Ormai da tempo è chiaro che la maggior parte degli israeliani non simpatizza più per il primo ministro Netanyahu e non condivide la politica del governo. Anche all'interno del suo partito sono solo le voci fuori dal coro quelle che continuano a sostenerlo veramente.
Il problema è che al momento non pare esserci alcuna reale alternativa politica: nulla vieta purtroppo che il prossimo governo sia peggiore di quello uscente!
Bibi alla fine della corsa
Il governo Netanyahu raggiunge la fine del suo terzo mandato dopo numerose e sanguinose escalation del conflitto nazionale, con politiche economiche discutibili sotto tutti i punti di vista, nonché dopo l'accelerazione del processo di privatizzazione delle aziende e dei servizi statali. Il costo della vita si è notevolmente alzato, così come il costo degli alloggi, mentre il potere d'acquisto degli stipendi diminuiva drasticamente.
L'ultimo Rapporto sulla Povertà redatto dallo stesso governo indica ancora una volta l'aumento delle famiglie dei lavoratori in reale difficoltà, sia arabi che ebrei seppur in modo qualitativamente differente.
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Incidenza della povertà nelle famiglie e negli individui in famiglie con due o più lavoratori dipendenti, 1999-2013. |
Questo governo, che a tutt'oggi comprende l'estrema destra della Knesset, ha continuato a promuovere l'estremismo nazionalista e religioso sfociato nell'accanimento contro i più poveri e nella detenzione dei richiedenti asilo. Ha segnato molti record per la costruzione di insediamenti in territori occupati, ha acuito la frenesia razzista e approfondito la spaccatura tra ebrei e arabi.
La scellerata politica di "gestione dei conflitti" con la perpetuazione dell'occupazione e dell'assedio, l'aumento dell'isolamento internazionale di Israele, la stagnazione economica e la rabbia del popolo rispetto al continuo innalzamento costo della vita, queste sono le principali ragioni che hanno portato alla divisione tra i cinque partiti nella coalizione di Netanyahu, ognuno dei quali sta cercando di negare la propria responsabilità politica nelle scelte di governo.
In estate, nel bel mezzo dell'escalation militare, la coalizione aveva già cominciato a mostrare i primi sintomi di instabilità. Al momento anche i partner e gli ex-partner dell'attuale governo stanno cercando di cavalcare il malcontento.
Cos'altro si muove?
Il movimento nato praticamente per scherzo su Facebook, Rak lo Bibi (solo non Bibi), sembra al momento riscontrare, trasversalmente nella Knesset, il favore di non pochi esponenti politici. Pare un'entità politica ancora molto astratta, che riunirebbe diverse parti sociali e politiche distanti tra loro nella totale assenza di un tavolo programmatico, con il solo scopo di destituire Netanyahu. Ancora una volta una forza populista starebbe per emergere dal nulla, così come accaduto per il partito di Lapid (Yesh Atid – lett. C'è Futuro) nato proprio agli albori dell'ultima tornata elettorale.
Anche se una tale formazione dovesse mai arrivare al governo e dovesse mai riaprire negoziati con l'OLP, sarebbe sempre e comunque diviso circa la natura e la portata delle concessioni in discussione e certamente non fornirebbe una risposta reale alle aspirazioni nazionali e democratiche dei palestinesi.
Così come le politiche economiche promosse dall'ultimo governo di “centro-sinistra" di Olmer (governo che tra l'altro ha iniziato l'embargo ufficiale di Gaza come punizione collettiva e intrapresero due guerre), il governo “solo non Bibi” non offrirebbe una soluzione al conflitto, ma anzi continuerebbe a promuovere attacchi contro la classe lavoratrice e contro i poveri. Ecco che ancora una volta si aiuterebbe la destra più radicale a ritrovare spazio, tribuna politica e sociale.
La logica del "male minore" può solo che portare al risultato opposto a quello prefisso.
