La reazione operaia è stata da subito molto determinata con scioperi, cortei interni e assemblee davanti ai cancelli. Proprio mentre Marchionne prova ad attaccare il diritto di sciopero a Pomigliano con il ricatto respinto dai lavoratori al referendum a Melfi si licenziano i delegati combattivi che con lo sciopero provano a difendere le loro condizioni di lavoro. Il messaggio della Fiat è chiaro, la risposta compatta dei lavoratori altrettanto.
Ieri davanti alla Confindustria di Potenza oltre 700 lavoratori hanno dato vita ad un presidio mentre i loro compagni licenziati incontravano la Fiat. I lavoratori di Melfi non erano soli vista la presenza di operai di altre aziende e di una delegazione arrivata dalla Fiat di Pomigliano.
Mentre la delegazione saliva in trattativa per chiedere il ritiro di questi odiosi provvedimenti contro i delegati il presidio, animato dai compagni di Pomigliano, lanciava slogan contro Marchionne , la Fiat e i sindacati collaborazionisti che dopo aver partecipato ai primi scioperi hanno subito fatto marcia indietro probabilmente sotto “consiglio” dell’azienda lasciando la Fiom sola a promuovere gli scioperi.
Un ambiente combattivo e pronto ad andare fino in fondo nel quale il volantino di solidarietà del Prc distribuito dai Giovani Comunisti di Potenza era accolto bene tra i lavoratori, così come il comunicato di solidarietà dei lavoratori del gruppo Fiat di Modena.
All’ingresso della Confindustria gli operai avevano messo due cartelli che dimostrano più di ogni altra cosa le loro intenzioni. Questi cartelli recitavano “orgoglio operaio” e “noi puzziamo di sudore voi di sangue degli operai”, mentre dal camioncino della Cgil “Bandiera rossa” si mescola con gli slogan che dicono “la gente come noi non molla mai”.
Quando i lavoratori licenziati scendono inizia l’assemblea. È un misto di radicalità e rabbia che esplode alla notizia che la Fiat non fa passi indietro. Il segretario provinciale prova a spiegare che bisogna continuare la mobilitazione e legarla alla lotta per il premio di risultato che la Fiat non vuole elargire anche se quest’anno sono state prodotte 5000 vetture a Melfi. Un lavoratore si alza e urla “non ce ne frega un cazzo del premio di risultato vogliamo i nostri compagni in fabbrica, glieli regaliamo i soldi e questi straccioni” tra gli applausi un altro grida “se non tornano in fabbrica qua fuori facciamo una rivoluzione.”
E’ lo spirito dei 21 giorni della Primavera di Melfi che aleggia, la compostezza del popolo lucano lascia passo alla rabbia alla volontà di non mollare finche non si è ottenuto l’obbiettivo del ritiro dei provvedimenti. La Fiom propone di tornare subito allo stabilimento e proseguire lì le iniziative di lotta in attesa della decisione della Fiat ma i lavoratori vogliono andare alla Regione e chiedere un impegno preciso al Presidente. Infatti la Fiat riceve valanghe di soldi dalla Regione, nella migliore tradizione dell’azienda torinese, gli operai chiedono che se non si rispettano i diritti sindacali si blocchino tutti i finanziamenti regionali.
Si parte in corteo verso la regione, lo striscione di apertura recita :”Solidarietà” ma pochi metri più dietro un ‘altro striscione dice “lottare per i nostri diritti è un dovere, difendere chi ci rappresenta un onore”. A guidare questo settore del corteo sono gli operai del turno A, quello di Giovanni che con la modestia e determinazione di chi capisce la posta in gioco discute con gli altri delegati i passi da fare per continuare a costruire consenso e solidarietà in fabbrica e fuori. La comunità operaia di Melfi è cresciuta e si è fatta le ossa in quasi venti anni di provvedimenti disciplinari, turni massacranti e licenziamenti politici, sa bene cosa vuol dire tentare di decapitare il sindacato più combattivo in fabbrica ed è cosciente delle propria forza.
Il corteo sfila per la parte bassa della città ed arriva sotto la regione, una delegazione sale dal Presidente . I delegati prendono ancora la parola , si discute passo dopo cosa fare e alla fine si vota di tornare allo stabilimento con i pullman. Alle 22 infatti entra il turno di notte. Si decide fare un presidio ai cancelli invitando i lavoratori del turno di notte a scioperare per due ore. La polizia vigilia, qualcuno è in assetto antisommossa; in fondo è lì a garantire che i padroni possano sfruttare liberamente, l’unico diritto che vogliono garantire è il “diritto di impresa”.
I cancelli sono un muro di divise blu e qualcuno indossa la maglietta “Pomigliano non si piega” perché da oggi è chiaro a tutti che Melfi e Pomigliano ormai sono una sola lotta.
Inizia il comizio, si invitano i lavoratori del turno di notte a non entrare ed a fermasi, tanti lavoratori lo fanno qualcuno cala il capo ed entra, probabilmente con la morte nel cuore, sul volto di un operaio che esce scorgo una lacrima. La Fiat non perdona i delegati ed i lavoratori al presidio lo sanno. Non vogliono il muro contro muro vogliono convincere i loro colleghi che non si sta difendendo solo il posto di lavoro di Giovanni, Antonio e Marco si difende il diritto allo sciopero, si difende la possibilità avere condizioni di lavoro migliori, si difende il sindacato.
Sono passate le 22 quando gli operai della Sata chiedono di intervenire a Mimmo Loffredo delegato Fiom di Pomigliano e segretario del circolo Prc Fiat auto. Mimmo prende la parola e ricorda i licenziamenti politici nel suo stabilimento, i momenti difficili ma anche il risultato del recente referendum che per la prima volta ha fermato Marchionne. “Fanno a Melfi quello che hanno scritto nell’accordo a Pomigliano e voi come abbiamo fatto noi rispondete con la lotta, siamo con voi compagni”.
Cala la notte ma la mobilitazione non si ferma. Sono circa le 23 quando i delegati della Fiom decidono di entrare i fabbrica. Dino prende il megafono e chiede ai lavoratori di avvicinarsi ai tornelli e di seguirli. Si entra in fabbrica per fare un corteo interno. Sono circa 300 quelli del turno B che entrano decisi e fieri sfidando lo sguardo delle guardie interne e dei capi. È questo l’orgoglio operaio, il corteo parte, la lotta continua.
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