Di fronte alla massiccia campagna razzista e securitaria lanciata da mass media e padronato e fatta propria anche dal neonato Partito Democratico, la redazione di Falcemartello ha pubblicato un nuovo opuscolo che cerca di smontare i luoghi comuni della propaganda razzista e di fornire un programma di lotta per l'unità di lavoratori italiani e immigrati.
Di seguito potete leggere l'articolo introduttivo
---
Un’arma dei padroni per dividere i lavoratori
Il fenomeno del razzismo, legato a doppio filo all’aumento dell’immigrazione straniera in Italia, ha assunto dimensioni significative negli ultimi anni. È una questione che deve essere affrontata con la dovuta serietà dal movimento operaio e dai propri attivisti, pena il possibile isolamento nei confronti della sinistra ad opera della propaganda reazionaria fra ampi strati della società.
Il razzismo si deve combattere nella pratica ma anche dal punto di vista ideologico. In questo opuscolo troverete una risposta alle argomentazioni razziste più comuni, un’analisi ed un programma per rispondere alla propaganda razzista, conquistare nuovi diritti per i lavoratori immigrati e le loro famiglie e difendere gli interessi dell’insieme della classe operaia, nonché esempi pratici di mobilitazioni avvenute in questi ultimi anni.
Quando tra gli esperti ci si confronta sulle cause del razzismo, quasi sempre si addebita il fenomeno a questioni culturali. In poche parole il razzismo sarebbe generato dal razzismo. Pensiamo che le ragioni siano ben altre ed affondano nel tipo di sistema economico in cui viviamo, il capitalismo.
La comparsa di teorie che proclamavano una parte del genere umano superiore all’altra per ragioni di razza risale all’ottocento, il periodo di massimo splendore del capitalismo. Non solo si doveva trovare una giustificazione all’utilizzo della schiavitù, ancora in voga negli Stati Uniti, ma in quell’epoca iniziavano movimenti migratori di grandi dimensioni fra i continenti. Per la prima volta milioni di persone non si trasferivano da un paese all’altro a causa di calamità naturali o guerre ma col principale scopo di cercare un lavoro. Questo fu anche l’esperienza di milioni di italiani che sono emigrati nelle Americhe o in altri paesi europei durante la seconda metà del diciannovesimo secolo e per gran parte di quello scorso.
Il razzismo si è quindi sviluppato col capitalismo. Lo schiavismo è servito negli Stati Uniti per accumulare i capitali necessari per lo sviluppo di un’economia moderna. Bisognava spiegare perché i neri erano inferiori ai bianchi e quindi la loro condizione di schiavi fosse del tutto naturale.
Allo stesso tempo il capitalismo doveva giustificare perché milioni di diseredati provenienti da altri paesi erano destinati ad occupare i posti più umili della scala sociale. Il trattamento riservato agli italiani emigrati negli Stati Uniti o in Germania è del tutto simile a quello a cui sono sottoposti gli immigrati oggi nella nostra penisola.
Il razzismo inoltre serviva, e serve ancora oggi, per dividere i lavoratori e tutti gli sfruttati. La strategia è quella di spiegare che la contraddizione fondamentale è quella razziale e non di classe, che il lavoratore bianco, o anglosassone, ha molto più in comune con il capitalista del suo stesso colore o nazionalità piuttosto che con il lavoratore nero, italiano o polacco.
Queste convinzioni spesso radicate, che beninteso non affondano le sue origini nella natura innata dell’uomo ma in una precisa propaganda culturale da parte della classe dominante, hanno rappresentato e rappresentano tuttora uno strumento potente per il mantenimento dello status quo. A questa propaganda razzista bisogna contrapporre un’offensiva del movimento operaio, dal punto di vista delle idee e del programma.
Razze inferiori?
In primo luogo non esistono differenti razze all’interno del genere umano. La razza è una e le differenze genetiche fra i vari gruppi etnici, tra bianchi e neri ad esempio, sono insignificanti, anzi si sono trovate maggiori differenze all’interno dello stesso gruppo etnico che fra gruppi differenti.
