Dopo mesi di tentennamenti, di scontri nella compagine governativa, e notizie ufficiose apparse sulla stampa, è chiara la proposta di controriforma delle pensioni del governo.
Il governo tenta di affondare il coltello con tanto di propaganda falsa e demagogica col supporto di mass-media, economisti e intellettuali borghesi, per dare l’impressione di un allarme sociale presentando lo stato dell’Inps e i suoi conti economici in maniera catastrofica.
L’esperienza del ’94 e la riforma Dini
Già nel ’94, dopo una precedente esperienza in cui il governo Amato fece un provvedimento che bloccò l’accesso alle pensioni, Berlusconi provò a riformare il sistema pensionistico preparando una riforma che prevedeva l’allungamento dell’età pensionabile.
Il movimento operaio fermò quel governo dandogli uno scossone che fu decisivo per la sua caduta.
Ma il fatto che Berlusconi fallì non impedì alla borghesia di ottenere comunque una controriforma del sistema pensionistico. Il Governo Dini varò, col sostegno dei Ds e dei sindacati (il segretario della Cgil era Cofferati), nella primavera del 1995 una controriforma senza precedenti. Il sistema retributivo rimaneva valido solo per chi nel ’95 aveva più di 18 anni di contributi, e comunque avrebbe avuto accesso alla pensione dopo 35 anni di lavoro solo a patto di aver compiuto 57 anni d’età. Per i giovani (o chi aveva meno di 18 anni di contributi) veniva instaurato il sistema contributivo, sistema che si basa sui contributi effettivamente versati durante tutta la vita lavorativa e stando agli stessi calcoli del sindacato con 35 anni di versamenti si aggirerebbe intorno al 60% degli ultimi salari ricevuti.
Furono dunque le politiche concertative dell’Ulivo e dei dirigenti di Cgil-Cisl-Uil a inaugurare la politica della “dolce morte” per le pensioni pubbliche, introducendo inoltre una odiosa divisione generazionale fra i lavoratori.
La legge Dini, inoltre, apriva la strada ai fondi pensione integrativi che dirottano il tfr e i contributi dei lavoratori verso una speculazione finanziaria gestita di comune accordo dal padronato e dalle burocrazie sindacali.
Età contributiva da 35 a 40 anni
La riforma proposta oggi prevede una modifica del sistema pensionistico in due fasi. La prima dal 2004 al 2007, anni in cui un lavoratore in età pensionabile, che decida di continuare a lavorare per almeno due anni, avrà fino al 32,7% della propria retribuzione in più in busta paga, cifra pari ai contributi che normalmente un’azienda trattiene dalla retribuzione lorda per versarla all’Inps. Questo non vale per i dipendenti statali che, in particolare per le pressioni della Lega, non si potranno avvalere di questo “incentivo”. È evidente che sulla questione del bonus il governo sta facendo una campagna demagogica e vergognosa. Non dice che in realtà questi sono soldi dei lavoratori che lo Stato decide di non trattenere. Quando sarà ora di andare in pensione ci saranno due anni di contributi non versati che diminuiranno ulteriormente le entrate dell’Inps. Ma l’Inps non aveva un buco enorme? In pratica, comunque, il governo decide di “regalare” ai lavoratori soldi che sono già loro!
Dal 2008 in poi, invece, il governo prevede per tutti l’aumento a 40 anni di contributi per la pensione di anzianità. Nell’ipotesi di riforma, inoltre, è previsto un aumento dell’aliquota contributiva dal 14% al 17% per arrivare al 19% tra qualche anno per i co.co.co (ma non dovevano sparire?), contributi che sono a carico del collaboratore per 1/3 ma che finiscono quasi esclusivamente per pesare solo sulle spalle dei lavoratori visto che l’unica contrattazione prevista è quella individuale e di fatto i committenti scaricano i costi sul compenso. Il 17% sarà assoggettato anche agli associati in partecipazione, una figura di lavoratori iper-precari molto presente nella grande distribuzione, per i quali non era prevista contribuzione. C’è da dire che questo fondo gestione separato da quello dei dipendenti, nel quale vengono versati i contributi dei “parasubordinati”, risulta in attivo di decine di milioni di euro.
Falsa propaganda
La propaganda dei padroni è partita col vento in poppa col messaggio a reti unificate di Berlusconi il 29 settembre.
