L’accordo tra Alitalia e Etihad è stato firmato l’8 agosto scorso. Un’intesa in adempimento della quale la compagnia di Abu Dhabi diventerà il nuovo socio di riferimento di Alitalia col 49% e un investimento di 1.758 miliardi di euro.
Il 51% di Alitalia resterà nelle mani dei vecchi azionisti della Cai, che formano una società cuscinetto tra la vecchia e la nuova Alitalia. Un gruppo intermedio in cui entra anche Poste italiane con un nuovo investimento di 75 milioni di euro, che si aggiungono all’esborso di pari entità già bruciato nell’ultimo anno di gestione della vecchia Alitalia.
Il 15 settembre si chiude la procedura di mobilità per i 2.171 dipendenti Alitalia, messi alla porta dall’accordo tra la compagnia di bandiera e il vettore degli Emirati Arabi Uniti.
Entro il 10 settembre, i dipendenti Alitalia che aderiscono volontariamente alla mobilità, avranno un incentivo di 10mila euro; una cifra per la quale è perfettamente inutile sprecare gli epiteti più deteriori, se pensiamo che ad usufruirne saranno, nella grande maggioranza dei casi, assistenti di volo e personale di terra con un’età attorno ai cinquant’anni e la prospettiva della pensione che è ancora una chimera.
Nella prima settimana di agosto, nelle giornate imminenti la firma definitiva di un accordo molto tribolato (in particolare per via delle resistenze di Poste italiane ad accollarsi i debiti della vecchia Alitalia), si sono svolti, nello scalo di Fiumicino, assemblee spontanee del personale di terra, massicce assenze per malattia, lo sciopero del personale addetto allo smistamento dei bagagli a Fiumicino (il 4 agosto) e lo sciopero bianco degli addetti al carico e allo scarico dei bagagli, con l’applicazione letterale delle procedure di movimentazione di borse e valigie.
Una mobilitazione che, con centinaia di migliaia di passeggeri in transito per le vacanze estive, ha bloccato la consegna dei bagagli e suscitato una “cagnàra” inverosimile su Tv e giornali a tiratura nazionale, con vertici d’emergenza tra aeroporti di Roma, Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile) e Prefettura di Roma, nei quali si è arrivati a minacciare più volte la precettazione per i lavoratori in mobilitazione accusati di interruzione di servizio pubblico.
Una intimidazione con poche possibilità di applicazione concreta (dal momento che i lavoratori avevano messo in campo forme di lotta che eludevano le normative anti-sciopero), che però è servita perché la Filt-Cgil revocasse le assemblee convocate in quei giorni. Nelle tribolate giornate che hanno preceduto l’accordo si era diviso anche il fronte sindacale, con la Uil che si era rifiutata di firmare il nuovo contratto per il personale aereo e la Cgil che aveva contestato gli esuberi.
Rientrata la contrarietà della Uil al nuovo contratto, la Filt-Cgil ha distribuito a Fiumicino volantini di fuoco contro la mobilità per i 2.171 dipendenti di Alitalia. Tanto rumore per nulla, ci verrebbe da dire, dal momento che, a pochi giorni dalla chiusura della procedura di mobilità, nessuna seria iniziativa di mobilitazione è messa in campo dalla Filt che, nello stesso momento in cui denuncia la mobilità, si dichiara (nello stesso volantino!) a favore dell’accordo con Etihad, che quelle mobilità ha provocato. Un disorientamento completo, che avvolge anche l’Usb che, pur dichiarandosi contraria agli esuberi, rivendica di aver da tempo “indicato la possibilità di un’alleanza con un vettore arabo”.
Il 15 settembre non deve essere firmato nessun licenziamento!
Occorre riprendere la strada della mobilitazione della prima settimana di agosto e bloccare non solo la movimentazione dei bagagli ma tutte le altre attività aeree di Alitalia. La disponibilità a lottare da parte dei lavoratori c’è e ad agosto a Fiumicino ne abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione. Tutti gli accordi sugli esuberi, dall’inizio della privatizzazione, hanno portato alla perdita di decine di migliaia di posti di lavoro e allo smembramento e alla svendita di Alitalia senza alcun pudore.
È ora di cambiare strada.