Nell’ottocento le teorie scientifiche che cercavano di fornire basi alla propaganda razzista erano le più varie. Le più grossolane, come la misurazione della circonferenza cranica, da tempo non hanno più seguito, altre hanno resistito più a lungo.
Ripetutamente infatti alcuni scienziati hanno cercato di spiegare come il quoziente d’intelligenza di alcune etnie sia inferiore a quello di altre. Clamorose le recenti dichiarazioni di James Watson, premio Nobel e scopritore della struttura del Dna. “I neri sono meno intelligenti dei bianchi”, ha affermato in un’intervista al quotidiano l’Independent.
Queste posizioni sono alla base di tutti i metodi per calcolare l’intelligenza attraverso il famoso Quoziente (QI). Il problema è che una caratteristica così complessa come l’intelligenza non può essere misurata. Ne esistono di diversi tipi (logico-matematica, linguistica, artistica, ecc) ed è allo stesso tempo molto influenzata dal sistema sociale e culturale dove ognuno di noi vive.
Sulla base di questi test dall’inizio del secolo ventesimo si cercò di dare una base “scientifica” alla segregazione tra bianchi e neri negli Stati Uniti. La giustificazione era appunto che gli americani neri in media avevano un QI di quindici punti inferiore a quello degli americani bianchi. Non potè che suscitare grande imbarazzo tra i sostenitori della superiorità razziale ciò che successe quando la sperimentazione dello stesso test avvenne sui giapponesi, negli anni sessanta. Questi risultarono di undici punti più intelligenti degli americani bianchi. La ragione è da ricercare nella qualità dell’istruzione giapponese, decisamente superiore a quella degli Usa.
Negli ultimi decenni i passi avanti fatti nel campo della genetica sono stati utilizzati a piene mani dai reazionari di tutto il mondo. Per questi ultimi esiste il gene della criminalità, dell’aggressività o dell’omosessualità. I geni spiegherebbero tutto e la vita di ogni individuo sarebbe predeterminata da essi. È una spiegazione molto comoda per mantenere lo status quo. Il ruolo determinante giocato dall’ambiente e dalla società in cui ciascuno di noi vive per questi scienziati è del tutto secondario. Ma allo stesso tempo è un ragionamento completamente errato.
Non è un caso, infatti, che la criminalità sia più elevata in quei paesi, come il Brasile ed il Sudafrica, dove sono più grandi anche le differenze sociali. Brasile e Sudafrica sono infatti rispettivamente terzi e quarti nella classifica dei paesi con le più grosse disuguaglianze per quanto riguarda il reddito procapite nel 2005, superate solo da due paesi africani, Sierra Leone e Repubblica Centraficana. E, guarda caso, Brasile e Sudafrica sono anche luoghi in cui il razzismo nei confronti della gente di colore è assai elevato.
Indagare a fondo sulle cause sociali che determinano la criminalità e la violenza sarebbe però troppo rischioso per la classe dominante. È meglio insistere sui “luoghi comuni”, luoghi comuni che essa stessa ha tuttavia creato.
Il ruolo dell’ideologia dominante
L’ideologia dominante è sempre, in una società divisa in classi, quella della classe dominante.
Tale ideologia contribuisce a creare anche i famosi luoghi comuni (da quelli innocui ed anche divertenti che i popoli latini siano grandi amatori fino a quelli più pericolosi come che i rumeni o i maghrebini siano tutti delinquenti).
Le idee della classe dominante sono riuscite a farsi largo anche grazie all’insicurezza che pervade in modo crescente la società italiana negli ultimi anni.
