Kobane è libera! La lotta dei curdi può vincere? - Falcemartello

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L’eroica e vittoriosa resistenza delle milizie curdo-siriane di sinistra dell’Ypg (Unità di protezione del popolo) e dell’Yia (Unità di protezione della donna) ha scritto un capitolo storico nella lotta contro il fondamentalismo islamico e per la causa nazionale curda. Le immagini delle guerrigliere dell’Yia e le bandiere curde con la stella rossa che sventolano su Kobane al posto della bandiera nera dell’Isis sono un incoraggiamento per tutti gli oppressi nel mondo. Per la seconda volta in meno di un anno, dopo i fatti di Sinjar nell’estate 2014, la resistenza curda ha sconfitto sul campo i tagliagole dell’Isis, nonostante la complicità della Turchia coi fondamentalisti, le armi pesanti ricevute da questi fino a poco tempo fa dall’occidente, la forza materiale del quasi-Stato costruito dall’Isis e la calcolata passività dei gangster reazionari come Barzani, al potere nella regione autonoma curda in territorio iracheno.
Senza dubbio, l’esito militare è stato determinato anche dalla scelta tattica degli Usa di bombardare le postazioni dell’Isis ­– il classico ex alleato scappato di mano – al fine di basarsi almeno parzialmente sui curdi nel vano intento di stabilizzare la regione senza mandare un proprio contingente militare.
Tuttavia, se l’orientamento di “pressione democratica” verso gli Usa e l’Unione europea resta un serio errore di prospettiva politica dei dirigenti della sinistra curda di Siria e Turchia, è altresì evidente che le conseguenze immediate della vittoria di Kobane sono una gigantesca crescita di fiducia delle masse, e delle milizie popolari, nelle proprie forze. Ciò costituisce probabilmente un’occasione storica nella lotta per l’autodeterminazione del popolo curdo.
Chi sono, dunque, oggi i nemici e gli amici di quella battaglia? Alcuni significativi episodi seguiti alla liberazione di Kobane ce ne forniscono alcune dimostrazioni plastiche. Mentre le forze di sicurezza turche aiutavano alcuni fanatici dell’Isis a scappare in Turchia dopo la rotta, nel campo profughi di Makhmur, Kurdistan iracheno, i festeggiamenti per la vittoria di Kobane sono stati repressi dalle guardie del Pdk (partito democratico del Kurdistan) di Barzani; in altri campi profughi di quella regione, ad esempio Sêmêlê, il Pdk costringe gli studenti a insultare Oçalan e il Pkk (partito dei lavoratori del Kurdistan), terrorizzando la popolazione con minacce di espulsione. La reazione rabbiosa a Kobane dei dirigenti del Kurdistan iracheno s’è ulteriormente palesata nel fastidio e nel boicottaggio verso le forze guerrigliere del Pkk che stanno partecipando alla strategica difesa di Kirkuk, nel Kurdistan iracheno, dall’attacco dell’Isis. Il comandante militare del Pkk Karayilian ha persino affermato che la sua formazione valuta il ritiro delle proprie forze da Kirkuk. Insomma, la linea politica di unità nazionale seguita dalla sinistra curda sbatte contro la realtà e le differenti linee di classe che si esprimono nei partiti curdi. L’impasse di tale orientamento si riscontra anche sul fronte della ricerca di alleati, per quanto strumentale, tra le potenze occidentali. L’assedio di Kobane, infatti, è stato opera anche dei “ribelli” siriani “moderati” e filo-occidentali dell’esercito libero siriano.
Con buona parte dei 900 chilometri di frontiera, lato siriano, tra Kurdistan occidentale e zone curde della Turchia nelle mani dei guerriglieri di sinistra delle Ypg e delle Yia, un appello socialista e rivoluzionario alla popolazione curda potrebbe avere un effetto dirompente, anche nelle zone curde di Iraq e Iran. Questo è il compito che si erge davanti al Pkk ed al suo alleato siriano Pyd (Partito di unità democratica). In un quadro di decomposizione avanzata del Medio Oriente, generata dall’imperialismo, sostenere soltanto alcune limitate riforme democratiche, che sia la formazione di uno Stato confederale o la formazione di cantoni interni ai vecchi Stati, è al contempo velleitario e moderato.
La rivoluzione deve essere sociale e andare fino alla radice. Presentare come una “rivoluzione” compiuta e da prendere a modello l’attuale linea del Pkk e del Pyd, come fa parte della rete italiana di solidarietà col Rojava (Kurdistan occidentale), ad esempio “Ya Basta!”, rilancia una polemica contro la concezione della rivoluzione sociale elaborata dal marxismo sin dalla Comune di Parigi ma non rende un servizio alla causa curda. L’uso di una certa fraseologia post-moderna (“in Rojava c’è una lotta contro il Potere” oppure “una forma di governo alternativa al modello dello Stato nazione”) può al massimo accontentare qualche lettore, di solito europeo, di letteratura negriana.
La nostra solidarietà internazionalista è fatta di aiuto materiale, sosteniamo ad esempio la campagna di aiuto a Kobane, ma pure di discussione politica franca e tra compagni. Non ci appartiene il riflesso paternalista in base al quale dei militanti rivoluzionari europei debbano agire per forza come fan acritici dei movimenti di liberazione nazionale. Emersa nel buio della reazione fondamentalista, che la lotta di Kobane sia l’inizio di una nuova storia per il Medio Oriente!