La discussione tra Confindustria, governo e sindacati sul futuro delle nostre pensioni
Come in una telenovela dalle interminabili puntate continua in autunno
In un momento in cui l’economia ristagna, e il pericolo di recessione è sempre dietro l’angolo, mentre continuano a rivedere al ribasso le prospettive di crescita del Pil, (per il ’99 tra un più 0,9% e un più 1,1%) i padroni tornano all’attacco.
Gli argomenti dei padroni sulla questione non hanno fatto un salto di qualità rispetto a quelli usati durante le riforme di Amato, Dini e Prodi, in compenso hanno chiarito in modo definitivo che tutte le promesse fatte dai nostri dirigenti sindacali che la riforma del 1995 avrebbe sistemato definitivamente le cose si è dimostrato falso.
Ora ci dicono che nonostante i pesanti peggioramenti portati negli ultimi anni il sistema pensionistico pubblico nel 2005 sarà nuovamente vicino alla catastrofe.
Da qui riparte la discussione sul da farsi.
Per loro è molto semplice, e meglio di tutti lo spiega Fiorella Padoa Schioppa (presidente dell’Isae) in un intervista sul Sole 24 ore dell’8 settembre: "È soprattutto l’invecchiamento rapido della popolazione a creare problemi di insostenibilità al sistema previdenziale. Quindi l’unico modo per incidere sulla spesa pensionistica è alzare l’età pensionabile. Francamente in un paese che ha i problemi di disoccupazione dell’Italia, dire a un lavoratore di 57 anni di lavorare 5 anni più, non mi sembra chiedere un grande sacrificio.
Basterebbe una norma semplice per spiegare che l’età di pensionamento si alza a mano mano che cresce l’aspettativa di vita. Si ricorda spesso che Bismarck (cancelliere tedesco del secolo scorso) è stato tra i primi a garantire una pensione a chi si ritirava dal lavoro a 65 anni. Sa quale era l’aspettativa di vita a quell’epoca? 65 anni." A ciò chiedono che si aggiunga il passaggio definitivo per tutti i lavoratori dal sistema retributivo a quello contributivo (con la riforma Dini del ’95 chi aveva maturato 18 anni di versamenti era rimasto escluso), e che si dia fondo a tutte le riserve finanziarie (dei lavoratori) per investire più massicciamente nei fondi pensione.
Il deficit dell’Inps
Dobbiamo rigettare le continue martellanti campagne terroristiche sul tracollo dell’Inps e sui pericoli di una spesa pubblica fuori controllo causata dal continuo aumento dei pensionati rispetto ai lavoratori attivi.
L’Inps è in deficit perché i governi che fino a qui si sono succeduti l’hanno usata come banca a interessi zero per coprire altri buchi dello stato. Bisogna aggiungere che i padroni evadono all’Inps qualcosa come 15mila miliardi di contributi ogni anno, oltre a non versare quelli dei lavoratori in nero (oltre 4 milioni).
Consideriamo anche che la produttività è aumentata del 500% negli ultimi quarant’anni. Questo significa che per produrre ricchezza servono meno lavoratori. L’invecchiamento della popolazione non porta inevitabilmente al collasso del sistema pensionistico, perché con la produttività di oggi basterebbe un lavoratore attivo per mantenere tre pensionati. Comunque se i pensionati aumentano rispetto ai lavoratori è perché appunto aumentano i lavoratori in nero, perché aumentano i lavoratori precari e la disoccupazione, che ormai da anni si attesta ben oltre il 12%, toccando punte del 30% tra i giovani.
D’Antoni (segretario nazionale della Cisl) recentemente ha duramente criticato Cofferati (segretario della Cgil nazionale) perché ha proposto di estendere il metodo contributivo per calcolare la pensione a tutti i lavoratori. Giusto opporsi a chi propone peggioramenti, peccato che la sua ricetta alternativa sia dannosa per i lavoratori quanto quella di Cofferati. D’Antoni propone di continuare sulla strada della maggiore flessibilità nel mercato del lavoro come ricetta per creare più occupazione e bilanciare i conti dell’Inps. Reddito d’inserimento, salario d’ingresso, contratti d’area tutte proposte che peggiorano le condizioni di lavoro, che creano di fatto le gabbie salariali, che dividono i lavoratori e smantellano i contratti nazionali, togliendo potere contrattuale ai lavoratori.
Il sistema contributivo
Questo non significa assolutamente che la proposta di passare al sistema contributivo sia il meno peggio.