Quest’insicurezza ha basi molto materiali: sono il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie e l’incertezza riguardo il futuro. In Italia è sempre più difficile trovare un lavoro stabile, una casa ad un affitto equo, la sanità e l’istruzione peggiorano giorno dopo giorno. La crisi del capitalismo italiano ha colpito duramente milioni di persone. I salari italiani sono fra i più bassi d’Europa, l’edilizia popolare è praticamente inesistente. La privatizzazione dei servizi sociali ha prodotto effetti devastanti per le liste di attese negli ospedali, i posti negli asili nido, l’accesso alla scuola ed all’università.
Ma la crisi del capitalismo italiano è parte della crisi del capitalismo mondiale, e gli effetti in altre parti del globo sono ancora più devastanti. Secondo un rapporto della Banca mondiale del novembre 2006, tre miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno, mentre lo 0,13% della popolazione mondiale controllava nel 2004 il 25% delle risorse del pianeta. E queste disparità continuano a crescere: se nel 1960 il 20% della popolazione che risiedeva nella nazioni più ricche aveva un reddito 20 volte superiore del 20% più povero, nel 1997 il rapporto era arrivato a 74 volte.
Viviamo in un mondo dove regna la disuguaglianza, e tale disuguaglianza è generata dalla logica del profitto, se, come ci spiega sempre il rapporto della Banca mondiale, basterebbe l’un per cento di queste risorse per sradicare definitivamente l’analfabetismo dalla faccia della terra.
Come stupirsi quindi del fatto che milioni di persone emigrino dai propri paesi in una situazione del genere e la pressione di milioni di disperati verso i paesi dell’Europa occidentale o dell’America del nord aumenti costantemente?
Questa fuga dalla miseria (ed anche dalle guerre e dai conflitti armati) non può diminuire finchè esistono le leggi del mercato e della competizione che spingono al ribasso dei salari ed all’aumento dello sfruttamento. Prendiamo l’esempio della Romania: gli stipendi oscillano tra i duecento ed i seicento euro; lo stipendio di un muratore rumeno è un quinto di quello di un muratore italiano. Gli imprenditori italiani possiedono circa 22mila imprese in Romania che danno lavoro ad un milione di persone. È piuttosto evidente chi costringa centinaia di migliaia di rumeni ad emigrare in Italia, nella loro naturale ricerca di una vita migliore.
Non c’è modo di fermare in maniera definitiva tale afflusso. Negli Stati Uniti stanno innalzando un muro di oltre mille chilometri alla frontiera col Messico, ma questo non fermerà i latinos dalla ricerca di un futuro migliore negli Stati Uniti.
Le tempeste nel Mediterraneo non dissuadono migliaia di immigrati a sacrificare i risparmi di una vita e rischiare un possibile naufragio per approdare sulle coste della Sicilia o della Calabria.
A chi dice che gli immigrati vengono a rubarci il lavoro, abbiamo il dovere di spiegare che una fabbrica chiude non perché c’è l’immigrato ma perché al padronato conviene così, o perché le leggi della concorrenza capitalista hanno messo fuori mercato quello stabilimento. Se la produzione viene delocalizzata in Polonia o in Cina è perché l’imprenditore brianzolo o pugliese ha deciso così. Ha deciso insieme agli altri imprenditori che investono in quei paesi di mantenere i salari così bassi per mantenere alti i profitti. Il problema non è del colore della pelle o della lingua che si parla o della religione che si professa, ma degli interessi di classe contrapposti.
La soluzione non risiede nel respingere gli immigrati alle frontiere, ma nell’unità di tutti gli sfruttati contro le cause dello sfruttamento.
Emergenza criminalità?
I benpensanti ci dicono che il problema non sta tanto nel numero dei cittadini extracomunitari che risiedono in Italia, ma nel fatto che delinquono. Da quando ci sono tutti questi immigrati si ha paura ad uscire di casa, commentano. D’altra parte Tv e giornali sono pieni dei delitti più efferati compiuti da gente dai nomi così strani o dal colore della pelle così diverso dal nostro… insomma è proprio un’emergenza!
Analizzando con attenzione i dati la realtà è un po’ diversa.
