L’1 marzo è entrato in vigore negli Stati Uniti il cosiddetto Sequester, che prevede tagli automatici alla spesa pubblica per 85 miliardi di dollari nel 2013 e per 1.200 miliardi nei prossimi dieci anni.
Questi tagli colpiranno indiscriminatamente i posti di lavoro dei dipendenti pubblici, i sussidi dei disoccupati, i fondi per la sanità e la pubblica istruzione, ma anche il budget per la difesa. In breve anche gli Usa sperimenteranno quelle politiche di austerità che già imperversano in Europa. Eppure nelle elezioni presidenziali il candidato dell’austerità che invocava drastici tagli, il repubblicano Romney, è stato sconfitto da Obama, che invece aveva promesso di aumentare le tasse ai ricchi… Come si è arrivati dunque a questo drammatico capovolgimento?
All’origine di tutto c’è l’aumento vertiginoso del debito pubblico americano, che ha sforato il tetto massimo previsto dalla legge e minaccia di provocare la bancarotta dello Stato. L’unico modo per ridurre drasticamente il debito pubblico sarebbe un accordo tra democratici (che hanno la maggioranza al Senato) e i repubblicani (che hanno la maggioranza alla Camera dei rappresentanti). Ma la classe dominante americana è divisa su come gestire la crisi delle finanze pubbliche e questo si è manifestato in uno scontro politico durissimo. Da una parte Obama vorrebbe accompagnare la riduzione della spesa pubblica con maggiori entrate fiscali tramite l’innalzamento delle imposte; dall’altra i repubblicani si oppongono strenuamente ad ogni aumento significativo delle tasse e invocano tagli ancora più pesanti alla spesa sociale. Questa “guerra fiscale” rischia di paralizzare l’economia americana, che peraltro è tutt’altro che florida: nell’ultimo trimestre del 2012 la crescita è stata solo dello 0,1% e a febbraio i consumi hanno segnato un brusco calo del 3,6%, il peggiore dal 1993. In questo contesto il Sequester potrebbe provocare una recessione, tanto che inizialmente era stato previsto solo come un forte stimolo per costringere il parlamento a raggiungere un’intesa bipartisan.
All’inizio dell’anno Obama aveva cantato vittoria per essere riuscito ad evitare un piano automatico di tagli e aumenti delle tasse indiscriminati ancor più pesante (il Fiscal cliff) strappando il sostegno di una parte dei deputati repubblicani per far passare una proposta di innalzamento delle tasse per i redditi superiori ai 400mila dollari. Ma in realtà il compromesso comprendeva aumenti delle tasse inferiori a quelli inizialmente previsti, era stato appoggiato solo da una minoranza del Partito repubblicano e di fatto si limitava a rimandare la questione più spinosa dei tagli alla spesa di un paio di mesi, quando cioè sarebbe spirato il termine per il Sequester. Ma l’intesa definitiva non è stata raggiunta e quello che doveva essere solo uno spauracchio si è trasformato in una dura realtà.
Obama ha dichiarato di essere fiducioso sulle possibilità di raggiungere un accordo che fermi il Sequester. Ma dal momento che i repubblicani non accetteranno mai un ulteriore aumento delle tasse, già si parla di una riduzione di 400 miliardi di dollari per la spesa sanitaria. In buona sostanza i tagli dovranno essere sostituiti con altri tagli e Obama dovrà portare comunque avanti una politica di lacrime e sangue, sia che lo faccia con
il Sequester sia che lo faccia tramite un accordo con i repubblicani. Di fatto sia i repubblicani che i democratici accettano le misure di austerità: la differenza riguarda solo i modi e i tempi con cui portarle avanti.
Questa vicenda conferma ancora una volta che oggi non ci possono essere alternative all’austerità in questo sistema. Se si accetta il capitalismo, si devono accettare i tagli sempre più pesanti che richiede e la lotta contro i tagli non può che essere una lotta per un diverso sistema economico. Negli Stati Uniti così come in Europa l’unica reale alternativa è tra l’austerità da una parte e il socialismo dall’altra.