di Lev Trotskij
Cos’è il marxismo è un testo di facile lettura particolarmente adatto ai giovani, che il rivoluzionario russo scrisse nel 1940, poco prima di essere assassinato da un sicario di Stalin, nella sua residenza di Coyoacan, in Messico.
Concepito in origine come prefazione ad una edizione riassunta del Capitale di Marx, questo breve opuscolo ripercorre sinteticamente alcuni temi fondamentali.
Il testo traccia un breve confronto fra l’analisi marxista e lo sviluppo economico e sociale della prima metà del secolo, mostrando come solo il marxismo possa spiegare esaurientemente sviluppi economici e sociali quali le due guerre mondiali, la grande crisi del 1929, il tentativo di risolvere la crisi attraverso le ricette economiche keynesiane (si veda il capitolo "fascismo e New Deal"), l’emergere della disoccupazione strutturale.
Il filo conduttore del testo è quello della polemica con gli economisti borghesi dell’epoca che negavano che le previsioni di Marx si fossero verificate.
"... Il celebre economista tedesco Werner Sombart, che fu virtualmente marxista agli inizi della sua, carriera, per poi rivedere tutti gli aspetti più rivoluzionari della dottrina marxista, oppose al Capitale di Marx il suo proprio Capitalismo, che è probabilmente il più noto trattato d’economia borghese della nostra epoca. Sombart scrive: Marx ha profetizzato: in primo luogo, la miseria crescente dei lavoratori salariati; in secondo, il generale "accentramento" con la scomparsa della classe degli artigiani e dei contadini; infine il crollo catastrofico del capitalismo. Nulla del genere è ancora avvenuto..."
Meticolosamente Trotskij, risponde nel capitolo "le teorie di Marx sono divenute antiquate?" con dati e argomentazioni dimostrando la fallacia delle affermazioni di Sombart.
"...Questa tesi di Marx, nota come Teoria dell’impoverimento progressivo, è stata fatta oggetto di attacchi costanti da parte dei riformisti democratici e socialdemocratici specialmente nel periodo 1896-1914, quando il capitalismo si sviluppava rapidamente e faceva certe concessioni ai lavoratori, soprattutto a quelli degli strati superiori. Dopo la guerra 1914-’18, allorchè la borghesia, spaventata dai suoi stessi delitti e dalla rivoluzione d’Ottobre, si buttò con gran rumore pubblicitario alle riforme sociali, il cui valore fu del resto contemporaneamente annullato dall’inflazione e la disoccupazione, la teoria della trasformazione progressiva della società capitalistica parve ai riformisti a ai professori borghesi pienamente provata...
In realtà, la contraddizione economica fra proletariato e borghesia si aggravò nel periodo più prospero di sviluppo capitalistico, quando l’aumentato tenore di vita di certi strati operai, talvolta anche estesi, nascose la diminuita partecipazione del proletariato al reddito nazionale. Così già sulla soglia della grande crisi, la produzione degli Stati Uniti aumentò del 50% fra il 1920 e il 1930, mentre la somma totale pagata in salari salì solo del 30%: il che significa una terribile diminuzione della partecipazione operaia al reddito nazionale...
Col 6% della popolazione mondiale, gli Stati Uniti detengono il 40% della ricchezza del mondo. Epure, un terzo della nazione, come lo stesso Roosevelt ammette, è denutrito, inadeguatamente vestito e vive in condizioni subumane. Che cosa bisognerà dire allora dei paesi meno privilegiati? La storia del mondo capitalistico dopo la guerra 1914-18 inconfutabilmente conferma la teoria della miseria progressiva".
Dall’incapacità del capitalismo di soddisfare le necessità delle masse se ne deduce la necessità della lotta per il socialismo.