Il Ministero dell’Interno ha presentato nel giugno del 2007 uno studio molto accurato sull’andamento generale della criminalità. L’indagine copre uno spettro di tempo piuttosto lungo. Alcuni dati statistici risalgono agli anni sessanta mentre altri partono dagli anni ottanta.
Gli omicidi sono in netto e costante calo, nel 2005-2006 ne sono stati commessi in Italia il numero più basso degli ultimi trent’anni. Sono stati 621 nel 2006, contro gli oltre 1600 del 1991. State sicuri però che non mancheranno mai nei titoli dei telegiornali e dei quotidiani…
Gli stupri e le violenze alle donne ed ai minori sono un problema gravissimo, ma perché non rivelare che i tre quarti di essi vengono commessi all’interno del nucleo familiare? L’informazione si concentra su quelli compiuti da estranei, che sono solo il 3,5% del totale, e tra questi grande spazio è dedicato alla “belva” albanese o romena di turno.
I furti e le rapine hanno subito una forte crescita fino agli anni novanta, per poi mantenersi su un livello sostanzialmente stabile. Il numero totale dei reati non è affatto aumentato da quando ci sono più immigrati in Italia e gli immigrati regolari delinquono a livello percentuale in maniera simile agli italiani. Come spiega il rapporto del Ministero dell’Interno:
“Nel complesso gli stranieri regolari denunciati sono stati nel 2006 quasi il 6% dei denunciati in Italia. E gli stranieri regolari sono poco meno del 5% della popolazione residente. (…) Del resto la quota di stranieri regolari denunciati sul totale degli stranieri regolari in Italia si ferma al 2% circa.”
Il discorso cambia quando parliamo degli immigrati irregolari: questi hanno compiuto nel 2006 il 68% dei “furti con destrezza” o il 45% delle “rapine in pubblica via”. Il rapporto sfata anche un luogo comune, che gli immigrati irregolari siano un numero enorme, simile a quello dei regolari. In realtà, spiega il rapporto del ministero, “non hanno mai superato il 15% delle presenze regolari”. La Caritas calcola che, con l’annessione di Bulgaria e Romania nell’Ue, oggi non superino le 100mila unità.
Il dato sulla criminalità fra i “clandestini” comunque non sorprende: fra gli strati più emarginati della società si sono sempre concentrati gli atti di delinquenza.
Tale condizione è però “congenita”, dovuta al fatto di non essere italiani? Certamente no! È il frutto di precise leggi, adottate dall’inizio degli anni novanta, che hanno diviso in maniera artificiale gli immigrati regolari da quelli clandestini ed hanno costretto questi ultimi in uno stato di totale precarietà ed emarginazione.
Ma, dicevamo in precedenza, perché perdere tempo prezioso ad illustrare queste cifre? Molto più semplice e funzionale ad una precisa strategia, lanciare una campagna indiscriminata antiimmigrati, su cui riversare tutte le frustrazioni accumulate in questa società così alienante. Ieri i criminali erano i marocchini, prima c’erano gli albanesi, oggi sono i romeni. Queste campagne a mezzo stampa e TV, hanno il compito di fare dimenticare presto i problemi reali: la casa, il lavoro, lo stato sociale.
Oggi addirittura la presenza di lavavetri agli incroci delle nostre strade è diventata un emergenza ed una questione di ordine pubblico: bisogna sgominare il “racket” che domina questa “lucrosa” attività, quando invece il vero racket è quello creato dalla mafia o dalla ndrangheta che gestiscono le economie di intere regioni come Calabria o Sicilia.
