In queste condizioni la critica ad Arafat e alla cricca arricchitasi all’ombra del trattato di Oslo è cresciuta esponenzialmente nei territori occupati e nella striscia di Gaza. Questo ha portato ad una crescita delle organizzazioni che in questi anni si erano opposte ai "trattati di pace" con Israele. Sotto il fuoco dei bombardamenti israeliani migliaia di giovani si sono convinti che l’unica via d’uscita sia il martirio dei kamikaze, con il conseguente aumento delle azioni terroristiche.
Anche in Italia la critica all’operato della direzione dell’Olp ha trovato un largo eco portando settori della sinistra più radicale ad appoggiare il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp) come alternativa alla sempre maggiore subalternità di Arafat agli interessi dell’imperialismo.
L’Fplp è la seconda fazione più importante dell’Olp e recentemente è uscita dall’esecutivo dell’Olp per protesta contro l’arresto, ordinato dall’Anp, del suo leader Ahmad Saadat arrestato il 15 gennaio.
Questa organizzazione nasce nel 1967 dal Movimento nazionalista arabo (Mna) come conseguenza del fallimento del Mna e della politica di Nasser. Fin dalla sua nascita il Fplp si orienta chiaramente a sinistra approdando a posizioni filocinesi, tanto che il suo primo segretario Habash amava definirsi un marxista asiatico.
Negli ultimi anni la strategia del Fronte si è caratterizzata per una critica radicale gli accordi di Oslo e alla corruzione imperante nell’Anp e ad una ripresa della azioni terroristiche contro obbiettivi israeliani. Tra queste la più eclatante è stata certamente l’assassinio del ministro del turismo israeliano, il reazionario Rehbaam Zeeviin, in risposta all’uccisione del segretario
generale del Fronte Abu Alì Mustafà, colpito ad agosto da due missili lanciati da un elicottero del Mossad.
Certamente il Fplp ha il merito di non avere creduto alle false promesse di Arafat e dell’imperialismo e di criticare gli accordi di Oslo ma sempre di più nel corso degli anni ha smarrito un riferimento di classe e di rivoluzione socialista per approdare sulle sponde nel nazionalismo borghese.
I punti principali del programma dell’organizzazione votati nel sesto ed ultimo congresso (2000) prevedono: "l’autodeterminazione del popolo palestinese,il diritto al ritorno dei rifugiati, uno stato palestinese sovrano con Gerusalemme capitale, e il blocco degli insediamenti dei coloni ebrei". Assieme a questi si auspica "la costruzione di una società democratica dove tutto il popolo possa vivere con uguale cittadinanza sulla base dei diritti umani senza distinzioni di razza, religione, colore o sesso."
Il problema è che tutto l’impianto programmatico si basa sulla volontà di sviluppare una democrazia borghese in Palestina che permetta una "società democratica". Infatti anche le rivendicazioni sociali presenti nel programma, come un sistema più adeguato di istruzione pubblica basato sul diritto allo studio uguale per tutti o l’introduzione di un sistema sanitario accessibile a tutti, vengono inseriti nel quadro di una "normale " democrazia capitalista per la Palestina. Tra le rivendicazioni è presente quella di una "costituzione e di un giusto metodo di elezioni e legislazione ". Su queste basi non c’è da stupirsi se il programma si conclude con la richiesta di un "piano di sviluppo economico". Con queste richieste, pur inconsciamente, l’Fplp va incontro a quelle richieste dell’imperialismo (soprattutto quello europeo), di cui anche Berlusconi si è fatto portavoce, che parlano di un nuovo piano Marshall per garantire una maggiore stabilità alla politica di sfruttamento dei paesi capitalisti.
In questo momento il partito di Saadat ha abbandonato qualsiasi riferimento al marxismo (che pure viene indicato nel programma come metodo di analisi) attuando una politica che da una parte invita la "comunità internazionale (Consiglio di sicurezza dell’Onu, Comunità europea, Cina, Russia e resto dei paesi del mondo) a giocare un ruolo attivo nel perseguimento della giustizia per garantire che Israele rispetti le risoluzioni internazionali" mentre dall’altra si abbandona ad una politica panaraba e interclassista quando dichiara "il nostro primo obbiettivo è l’unità delle nostre forze nazionali, di tutte le classi e i movimenti ". Questo porta l’Fplp a non sviluppare nessuna critica verso quei regimi reazionari arabi in cui le organizzazioni del movimento operaio sono bandite, i lavoratori vivono condizioni di semischiavitù e le donne sono relegate al ruolo poco superiore di quello di un animale. Basti ricordare l’appoggio incondizionato dato a Saddam Hussein nella guerra del Golfo o l’assoluta assenza di critica al regime dei talebani.
In realtà tutto questo non è altro che l’adattamento della vecchia politica stalinista delle due fasi che vede come obbiettivo principale l’indipendenza nazionale e lo sviluppo di una borghesia "sana e democratica" e solo in un secondo momento il socialismo (del quale non v’è traccia nel programma del 6° congresso).
In tutte le dichiarazioni del Fronte non si fa mai appello alla classe e l’indipendenza di classe viene sacrificata in nome dell’accordo con le forze islamiche e con la "borghesia storica" (quella prima degli accordi di Pace). Questa posizione viene ben sintetizzata in una intervista rilasciata da Abu Alì Mustafà nel 1998 in cui il leader recentemente defunto diceva: "la classe borghese storica durante l’Intifada ha dato aiuto all’Intifada perché voleva la libertà palestinese. Questa nuova borghesia che è venuta dopo gli accordi è comunque molto arretrata, come coscienza, di fatto è contro il popolo palestinese…".
I continui attacchi del governo reazionario di Sharon sulla popolazione palestinese non fanno altro che esasperare le masse, ma anche in queste condizioni drammatiche compito di quelli che si definiscono marxisti è mantenere un approccio di classe rifiutando il terrorismo individuale che ha dimostrato la sua natura reazionaria, compattando i lavoratori israeliani, che pure in un primo momento simpatizzavano per l’Intifada, attorno al progetto reazionario di Sharon.
Oggi l’unica soluzione per il problema della Palestina è la ripresa di una nuova Intifada che abbia come obbiettivo una Palestina socialista e come nemico, comune anche ai lavoratori israeliani, la sconfitta dell’ imperialismo israeliano e delle borghesie reazionarie arabe per l’instaurazione di una federazione socialista del Medioriente. Nostro compito come giovani e lavoratori italiani è combattere l’imperialismo in casa nostra, sostenere la lotta del popolo palestinese ma è anche nostro dovere criticarli per contribuire allo sviluppo di un autentico partito rivoluzionario in Palestina.
(fonti: www.pflp-pal.org , www.tmcrew.org )