Dal capitolo "Inevitabilità del socialismo":
"Parallelamente al numero in costante diminuzione dei magnati del capitale..." dice Marx, "si accresce la massa della miseria, dell’oppressione, della schiavitù, della degradazione, dello sfruttamento; ma, insieme, s’accresce anche la rivolta della classe lavoratrice, classe in aumento numerico costante, e disciplinata, unita, organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistica... L’accentramento dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro giungono finalmente a un punto dove diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Questo involucro viene lacerato da una esplosione. La proprietà privata capitalistica suona a morto. Gli espropriatori vengono espropriati... Che la socializzazione dei mezzi di produzione, creati dal capitalismo, rappresenti un gigantesco beneficio economico è oggi dimostrabile non solo in teoria ma anche mediante l’esperimento dell’Urss, nonostante i limiti di quell’esperimento. I reazionari asserviti al capitalismo usano, non senza artifici vari, il regime di Stalin come spauracchio contro le idee del socialismo. Ma è un fatto che Marx non ha mai detto che il socialismo possa attuarsi in un solo paese e per di più arretrato. Le continue privazioni delle masse nell’Urss, l’onnipotenza della casta privilegiata, che si è elevata al di sopra della nazione e dei suoi mali, e infine la violenza dominante dei burocrati non sono conseguenze del metodo socialista di quell’economia, ma dell’isolamento e arretratezza dell’Urss, chiusa nel cerchio dell’assedio capitalista. La cosa straordinaria è che, in condizioni così eccezionalmente sfavorevoli, l’economia pianificata sia riuscita a dimostrare i suoi insuperabili benefici."
Il libro si chiude col capitolo Economia mondiale pianificata nel quale Trotskij constatando il profondo legame esistente tra la seconda guerra mondiale e la crisi del capitalismo dichiara: "Eppure le forze produttive hanno da gran tempo superato i confini dello stato nazionale, trasformando così ciò che un tempo era un fattore storico progressivo in una intollerabile costrizione. Le guerre imperialiste non sono che le detonazioni delle forze produttive contro i confini statali, che si sono rivelati loro troppo limitativi". e indica l’alternativa "I contrasti che lacerano l’Europa e il mondo intero troveranno la loro naturale e pacifica soluzione nel quadro di una Confederazione Socialista in Europa e in altre parti del mondo. L’umanità liberata si leverà ritta in tutta la sua statura".
Come è noto la seconda guerra mondiale comportò la vittoria militare degli alleati e dell’Urss contro la Germania nazista; alla fine della guerra il germe rivoluzionario si diffuse in tutta Europa (Grecia, Italia, Francia, Belgio, Jugoslavia, ecc.) ma Stalin con l’autorità che gli derivava dalla vittoria contro i nazisti, tradì la rivoluzione greca (permettendo agli inglesi di reprimerla violentemente) e fece deragliare le altre rivoluzioni guidate dai partigiani accordandosi con le potenze alleate, con la sola eccezione della Jugoslavia dove le cose suo malgrado andarono diversamente.
La svolta di Salerno, voluta da Stalin e Togliatti, non senza contraddizioni spinse il movimento partigiano italiano ad abbandonare gli obiettivi socialisti per limitarsi a quelli "democratici".
Ragioni storiche determinate che abbiamo spiegato in altre occasioni (per esempio nel documento L’utopia keynesiana e la crisi organica del capitalismo) hanno permesso al capitalismo nel dopoguerra, di sviluppare le forze produttive a livelli mai visti. Ma il boom del ‘48 -’73 ha rappresentato un’eccezione per il capitalismo.
Tornano così ad essere di stringente attualità le contraddizioni spiegate da Trotskij in Cos’è il marxismo. È in atto una nuova esplosione imperialistica su scala mai vista (Balcani, Timor Est, Cecenia, Irak), in ogni angolo del pianeta aumenta l’instabilità politica economica e sociale.
Il sistema capitalista genera violenza, fame, disoccupazione. Tre miliardi di persone vivono oggi con meno di 3.000 lire al giorno, mentre le tre persone più ricche del pianeta concentrano nelle proprie mani una ricchezza uguale al prodotto interno lordo dei 48 paesi più poveri!
Un solo uomo Bill Gates ha un reddito uguale a quello di 115 milioni di americani. La concentrazione del capitale è giunta a un livello mai visto. Nei primi 100 bilanci al mondo, 51 sono di multinazionali e solo 49 di stati. È in atto un’orgia di fusioni senza precedenti.
I salari reali dei lavoratori tendono a calare nonostante sia aumentata notevolmente la massa dei profitti; la disoccupazione dilaga e si sviluppa il processo di proletarizzazione dei ceti medi con fallimenti a catena nella piccola produzione, nel commercio, nell’artigianato, ecc.
C’è qualcuno oggi che può smentire seriamente le previsioni di Marx? Oggi gli economisti borghesi (a differenza di quanto facevano negli anni ‘30) non ci provano neanche.
L’unico argomento che gli resta è che non c’è alternativa al capitalismo. Toccherà a noi dimostrargli il contrario.