Si sono concluse da un paio di settimane le elezioni della Fiom all’interno degli stabilimenti Fiat di Modena: Cnh, Maserati e Ferrari. Il quadro che viene consegnato al termine di questa tornata è una Fiom che rinasce dalle ceneri di un’esclusione prolungata.
Le elezioni della Fiom si sono svolte nei giorni successivi a quelle dei firmatari. Fim-Uilm-Fismic-Ugl e Acqf (sindacato capi e quadri) a livello nazionale hanno posto delle condizioni irricevibili per il sindacato di Landini: dapprima la loro richiesta è stata quella della firma del contratto nazionale dell’auto, poi la proposta è stata quella di recepire l’accordo del 10 gennaio 2014. Tutto ciò per escludere il sindacato dei metalmeccanici più forte e relegare la rappresentanza a una mera questione legale: la Fiom è stata reinserita in Fiat dalla sentenza della Corte costituzionale e non grazie ad una grande spinta di classe.
Le elezioni dei sindacati firmatari sono state caratterizzate da una forte pressione aziendale: i compagni degli stabilimenti di Modena hanno segnalato una bassissima partecipazione alle urne, finché la dirigenza aziendale non ha dato l’input ai preposti di mandare a votare i lavoratori. In Ferrari, si sono presentati alle urne circa 1.500 lavoratori su 2.600. I lavoratori sono stati spinti a votare per i firmatari anche durante l’orario di lavoro, contravvenendo alla stessa intesa firmata con Fim-Uilm-Fismic-Acqf, dimostrando così che gli accordi e le leggi non devono essere onorate se fa comodo all’azienda. Chiaramente, quando si è trattato delle elezioni della Fiom, il comportamento dell’azienda è stato tutt’altro che neutro, con ronde continue per intimidire chi avesse voluto votare Fiom.
Ciononostante la Fiom ha riscosso un successo quasi inaspettato soprattutto fra gli operai, raggiungendo la maggioranza relativa all’interno di tutti gli stabilimenti, tranne che in Maserati, dove è arrivata seconda, ma la maggioranza dei lavoratori sono impiegati. Anche in Maserati, tuttavia, i circa 140 voti ottenuti dalla Fiom tra gli operai, benché 40 in meno dell’ultima volta, sono anche un indizio del malcontento verso le sigle firmatarie, scoppiato con lo sciopero per il mancato premio e crescente anche a causa dell’incapacità dei sindacati filo-aziendali di ottenere passaggi di livello e miglioramenti salariali. Tutto ciò ci consegna un quadro ottimista per le elezioni degli Rls, votati all’interno delle Rsa in applicazione delle leggi sulla sicurezza e dell’accordo unitario Fiom-Fim-Uilm-Fismic-Ugl-Acqf.
C’è però una netta separazione fra delega e partecipazione attiva: siamo stati chiari coi lavoratori spiegando che queste elezioni delle Rsa erano un segnale politico per l’azienda ma la vera forza deve derivare dai rapporti di forza da creare all’interno dei reparti; avere degli strumenti che non abbiamo avuto in questi tre anni servirà per facilitare il compito dell’unità di classe. In questa prospettiva sarà utilissimo replicare i numeri nelle elezioni degli Rls, primo vero confronto fra Fiom e sindacati firmatari in Fiat.
La questione fondamentale è il limbo in cui sono caduti molti lavoratori, anche a fronte della mancanza di volontà della Cgil di portare avanti lo scontro sul Jobs act, fortemente voluto soprattutto da Marchionne: il clima non esaltante in cui si svolgono le iniziative a difesa del lavoro (vedi Pomigliano) con una scarsa partecipazione agli scioperi, deve essere analizzato a partire dalle pesanti responsabilità che ha avuto la Fiom nel gestire lo scontro con Fiat. I responsabili locali della Fiom dicono che se i lavoratori in cassa integrazione si fossero presentati ai cancelli durante lo sciopero dei sabati comandati, si sarebbe fatto di meglio, ma questa colpevolizzazione dei lavoratori andrebbe ribaltata verso l’organizzazione che, appunto, non si è posta finora il problema di costruire un’opposizione coi lavoratori protagonisti.