Tutti ricordiamo l’attacco terrorista del 31 maggio scorso attuato dallo Stato di Israele contro la Freedom Flottilla, la nave che portava aiuti umanitari alla popolazione della Striscia di Gaza strangolata dall’assedio israeliano dal 2006, attacco che ha visto la morte di 9 attivisti e la detenzione per alcuni giorni nelle carceri Israeliane dei partecipanti.
La Coalizione per la freedom flottilla (sigla che riunisce movimenti filo palestinesi come il Free Gaza Movement) ha lanciato una campagna per la Freedom Flotilla 2 che dovrebbe salpare nella primavera 2011 e che vede la probabile partecipazione di 20 navi e l’estensione delle nazioni i cui attivisti riusciranno a preparare una nave,tra cui l’Italia.
Dal 31 maggio la situazione non è molto cambiata né per la popolazione palestinese, nel suo complesso, né all’interno di Israele. In particolare quest’ultimo versa in una crisi nera, soprattutto per l’incapacità ormai evidente del sionismo di garantire il benessere ai cittadini ebraici, attanagliato oramai da anni di crisi economica, più del 23% degli israeliani, infatti, vive sotto la soglia di povertà.
Di qui la svolta a destra, per garantire coesione sociale, scaricando le tensioni sul “nemico”, ovvero i palestinesi. Ne sono il frutto l’ attacco contro la flotilla, l’operazione piombo fuso del 2008-09, e la proposta di legge per l’acquisizione della cittadinanza per i non ebrei, approvata dal consiglio dei ministri israeliano il 10 ottobre scorso che prevede il giuramento di fedeltà allo stato definito “democratico (sic!) ed ebraico”. Nello stessa ottica va inquadrata la perseveranza di Netanyahu nel continuare la costruzione degli insediamenti ebraici a Gerusalemme est, che ha portato allo stallo la litania dei negoziati di pace.
Nei territori palestinesi non si sono visti cambiamenti importanti: se Israele, pressato dopo l’attacco, dalle critiche provenienti da tutto il mondo (eccezion fatta dall’Italia naturalmente), ha consentito l’accesso di alcuni beni nella Striscia, se l’Egitto ha aperto il varco di Rafah, si è ben lungi dal garantire la sopravvivenza dalla popolazione, così in Cisgiordania le continue violenze dei coloni e i nuovi insediamenti ebraici esasperano la situazione.
In questo contesto si inserisce l’attività dei militanti del movimento filo palestinese e degli attivisti della Freedom Flotilla, che generosamente dedicano le loro energie, pagando a volte purtroppo anche con la vita, alla difesa dei diritti della popolazione palestinese. La missione della Freedom Flotilla ha avuto il merito di rimettere al centro del dibattito pubblico la questione palestinese, di risvegliare il movimento filo palestinese, suscitando ondate di proteste contro l’aggressione israeliana che dalle capitali arabe si sono estese in tutto il mondo.
Non possiamo però non evidenziare che queste azioni di solidarietà non centrino il cuore del problema, che non è umanitario, ma politico. La lotta per la liberazione del popolo palestinese dalle vessazioni del sionismo non può limitarsi all’aiuto umanitario, ma avere al centro un programma politico che sottolinei chiaramente che il vero nemico è un sistema economico oppressivo come quello capitalista, di cui il Sionismo ne è una delle espressioni più barbare. Sotto questa luce è necessario creare una rete internazionale di solidarietà di classe che discuta e lotti attivamente. Nella campagna internazionale per il boicottaggio di Israele si sono viste azioni che ben testimoniano lo spirito con cui condurre la lotta: nel giugno 2010 i lavoratori portuali svedesi, appoggiati dal loro sindacato, si sono rifiutati di caricare/scaricare merci israeliane, seguiti poi da quelli greci, un boicottaggio che va oltre il non acquistare dei prodotti israeliani, ma che mette al centro la lotta di classe.
Lottare per questa solidarietà di classe e perché la lotta palestinese si unisca alla lotta dei lavoratori israeliani, strangolati dal regime, a quella delle masse oppresse dell’Egitto e dell’Iran, e a quella di tutti i popoli è l’unica via per la vittoria. Qui possiamo lavorare per una campagna che coinvolga il sindacato, ad esempio mettendo in campo azioni concrete, come quelle descritte, e creando luoghi di discussione attiva che mettano al centro questa prospettiva