Il governo svende il patrimonio pubblico
Il consiglio dei ministri ha varato due decreti con cui apre la procedura di privatizzazione di ENAV (Ente Nazionale di Assistenza al Volo) fino al 49% e fino al 40% di Poste Italiane.
Per quanto riguarda le Poste questa è solo l'ultima stoccata di un attacco fatto di liberalizzazioni e privatizzazioni: attacco iniziato nel 1991 con l'annuncio da parte del ministro Guido Carli. La privatizzazione inizia prima con l'intervento della Cassa depositi e prestiti, chiamata a riparare gli errori dell'imprenditoria stracciona e dei manager pubblici che difendono interessi privati.
Saccomanni cerca di portare avanti lo stesso lavoro, mettendo sul mercato non un carrozzone dispendioso, ma un società che raccoglie ogni anno risparmi pari a 45 miliardi di euro. Lo stato dovrebbe svendere il 40% di questa società per 4 o al massimo 5 miliardi.
L'annuncio di privatizzazione viene accolto con forte entusiasmo dalla CISL. La percentuale di maggioranza restante in mano allo stato permetterà alla burocrazia sindacale di conservare i propri privilegi nel consiglio di amministrazione della società. Il presidente Giovanni Ialongo viene infatti proprio dalle fila della CISL. Non dovrà sicuramente temere neanche l'attuale amministratore delegato Sarmi, che per il suo "lavoro" guadagna ogni hanno 1,6 milioni.
Troppo timida è anche la reazione della CGIL. Se la segretaria Susanna Camusso esprime la sua contrarietà a queste manovre non si muove conseguentemente nell'azione sindacale: non sia mai mettere il bastone tra le ruote agli "amici" del PD!
La possibilità di partecipazione dei dipendenti all'azionariato societario è solo l'ennesimo tentativo di coinvolgerli nel rischio di impresa insieme ai loro risparmi. Non cambierà nulla riguardo alla loro capacità di influenzare le dinamiche aziendali.
Supermarket Poste
Di pari passo con la privatizzazione sono peggiorate drasticamente la qualità dei servizi e i diritti dei lavoratori.Gli uffici postali si sono trasformati sempre più in un supermercato. Entrando in posta oggi potete comprare libri, schede SIM, pacchetti finanziari ad alto rischio e cancelleria varia a discapito dei servizi essenziali per i cittadini.
Allo stesso modo anche i lavoratori sono sottoposti a violenti processi di sfruttamento e dequalificazione, in cui il loro ruolo di dipendenti postali è snaturato in figure di consulenza finanziaria.
La situazione è già inaccettabile ancor prima che i decreti ministeriali vengano messi in pratica e siamo sicuri che l'insoddisfazione ed il malcontento raggiungeranno livelli esplosivi.
A Lecce si sciopera
Contro questo stato di cose entrano in sciopero i postini della provincia di Lecce. A partire dal 23 gennaio, per un intero mese fino al 22 febbraio, in tutto il Salento i lavoratori coinvolti agli sportelli e al recapito non garantiranno straordinari e obblighi sostitutivi. Questa forma di lotta, anche senza bloccare totalmente l'attività, creerà forti rallentamenti nei servizi postali. I sindacati denunciano condizioni di lavoro inaccettabili, ambienti di lavoro insalubri (nello scorso agosto 5 postine sono rimaste intossicate in un Centro Postale Operativo di Lecce) , orari di lavoro insostenibili e utilizzo costante degli straordinari, mobbing e sfruttamento costante.
Condizione che sappiamo, però, estesa ormai su tutto il territorio. Gli esempi precedenti danno il senso di questa riflessione.
Le organizzazioni sindacali che hanno indetto lo sciopero cercano però di circoscrivere le azioni di lotta sia dal punto di vista geografico che rivendicativo. Non c'è per ora nessun riferimento alla politica governativa e si espongono i problemi della provincia come una semplice anomalia aziendale. Ad oggi (27 gennaio) non si trovano informazioni riguardo a questo sciopero sul sito nazionale della SLC-CGIL, evitando che i colleghi di tutt'Italia possano prendere esempio dai postini salentini.
Noi crediamo invece che sia necessario estendere le iniziative di lotta, coinvolgere gli utenti con volantinaggi, includere nelle rivendicazioni la difesa del patrimonio pubblico, chiamare allo sciopero tutto il settore. I vertici sindacali sono timorosi che la lotta possa straripare dagli argini che gli si sono assegnati, noi dobbiamo alimentare la piena!
Estendere il conflitto
Per estendere la mobilitazione è necessario spingere la CGIL a rompere con i sindacati e le politiche concertative, primo su tutti la CISL, fortemente coinvolta in interessi di bottega.
Lo sciopero nel Salento può essere un buon esempio da discutere a livello nazionale, perchè dimostra che si può riprendere la lotta, che opporsi alle politiche di sfruttamento è possibile. É però evidente l'inadeguatezza dei vertici sindacali, incapaci di rappresentare le istanze tra i lavoratori. Quest'insoddisfazione deve organizzarsi in un'opposizione all'interno della CGIL, a partire dal congresso in corso, per ribadire con forza che "il sindacato è un'altra cosa". Bisogna inoltre organizzare le mobilitazioni attraverso comitati di lotta, che siano capaci di rompre gli argini delle burocrazie, prendendo democraticamente le decisioni riguardanti forme e rivendicazioni degli scioperi e del conflitto.