Molto meglio per i mass media cercare di nascondere la vera emergenza riguardante l’immigrazione: le storie tragiche di decine e decine di migliaia di immigrati che cercando con ogni mezzo di giungere in Italia ed in Europa, vengono inghiottiti dal Mare Mediterraneo e lasciati alla mercè di commercianti di uomini senza scrupoli. Ricordiamo alcune cifre. Dal 1988 al 2006, 5.544 morti documentate, tra cui si contano 1.803 dispersi. Nel Mar Mediterraneo sono annegate 4.363 persone (la Stampa, 16 luglio 2007). Una vera e propria strage, e queste sono solo le morti certe. Chissà quanti disgraziati giacciono in fondo al mare senza nessuno che ne ricerchi nemmeno la salma…
Dalla legge Martelli alla Bossi-Fini
La sicurezza delle frontiere dell’Unione Europea viene prima delle vite umane. Abbiamo leggi simili in ogni paesi dell’Ue, basate sul trattato di Shengen che intende fare dell’Europa una vera e propria fortezza. In Italia dalla Legge Martelli, passando alla Turco-Napolitano per finire alla Bossi-Fini, ci siamo ormai abituati ai flussi (cioè alle quote di immigrati che ogni anno possono entrare nel paese), alle espulsioni ed alle sanatorie, che regolarizzano chi era entrato clandestinamente.
Tutte queste leggi partono da un presupposto: che possono entrare tanti immigrati quanti ne servono alle aziende. Questi sono gli immigrati buoni che possono restare e che servono a Confindustria, sempre pronta a non mostrare la mano troppa dura verso i “bravi lavoratori che fanno quello che gli italiani non vogliono fare”: sono considerati docili, sempre pronti a fare ore di straordinario.
Gli altri si arrangino, “non possiamo mica ospitare tutti”, possono sempre trovare lavoro in nero (nelle campagne della Campania o della Puglia i romeni sono molto apprezzati), o essere impiegati come manovalanza per la criminalità più o meno organizzata.
È nell’interesse dei padroni costringere centinaia di migliaia di persone a vivere al ricatto della clandestinità. Questo punta a rendere la condizione degli immigrati regolari ancora più ricattabile, in una corsa al riduzione dei diritti elementari che alla fine coinvolge anche gli italiani e che, nelle intenzioni del padronato e soprattutto delle forze di destra, non dovrebbe conoscere limiti.
La legge Bossi-Fini, che regolamenta ancora la vita degli immigrati in Italia è emblematica a questo avviso.
Con tale legge si sancisce lo sfruttamento dei lavoratori immigrati, assicurando alle aziende una manovalanza a basso costo e senza diritti. Dal 2002 infatti è possibile entrare e stabilirsi in Italia solo se si ha un contratto di lavoro. Viene istituito uno sportello unico per l’immigrazione che svolge anche funzione di ufficio di collocamento: chi necessita di manodopera straniera si reca presso questo ufficio che verifica che non ci siano italiani disposti a trasferirsi per quel lavoro e concede il nulla osta per giungere in Italia legalmente. Il permesso di soggiorno così faticosamente ottenuto vale un anno per i contratti a tempo determinato, due anni per i contratti a tempo indeterminato e nove mesi per i contratti stagionali. Prima, esclusi gli stagionali, valeva sempre due anni.
Chi si trova in Italia senza permesso di soggiorno viene spedito nei centri di permanenza temporanea (Cpt) già istituiti dalla legge Turco-Napolitano, varata dal primo governo Prodi, dove può rimanere dai 30 ai 60 giorni. Se tenta di rientrare in Italia può essere arrestato e condannato ad una pena da uno a quattro anni.
Questo sistema rende ancora più complicato, se non quasi impossibile, ottenere il permesso di soggiorno e non è servito d’altra parte a fermare l’afflusso di “clandestini”, solo nel 2006 ne sono stati respinti oltre 124mila, un numero in lieve ma costante aumento dal 2002. Le sanatorie tendono a ridurre per un periodo il problema, che poi si ripresenta puntualmente.
Come abbiamo spiegato il fenomeno immigrazione non si può fermare, perché legato a doppio filo con la natura di questo sistema economico.
