
A Roma il partito è oggettivamente un pugile suonato. La destra di Alemanno ringhia e affila le armi in vista del Consiglio Straordinario del 9 Novembre. Rimanere ancora nella giunta Veltroni ci trascina sempre più a fondo, in un dibattito surreale dove ci troviamo a concordare sulla “fermezza” da adottare nelle politiche sull’immigrazione, ad accettare il terreno scivoloso del Consiglio Straordinario dove la destra di Alemanno andrà all’attacco e dove Veltroni si prepara ad accogliere molte delle sue richieste, con la logica di inseguirla sul suo terreno privilegiato. Limitare i danni che usciranno dal Consiglio Straordinario di Roma, con una giunta pronta a soccombere al delirio razzista di Alleanza Nazionale, sarà pressoché impossibile.
Occorre uscire dalla logica emendativa che ci fa ripiegare su posizioni di retroguardia, senza avere nemmeno la certezza di riuscire a mantenerle.
A Roma ci si sta battendo per i piccoli campi, contro i megacampi che vorrebbe costruire Veltroni, si sta diffondendo l’idea che “comunque bisogna fare qualcosa” e tra un po’ verrà promulgato il “decalogo della sicurezza democratico”.
È surreale che si faccia questo dibattito sull’emergenza immigrazione a Roma, una città che ha le risorse per accogliere il doppio degli immigrati che ci sono adesso, a patto però di scontrarsi con gli interessi dei grandi palazzinari amici di Veltroni, i cui cantieri fioriscono all’ombra della legge 30 quando non sono dominati dal lavoro nero. Dei palazzinari delle migliaia di appartamenti sfitti che, se requisiti, potrebbero offrire l’unica soluzione degna di una vita decente che si possa offrire agli immigrati ed ai lavoratori italiani.
La vera emergenza è questa: la mancanza di case, di lavoro, di una sanità ed un’istruzione degne di questo nome. I responsabili del peggioramento delle condizioni di vita di milioni di lavoratori e di loro famiglie non è un immigrato romeno o albanese ma i grandi finanzieri, i palazzinari, i padroni delle città. Ci serve un partito ed una sinistra che riparta dalle lotte e che non soccomba ai diktat dei “poteri forti” rappresentati da Prodi e Veltroni.