La vittoria dei Sì ai referendum del 12-13 giugno ha inflitto un altro schiaffo al governo Berlusconi. Rappresenta una vittoria di enorme portata contro le politiche liberiste, se si pensa che la presidente di Confindustria Marcegaglia, con una dichiarazione disperata (“se vincono i Sì torniamo indietro di vent’anni”), aveva cercato di porre in extremis un argine alla spinta che, particolarmente dopo il cambiamento segnato dal voto alle amministrative, era imponente.
Ed è stata la mobilitazione di massa che ha portato a questo risultato. Prendiamo l’esempio dell’acqua: tre cortei nazionali in tre anni contro la privatizzazione dell’acqua con centinaia di migliaia di persone in piazza e comitati da tutti i comuni italiani; firme raccolte per i referendum in quantità equivalente a più del doppio di quanto era necessario. E poi le lotte nei territori.
I cittadini di Aprilia hanno sconfitto una società per azioni che dietro aveva la forza di una delle più grandi multinazionali dell’acqua, lottando con le unghie e con i denti, anche quando c’erano i vigilantes privati che andavano a chiudere i rubinetti dell’acqua. Una lotta che ha avuto metodi radicali e buone idee, come quella di non pagare le bollette alla società privata a cui era stata affidata la gestione dell’acuqa, ma di continuare a versare i soldi al Comune. E lotte come questa ci sono state in tantissime altre località, a partire dalla Puglia e dalla Toscana.
Ma dal 14 giugno sono cominciati i problemi, e non solo da parte del governo Berlusconi. Il Pd e l’Idv di Di Pietro sono infatti storicamente a favore di una privatizzazione soft dell’acqua e dei servizi pubblici, ed erano saliti sul carro del Sì per non essere scavalcati dalla spinta popolare.
Eppure l’idea di Bersani sulla privatizzazione dell’acqua continua a rimanere la stessa: “il Pd è contrario alla privatizzazione forzata dell’acqua, non alla privatizzazione in sè. Occorre delineare meccanismi certi che garantiscano le prospettive di chi vuole investire sull’acqua”. Il Pd ha già depositato un disegno di legge che va in questa direzione in parlamento
A livello locale, gli amministratori democrats già mettono in pratica l’idea del segretario. Matteo Renzi, sindaco di Firenze, vuole creare Firenze Holding, società che ingloberebbe acqua, gas e rifiuti, che andrebbe sul mercato e che potrebbe essere quotata in borsa. Ricordiamo che il modello toscano prevede già l’acqua gestita da una società per azioni, Publiacqua Spa. Dopo il referendum il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, vuole trasformarla in una public company: anche in questo caso, non si esclude affatto l’entrata dei privati.
Il No alla privatizzazione non chiude la questione su chi finanzierà i lavori di manutenzione di cui necessita la rete idrica nazionale. Sono 64 miliardi di euro per i prossimi 30 anni. La Confindustria ha già lanciato le penne più prestigiose dei suoi giornali di riferimento nella gara a chi trova la proposta più redditizia per loro: obbligazioni o titoli emessi dallo Stato che poi dovrà rifinanziare con lauti interessi i capitali privati che verranno messi a disposizione di questi investimenti, il modo migliore di apparecchiare un bel banchetto per i privati che li compensi dei guadagni che verranno meno con l’eliminazione dell’obbligo di privatizzare tutti i servizi pubblici.
Insomma: c’è chi vuole snaturare il significato del voto del 12-13 giugno, perché tutto continui come prima.
Il messaggio che lanciano i 26 milioni di Sì è invece molto chiaro: non siamo andati alle urne e siamo scesi in piazza in questi mesi per qualche lieve abbellimento dell’esistente, ma perché ci sia un vero cambiamento e la si finisca con gli attacchi del padronato e lo smantellamento dello stato sociale operati in questi ultimi vent’anni.