La sinistra ad un bivio
Molti di coloro che sono interessati alla crescita di una forza alternativa voteranno per il Meretz, che presenta se stesso come la “sinistra di Israele", che tende a contrastare le politiche del governo neo-liberale, che si dichiara in generale a favore della fine dell'occupazione e dell'assedio e che durante l'ultimo conflitto questa estate, nonostante lo zig-zag dei suoi leader, è l'unica forza politica di un certo peso che si è davvero espressa contro la guerra.
Queste sono le posizioni che il Meretz sosterrà alle elezioni circa il conflitto, tratte dal suo sito internet: l'interesse principale dello stato di Israele è un negoziato che metta fine all'occupazione e favorisca la creazione di uno stato palestinese a fianco di Israele. Il Meretz sostiene la creazione di uno stato palestinese entro i confini del 1967 con scambi di territori in rapporto 1:1, la distribuzione della sovranità su Gerusalemme che sarà la capitale dei due stati, necessario inoltre risolvere il gravoso problema dei rifugiati. […] Inoltre il Meretz ritiene che Israele dovrebbe adottare l'iniziativa per la pace promossa dalla Lega Araba di modo da favorire la riconciliazione tra il mondo arabo e Israele. […] Il Meretz vede Gaza come facente parte integrante dello stato palestinese e non vede la necessità della ripartizione politica tra la Cisgiordania e Gaza, anche nell'interesse di Israele stesso. Finché la striscia di Gaza sarà un'entità indipendente, separata dal governo centrale di Ramallah, non ci dovrebbero essere rapporti di cooperazione pratica con chi la governa, al fine di consentire lo sviluppo della striscia di Gaza per il bene dei suoi cittadini, prescindendo dal soggetto che la controlla. (traduzione libera)
Tuttavia, nonostante le forti aspirazioni di molti dei suoi sostenitori e attivisti, il Meretz è e rimane un partito riformista che s'impegna principalmente ad ammorbidire decreti e proporre modifiche legislative liberali, di fatto non favorendo la nascita di una necessaria alternativa politica socialista, così come invece inaspettatamente sempre più spesso chiesto a gran voce nelle piazze durante gli ultimi scioperi di questo autunno.
Per quanto ci riguarda, solo la ripresa delle tradizioni comuniste e rivoluzionarie un tempo egemoni tra i palestinesi, unite con il risveglio della classe lavoratrice israeliana, sono la sola strada per disinnescare le divisioni nazionali, religiose e linguistiche che spaccano il Medio Oriente ed aprire la via ad una federazione socialista. Le altre soluzioni, quelle “pratiche”, sono state tutte sperimentate negli ultimi 70 anni. I risultati sono sotto i nostri occhi: la promessa di una via d’uscita sulla base "due popoli due Stati" su basi capitaliste si sta rivelando un incubo senza soluzione di continuità.
Comunisti e arabi
L'ultimo colpo di coda dell'attuale governo, oltre alle recenti restrizioni razziste per i palestinesi di Gerusalemme, è l'innalzamento dello sbarramento elettorale per evitare l'ingresso nella Knesset a tutta quella minoranza divisa di partiti di “estrema sinistra” ed arabi.
In risposta a questa mossa nonché all'ultima campagna razzista in corso, lanciata contro i rappresentanti pubblici palestinesi nella Knesset, i vari partiti arabi stanno cercando di costruire un blocco elettorale unito per le prossime elezioni. Questa idea di presentare un ampio fronte e così di aumentare il numero di parlamentari arabi israeliani, ha naturalmente riscontrato una crescita di popolarità significativa tra i Palestinesi che si pensa dovrebbero votare molto più numerosi per questa tornata.
Anche Hadash, la sinistra arabo-ebraica diretta al suo interno dal Maki (partito comunista), è nel bel mezzo dei negoziati sulla possibilità di aderire a tale blocco elettorale.