Ecco come l’inserto economico del Corriere della sera del 6 settembre spiega in cosa consiste l’applicazione di questo metodo:
"Attualmente vengono utilizzati tre diversi procedimenti di calcolo della pensione, a seconda dell’anzianità maturata al 31 dicembre ‘95: per i lavoratori più anziani, quelli che potevano contare su un minimo di 18 anni di contributi al ‘95, il conteggio è quello retributivo agganciato cioè agli stipendi riscossi nel-l’ultimo periodo lavorativo.
Per i lavoratori con meno di 18 anni di contributi alla fine del ‘95 , il calcolo viene invece fatto utilizzando entrambi i criteri: il retributivo per gli anni lavorati fino al ‘95 e il contributivo per quelli versati dal ‘96 in poi.
Per coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il ‘95 il conteggio viene determinato con quello contributivo.
L’eventuale introduzione del criterio contributivo per tutti, sarà comunque effettuato in pro-rata. Cioè riguarderà sì la totalità dei lavoratori, indipendentemente dal numero degli anni di contributi accumulati al dicembre ‘95, ma varrà solo per i versamenti futuri. Questo significa che gli effetti negativi (il sistema retributivo è più vantaggioso) saranno maggiormente attenuati, quanto più è vicina la data del pensionamento. Con il tutto retributivo, in presenza di uno stipendio pensionabile di 60 milioni, avrebbe una rendita di circa 80 mila lire al mese in più. Un lavoratore con la stessa età pensionabile ma con una anzianità di 22 anni, e cioè chi aveva 18 anni nel ‘95 ed è stato finora risparmiato dalla riforma Dini, ci rimetterà 145 mila lire."
Sistema contributivo uguale fine della pensione pubblica. Non occorre essere veggenti per capire che i lavoratori davanti a una prospettiva di perdita di potere d’acquisto della pensione verranno spinti verso quelle private.
I fondi pensione
È una torta che fa gola ai padroni,(si parla di un giro d’affari che supera i 400mila miliardi) che quindi hanno un motivo in più nel avere un sistema pubblico mal funzionante. Nonostante ciò la politica fatta in questi anni per spingere i lavoratori verso la previdenza complementare non ha sortito l’effetto sperato. Quello che li preoccupa è che fino ad ora nelle aziende la maggior parte dei lavoratori che hanno aderito ai fondi pensione sono quelli ha cui mancano pochi anni per andare in pensione, quindi clienti a breve termine. I giovani a quanto pare stanno snobbando questa "possibilità". Non come dice Cofferati perché non pensano alla loro vecchiaia ma fondamentalmente perché la perdita di potere d’acquisto dei salari, la precarizzazione del lavoro hanno tra i giovani creato più preoccupazione sull’immediato futuro rispetto alla vecchiaia.
Invece di difendere una pensione pubblica e dignitosa per tutti Cofferati propone di rendere obbligatorio l’utilizzo del Tfr (la liquidazione) nell’investimento in questi fondi.
I fondi pensione sono una minaccia per i lavoratori a cui dobbiamo opporci a tutti i costi. Infatti oltre a rappresentare una resa incondizionata dei nostri dirigenti nella difesa dello stato sociale, abbracciano una proposta che consiste nel rastrellare soldi dalle tasche dei lavoratori per conto delle finanziarie per poi andare a specularli in borsa. Ci abbagliano mostrandoci i facili interessi che questi investimenti ci garantirebbero. Ma si guardano bene da spiegare quali sono i veri pericoli. Da bravi capitalisti investono i nostri soldi nei mercati finanziari convinti che le borse cresceranno continuamente. Ma come è successo nelle borse di tutto il mondo negli ultimi 10 anni queste presto o tardi subiranno un crollo. Fin che le cose andranno bene non ci saranno problemi, ma alle prime avvisaglie di una crisi gli speculatori venderanno frettolosamente e il valore dei fondi pensione si ridurrà drasticamente.
Per questo è necessario organizzarsi e lottare rispondendo punto per punto agli argomenti della Confindustria, smascherando la falsa oggettività dei dati che pubblicano sui loro giornali. Perché ogni volta che si parla di fare dei tagli nessuno ci ricorda che nel ‘‘98 c’è stato un boom dei profitti delle aziende? I soldi si prendono da lì, le pensioni non si toccano, cari signori.
Fin dall’inizio dell’attacco alle pensioni, in particolare nel periodo dei governi Berlusconi e Dini 1994/95, abbiamo pubblicato nelle edizioni passate del nostro giornale parecchio materiale.