Ed infatti gli stranieri in Italia sono e saranno una presenza sempre più in aumento. Sono ad oggi 3 milioni e 690 mila, secondo l’ultimo rapporto della Caritas. Più di due milioni di essi lavorano, contribuiendo per il 6,1% al Prodotto interno lordo italiano. Fini e Calderoli dovrebbero prestare attenzione a queste cifre, quando parlano di voler “tutelare i cittadini che pagano le tasse”, visto che gli immigrati pagano 1,87 miliardi di tasse attraverso 2milioni e 300mila dichiarazioni dei redditi.
Gli stranieri costituiscono una parte importante della classe operaia in Italia. Potrebbero rappresentare secondo Unioncamere il 27% del totale delle assunzioni nel 2007 e in alcuni settori, come l’edilizia e l’assistenza socio-sanitaria sono ormai insostituibili. Quello che è ancor più significativa è la crescita della seconda generazione di immigrati, quelli nati in Italia: 57mila solo l’anno scorso.
La legge Bossi-Fini con le sue rigidità ed i flussi di entrata limitati ha creato problemi agli imprenditori italiani, le cui richieste di manodopera sono superiori ai limiti razzisti della legge del governo Berlusconi. Per rispondere a queste esigenze il governo Prodi ha varato un disegno di legge, denominato Amato-Ferrero, di cui parliamo approfonditamente in un altro articolo. Ci basti ricordare qui che questa legge è totalmente funzionale agli interessi dell’impresa, ribadendo la logica dei flussi di entrata e confermando la logica della permanenza in Italia legata al lavoro. Nella stessa logica continueranno ad esistere i Centri di permanenza temporanea.
La logica della sinistra all’interno del governo, di cui Ferrero è uno dei principali esponenti, è stata quella di migliorare la normativa vigente senza contestarne l’ispirazione di fondo. Con un’impostazione del genere non si soddisfa nessuno di coloro con cui dovremmo rapportarci. Si scontentano gli immigrati, prova ne sono le recenti manifestazioni del 27-28 ottobre a Roma ed a Brescia che chiedevano al governo di rispettare le promesse ed abolire la Bossi-Fini. Si rimane sul terreno della destra e delle forze reazionarie, permettendo da parte di esse ulteriori affondi e creando sconcerto tra gli attivisti di sinistra.
L’accelerazione di Veltroni
La prova è stata il decreto legge sull’emergenza criminalità a seguito dei fatti di Tor di Quinto, nella periferia romana. Un omicidio commesso da un romeno nei confronti di una donna italiana ha scatenato una campagna d’odio nei confronti dei romeni, e subito si sono approvati provvedimenti legislativi d’emergenza. Ai prefetti viene concessa assoluta discrezionalità di procedere all’espulsione “quando il cittadino dell’Ue o un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana ovvero l’incolumità pubblica, rendendo la sua presenza sul territorio nazionale incompatibile con l’ordinaria convivenza”. La formula usata “un cittadino o un suo familiare” è totalmente iniqua, visto che nella legislazione degli stati moderni la responsabilità penale è personale.
Tutta la campagna è stata guidata dal sindaco di Roma, Veltroni, che appena eletto segretario del Partito democratico ha voluto fornire un preciso segnale rispetto alle priorità della nuova formazione politica. Il “buonismo” veltroniano è ormai un fatto del passato. Il decreto è una vera e propria istigazione all’odio razziale ed ha dato spazio e legittimità a numerosi raid compiuti dall’estrema destra nei confronti di romeni che passeggiavano per la strada, facevano la spesa al supermercato, ecc.
Ora da parte del Partito della rifondazione comunista ci si affanna ad inserire nel decreto, prima della conversione in legge, elementi migliorativi. La sostanza è che ancora una volta si darà il proprio consenso sostanziale a politiche reazionarie. Dall’inizio della collaborazione col governo Prodi la linea politica è sempre stata questa. Approviamo i tagli alla spesa pubblica, basta che non siano eccessivi; vanno bene le privatizzazioni, però mantenete almeno l’acqua in mani pubbliche; le espulsioni dal nostro paese non possono essere troppe, devono essere mirate.
