I media non se ne sono voluti accorgere, le televisioni non hanno filmato nulla e così il resto d’Italia quasi non sa che "la Valle c’è", come recitava il manifesto di convocazione e lo striscione di apertura del corteo No Tav che è sfilato il 9 ottobre scorso, in un’uggiosa giornata di inizio autunno, macinando i sei chilometri che dividono Vaie da Sant’Ambrogio con la consueta allegria e partecipazione.
La Questura minimizza in ventimila il numero dei partecipanti, gli ottimisti parlano di sessantamila; con molta probabilità eravamo intorno ai quarantamila, quasi la metà della popolazione della valle, vecchi e bambini compresi. E questa volta, ricompattando il fronte movimento-istituzioni, c’erano anche 24 sindaci in fascia tricolore dietro lo striscione degli amministratori, oltre all’attuale presidente della Comunità Montana Sandro Plano, Pd di provenienza Margherita che si definisce un andreottiano convinto. Plano è stato eletto con i voti dei No Tav alla presidenza di una Comunità Montana allargata alle valli vicine nel tentativo di diluire la rissosità dei valsusini e fino ad ora era riuscito a convincere il Pd piemontese che le sue innate doti mediatrici avrebbero portato a più miti consigli gli ottusi movimentisti montanari. Adesso il Pd lo accusa, non senza qualche ragione, non solo di non essere riuscito nel suo intento, ma di avere permesso la riunificazione del movimento con i sindaci di area Pd che durante la gestione Ferrentino (il precedente presidente della Comunità Montana) erano passati dall’intransigenza No Tav al Come Tav dell’Osservatorio e del progetto Fare. Così qualche giorno dopo la marcia dal partito regionale è arrivata la scomunica: o gli amministratori del Pd in valle cambiano musica, o si cercano un’altra orchestra in cui suonare. Prontamente la sindaca di Bussoleno ha riaccordato lo strumento annunciando l’entrata nell’Osservatorio del suo comune, ufficialmente per sorvegliare che Susa non riversi tutti i guai che gli deriverebbero dall’inizio dei cantieri nei territori adiacenti, sostanzialmente per evitare l’espulsione dal partito. Ma anche in area Pdl le cose non sono così tranquille: Vito Bonsignore, eurodeputato berlusconiano, troneggiava sotto un gazebo allestito appositamente per spiegare la sua contrarietà all’alta velocità, e la sindaca di Susa Gemma Amprino, Udc, nelle settimane precedenti aveva espresso molte perplessità sul progetto depositato da Ltf.
Non ha dubbi invece il governo, che paventa la militarizzazione della valle spaventato per la possibile perdita dei soldi europei: ma non basterebbe avviare i lavori a Maddalena, come viene fatto credere anche dai media nazionali, per incassare il sospirato malloppo. A riguardo, non si capisce come un governo paralizzato dalla crisi al suo interno possa impegnarsi in uno scontro del genere. Forse la destra confida in un aiuto da parte del Pd, da sempre a favore del Tav…
La Ue infatti pone tre condizioni per mantenere il finanziamento: l’avvio del cantiere a Maddalena, un nuovo accordo italo-francese sulla ripartizione dei costi (e difatti in questo ultimo periodo si sono infittiti gli incontri di frontiera) e lo stanziamento dei fondi da parte dei due governi per l’intera opera. Certo è, però, che l’avvio dello scavo della galleria di Maddalena sarebbe un segnale disgraziatamente importante e il movimento No Tav questo l’ha capito senza equivoci.
Perciò negli ultimi tempi si sono moltiplicati i presidi in bassa valle ed è stato acquistato un terreno a Maddalena proprio nel bel mezzo dell’area cantieristica dove edificare un presidio solido, per accogliere con gli onori del caso le forze dell’"ordine": una battaglia, insomma, è quello a cui ci si prepara, probabilmentequella decisiva.
La marcia del 9 ottobre, indetta in un momento tranquillo e senza troppo clamore, ha dimostrato che la popolazione valsusina sa bene il valore della posta in gioco e ha dimostrato di volere combattere questa lotta fino in fondo. Noi saremo al suo fianco, come sempre, senza se e senza ma.