“La situazione è insostenibile e non ci sono più soldi nelle casse dell’Inps” dice il premier. A leggere i dati che regolarmente vengono indicati dall’Inps stesso non parrebbe. In ogni modo Berlusconi dovrebbe anche spiegare come mai questo è avvenuto. Le responsabilità non sono dei lavoratori. Le uscite per gli ammortizzatori sociali sono in notevole aumento. Ancora una volta è la contribuzione generale, e quindi i lavoratori, a pagare la crisi di questo sistema economico. Dal 1 gennaio ai primi di luglio del 2003 su 58mila domande di pensioni di anzianità il 20% provengono da cassaintegrazione, mobilità o indennità di disoccupazione. Il governo, inoltre, nasconde che le voci più pesanti per le casse dell’ente sono la decontribuzione e la stessa evasione contributiva. Aziende che assumono lavoratori dalla cassaintegrazione o dalla mobilità infatti pagano il 50% dei contributi all’Inps, per non parlare delle decine di possibilità per assumere con sgravi fiscali e delle nuove formule contrattuali previste dalla stessa legge 30. Un esempio su tutti: l’apprendistato, che prevede il versamento di una contribuzione quasi inesistente, potrà essere proposto a persone fino a 29 anni di età. I lavoratori in nero, stimati dall’Istat in oltre 4 milioni, rappresentano altre centinaia di milioni di euro che non entrano nelle casse della previdenza a causa dell’evasione.
Il governo insiste dicendo che “Questa riforma è necessaria per il bene dei giovani perché se andiamo avanti così non godranno di una pensione”. Parole chiaramente strumentali per creare una divisione generazionale all’interno del movimento operaio. È ridicolo che si dica ciò mentre si precarizza il mercato del lavoro fino al punto che nessun giovane tra qualche anno riuscirà mai ad accumulare 35 anni di contributi, figurarsi 40! Questa controriforma colpisce tutti i lavoratori e in particolare proprio i giovani.
“Il sistema che abbiamo ereditato è stato concepito più di 50 anni fa quando la popolazione era molto giovane e la vita più breve”. Sembra quasi dolersi lo Stato borghese, la “grande famiglia” come dice il presidente, del progresso scientifico che porta ad una crescita dell’aspettativa di vita. Ma la domanda che poniamo ai padroni è: che progresso è se viviamo di più e lavoriamo altrettanto? Non è forse progressiva una società che permetta la possibilità di vivere decentemente, con una pensione degna dopo 35 anni di lavoro? I padroni confermano che per loro la vita dei lavoratori è solo una merce per i loro profitti!
Le prospettive
Un sondaggio fatto il giorno dopo il messaggio televisivo di Berlusconi pubblicato sul Corriere della Sera del 1° ottobre diceva che solo il 25% degli italiani è favorevole ad alzare a 40 anni l’età contributiva e che anche il 54% degli elettori che si sono dichiarati di centrodestra non approva la proposta del governo.
Di peso molto maggiore sono state le iniziative, diverse autoconvocate, di scioperi di un’ora o assemblee spontanee il giorno dopo la presentazione della riforma. Nei luoghi di lavoro si respira aria di mobilitazione, un fermento che cresce. Lo sciopero generale di 4 ore di per sè non è sufficiente. I lavoratori, dopo 2 anni di scioperi di 4 ore o comunque proclamati ogni 4 mesi, con grandi mobilitazioni sfociate in nulla e che non hanno portato a grandi successi oggi chiedono ben altro. Ci vuole uno sciopero generale di 24 ore che blocchi ogni settore dell’economia, che metta in discussione le leggi antisciopero oggi in vigore. Il paese deve fermarsi.
Il governo sa che in gioco c’è la sua stessa esistenza e ha deciso di andare allo scontro, anche perché non ha alternative. Del resto questa è la ragione per cui il centrodestra è andato al potere. Ma il governo arriva a quest’appuntamento pieno di divisioni al suo interno. Il movimento operaio non deve sottrarsi allo scontro e deve mettere in campo tutta la forza che ha per fermare le politiche reazionarie.
Difesa delle pensioni, ritiro della riforma Berlusconi ma anche di quella Dini oggi in vigore, per il ritorno ai 35 anni per tutti, aumento sostanziale delle pensioni minime con l’introduzione della scala mobile sulle pensioni per far fronte all’aumento dei prezzi, via il governo Berlusconi!