La logica del riformismo è sempre la stessa: bisogna “dare risposte concrete ora e subito”. È rispecchiata in maniera esemplare nell’intervista rilasciata da Nichi Vendola, il governatore della Puglia del Prc, a il Manifesto del 2 novembre.
“Il pacchetto di Amato non basta, ma serve. (…) La richiesta di una reazione è maggioritaria nell’opinione pubblica, il problema è come governiamo questo sentimento, per non cedere alla cultura della xenofobia e dell’intolleranza. (…) Non posso non pormi il problema di un minore costretto dal suo clan a rubare e a elemosinare.” Il problema il governo se lo è posto e la sua risposta è di espellere il minore dall’Italia!
Ed infine: “Cercherei di migliorarlo (il decreto, ndr), ma alla fine voterei a favore, perché ha alcune cose buone. Alcune no, ma è una partita di lungo periodo. Intanto costruisco un cammino. Non rischierei di essere solo posizionato ideologicamente.”
In questa intervista è racchiusa tutta l’essenza del riformismo, in un periodo di crisi del capitalismo in cui i difensori di questa impostazione teorica, da Vendola a Bertinotti, non possono far altro che appoggiare, certo “criticamente”, le controriforme. Ogni posizione troppo radicale è una posizione ideologica, e quindi non resta che adottare l’ideologia della borghesia e cercare di “governare” le priorità imposte dall’opinione pubblica, che altro non è che la borghesia stessa.
Se poi “alla cultura della xenofobia ed intolleranza” si oppone una solidarietà astratta o di tipo cristiano, della serie “poveri immigrati, ‘rinunciamo a un po’ della nostra opulenza (?!) per dare qualcosa anche a loro”, il danno è compiuto definitivamente. Chiunque potrà affermare che si vuole togliere casa, lavoro e risorse agli italiani: è il miglior aiuto alla propaganda razzista che si possa fornire.
Il ruolo dell’estrema destra
È proprio sfruttando i limiti della politica del centrosinistra al governo, che ha colpito pesantemente i ceti popolari, che i gruppi di destra e di estrema destra riescono a trovare spazio soprattutto nelle periferie delle grandi città. Coperti dalla destra “istituzionale” di Lega, An e Forza Italia, che convoca marce per la sicurezza, come la Moratti a Milano, i gruppi come Forza nuova, Alternativa sociale della Mussolini, Fiamma tricolore e il resto della galassia dei partitini neofascisti agiscono sul campo. Aggrediscono spesso impuniti immigrati ed attivisti di sinistra. Svolgono un lavoro capillare di radicamento nel territorio, proponendo il loro programma apertamente reazionario sulla “difesa della nazione”, “l’Italia agli italiani” e così via. Si pongono il problema di organizzare i lavoratori e le loro famiglie (naturalmente rigorosamente di sangue tricolore) rubando il lavoro che è stato storicamente una prerogativa della sinistra, prigioniera nelle giunte e negli assessorati di comuni, provincie e regioni di mezza Italia.
In alcuni casi sono riusciti ad ottenere successi di una certa importanza. Ad Opera (Milano) all’inizio del 2007 l’estrema destra, in un fronte con An e Lega Nord, è riuscita a ottenere lo sgombero di un campo nomadi installato dalla Provincia e dal Comune di Opera, entrambi governati dal centrosinistra. Hanno incendiato in piena impunità le tende installate dalla protezione civile, hanno presidiato per giorni la zona con intimidazioni non solo contro i rom, ma anche i militanti di sinistra di Opera. Su un altro caso, lo sgombero di altre famiglie rom da Pavia, potrete leggere un articolo in questo stesso opuscolo.
Ad Opera la sinistra è stata completamente succube della propaganda della destra, cercando di rivaleggiare sul tema della “sicurezza” dei cittadini italiani in quanto a severità, solo vagamente condita da qualche discorso generico sulla solidarietà e contro gli “eccessi”, tipo ronde e spedizioni punitive autorganizzate.