Nonostante la maggior parte dei sondaggi attualmente stimino che Hadash possa superare lo sbarramento senza alleanze, ovviamente il nuovo fronte arabo unito attrarrà parte del suo elettorato. Purtroppo pare chiaro solamente a Hadash, contrariamente per quanto accade alle forze arabe, che un accordo elettorale non è solo una questione tecnica, tant'è che al momento l'accordo sembra recitare solamente che ogni fazione possa tornare a lavorare in proprio una volta eletti. La questione del “se e come” verrà portato avanti un dibattito programmatico comune è una questione cruciale, ora più che mai.
Hadash ha perso tempo prezioso nel corso dell'ultimo anno, anno in cui è stato possibile riempire un ampio spazio per la lotta politica di ebrei e arabi uniti nel tentativo di organizzare nuovi giovani strati della popolazione israeliana, strati spinti a lottare dalle loro condizioni di lavoro e di vita, per la giustizia sociale e per la pace.
Come alcuni movimenti sociali e tendenze politiche marxiste minori hanno tentato di spiegare lo scorso marzo con un appello al Maki (come descritto nel nostro articolo L'Israele che non ti aspetti), questo nuovo quadro politico potrebbe aiutare a far emergere più chiaramente all'ordine del giorno le idee della lotta di classe per l'alternativa socialista.
Il Maki, per conto suo, ha appena pubblicato una bozza di programma elettorale basato sull'opposizione “alla politica di guerra e di occupazione contro il popolo palestinese, alla politica di guerra contro la classe operaia e le classi più deboli, alla politica di guerra contro i valori della democrazia e dell'uguaglianza, alla politica di discriminazione nazionale e civile contro la popolazione araba, all'aumentano del razzismo e all'istigazione dell'atmosfera fascista". Se Hadash dunque dovesse unirsi alla coalizione araba con queste linee guida, gli sviluppi potrebbero davvero essere positivi.
Il dibattito è in corso, certo ancora la natura ed il ruolo di questo eventuale blocco arabo sono lungi dall'essere definiti. Questa crediamo sia la ragione dell'atteggiamento attendista di Hadash, che altrimenti dovrebbe a nostro parere entrare a mani piene dentro a tale dibattito: nonostante le difficoltà dettate soprattutto dalle divisioni religiose, un percorso unitario delle forze arabe coadiuvate del partito comunista, che riescano insieme a filtrare le minoranze reazionarie islamiche, sarebbe davvero una svolta senza precedenti per la lotta di classe in Israele oltre le barriere religiose. Come marxisti dunque ci auguriamo che questa eventuale lista nascente possa svilupparsi con un netto profilo di classe, in grado di unire attivisti della sinistra tanto arabi che ebrei.
Seguiremo gli sviluppi.
Compiti
La situazione politica in vista delle prossime elezioni sottolinea dunque con forza l'inadeguata rappresentanza delle rivendicazioni politiche di proteste, delle lotte, dei fondamentali interessi della classe operaia israeliana fatta tanto di ebrei quanto di arabi e per la pace.
Sono già due anni, dal movimento degli “indigandos israeliani” accampati per settimane in tende lungo l'arteria snob di Israele, il Rothschild Boulevard a Tel Aviv, dalle manifestazioni degli autunni seguenti e durante i conflitti intercorsi, che gruppi di arabi e ebrei scendono in piazza fianco a fianco. Questi alcuni degli slogan più frequenti durante le manifestazioni in piazza: vogliamo un vero partito del lavoro, ebrei e arabi rifiutano di essere nemici, per uno stato sociale migliore.
Proprio ora una forza comunista, seppur parziale comunque sia di peso come il Maki dentro Hadash, dovrebbe approfittare di tale vuoto e della reale richiesta di rappresentanza delle lotte in campo per contribuire a promuovere la costruzione di un'alternativa politica socialista, che lotti per la giustizia sociale, per il bisogno di pace, per un partito di classe.