Il problema è sicuramente quello di organizzare una risposta di massa da parte delle organizzazioni del movimento operaio rispetto alle aggressioni dei neofascisti, ma è soprattutto rispondere loro sul terreno della lotta e del programma.
Gli slogan del tipo “lavoro e casa agli italiani” sono falsi e servono solo a dividere gli oppressi perché il padronato possa sfruttarci tutti meglio. Dobbiamo opporci a questa guerra fra poveri! Case, lavoro, scuola e servizi sociali ci potrebbero essere per tutti.
Un programma rivoluzionario
Le risorse nella società di oggi infatti ci sono, basta sapere dove trovarle. In questi ultimi anni i grandi gruppi industriali e finanziari hanno realizzato enormi profitti ed ottenuto incredibili sgravi fiscali ed aiuti sia dal governo dell’Unione che dal precedente governo Berlusconi. È qui che bisogna intervenire. In questo paese esistono ad esempio centinaia di migliaia di case sfitte. Nel 2005 il numero di appartamenti sfitti era addirittura il 24,7% del totale, rispetto ad una media europea dell’11%. Attraverso la requisizione del patrimonio immobiliare dei grandi palazzinari si potrebbe risolvere non solo il problema-casa attuale ma anche rispondere alle esigenze future.
Ridistribuire le enormi ricchezze accumulate da pochi è lo strumento principale per sconfiggere il razzismo. Quello che serve è mettere in discussione questo sistema economico, il capitalismo, espropriare i grandi monopoli e i gruppi finanziari ponendoli sotto il controllo dei lavoratori. Questo non può essere fatto solo in Italia ma in tutta Europa. Il dominio delle multinazionali è globale e tale deve essere anche la mobilitazione per fermarlo.
Per realizzare questo obiettivo si deve costruire l’unità di classe tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati. Da diversi anni assistiamo ad un’entrata significativa degli immigrati nei sindacati e particolarmente nella Cgil. È il primo segnale di uno sviluppo della coscienza di classe, anche se troppo spesso i vertici sindacali non cercano di organizzare gli immigrati come classe ma offrono loro solamente sportelli di consulenza, pur importanti, ma non sufficienti.
Proprio mobilitazioni che hanno visto in prima fila lavoratori immigrati in una zona dove sono più inseriti nel processo produttivo come Brescia portarono nel 2000 ad una delle più grandi sanatorie mai realizzate in Italia. E queste mobilitazioni non potranno che svilupparsi sempre più, visto che i lavoratori immigrati non sono più una novità ma una presenza consolidata nelle fabbriche e nei posti di lavoro della penisola, che non potrà che aumentare.
Per riuscire nel compito di fare scendere i lavoratori italiani in piazza con l’obiettivo di difendere i diritti degli immigrati, è necessario riconquistare le nostre organizzazioni a posizioni più combattive. Finchè i vertici del Prc della Cgil firmeranno contratti-bidone, appoggeranno licenziamenti, ristrutturazioni e tagli allo stato sociale, gli appelli alla solidarietà verranno visti come una presa in giro.
La battaglia contro il razzismo è come abbiamo detto una battaglia per la difesa dei diritti e di tutti i lavoratori: se peggiorano le condizioni di lavoro e di vita degli immigrati, peggiorano le condizioni di tutti i lavoratori. È, dunque, una lotta programmatica all’interno delle strutture tradizionali del movimento operaio per trasformarle in organizzazioni rivoluzionarie che lottino per una società socialista.
Novembre 2007
---
Gli altri articoli che trovate sulla rivista
• Vogliamo il pane ed anche le rose - Metodo e programma pel la lotta dei lavoratori immigrati
• La proposta di legge Amato-Ferrero
• Lo sgombero dei rom a Pavia
• Immigrati, italiani, operai uniti nella lotta - La lotta del Palazzo verde a Sassuolo
Richiedi l'opuscolo al prezzo di 1,50 euro
a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., allo 0266107298 o ai nostri sostenitori nella tua città